sabato, Aprile 27, 2024

La ricostruzione del corpo ne Il Golem di June Scialpi (V. Parpaglioni)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il Golem. L’interruzione, June Scialpi
(Fallone Editore, 2022)

June Scialpi

Il respiro di un dio minore, di un “Padrone”, definisce le nostre identità fin dal principio. I nostri corpi sono sottomessi alla sua volontà. La decisione su noi stessi, quindi, dipende da qualcun altro, o meglio, qualcos’altro, che ci prescinde.
Anche di questo racconta June Scialpi nel suo Il Golem. L’interruzione, pubblicato per Fallone Editore nel 2022.

Bisogna farne una questione generazionale. La riappropriazione del proprio corpo, della propria identità, avviene soprattutto oggi piuttosto che in epoche passate. L’assenza di maestri mette la generazione dei nati negli anni Novanta con le spalle al muro; con una parete di polvere al posto della pelle. La domanda, che in realtà è un’urgenza, è: cosa siamo? Bisogna farne una questione generazionale anche perché, come scritto da Antonio Francesco Perozzi nella prefazione, quello che ci accomuna sono poche cose, ma chiare, qui e ovunque: il precariato, il surriscaldamento globale, l’identità di genere e, come conseguenza, aggiungerei un profondo senso di solitudine e incomunicabilità. Allora ne deriva la resa o, se si vive, la ricostruzione. Non è nemmeno una cicatrizzazione o un rimarginarsi delle ferite, perché è il corpo stesso a non essere individuabile. E quindi dall’argilla si affaccia il Golem. Non distante, non altro da noi, ma dentro, radicato.

Il libro di Scialpi potrebbe essere definito un “saggio in versi”. La riflessione filosofica che ne è alla base non è mai taciuta e si fa spazio in tutte le poesie che lo compongono.
L’atto di transizione non è quindi necessariamente una questione minoritaria. La necessità si spande ben oltre la comunità LGBT. Diventa, invece, un avvicinamento alla libertà per chiunque. Infatti, il libro di Scialpi non sembra chiudere mai l’opzione di una ridefinizione di se stessi per proprio volere, e tende invece a dichiarare come il corpo, sempre, sia luogo di possesso, di identità. Se il corpo stesso, inteso come esteriorità, viene posseduto da qualcun altro, allora anche l’interiorità ne subisce il dominio.

Il libro di Scialpi è diviso in quattro capitoli. In questo senso, si percepisce la trasformazione del corpo, dal primo Il Segno del Senso all’ultimo lingua dominii. Quello di Scialpi, infatti, è un libro in costante mutamento, come il corpo stesso. Questa è una grande qualità: il libro, nella sua totalità, assume la stessa forma del significato, e a sua volta la forma della poesia stessa. Trasuda, poi, un senso di incompatibilità, di vuoto in certi momenti.

Il buio (la notte) diventa spazio di libertà per il soggetto che deve ricostruirsi, poiché il giorno, sotto la luce del sole, è luogo di giudizio, di osservazione. Quindi il corpo in transizione, giudicato come mostruoso dall’esterno poiché sconosciuto e indefinibile, è costretto a nascondersi durante i suoi tentativi di nascita -. Non c’è spazio nel mondo delle categorie per una creatura che non vuole averne. Una nuova ghettizzazione prende piede, e il paradosso a cui costringe l’ignoranza esterna, è che il soggetto stesso vuole vivere ai confini, senza pace – costretto a una frenesia da graffi sul viso.
Ne diventa, ancora, una questione generazionale, d’instabilità generale poiché il corpo transitorio si offre proprio per ciò che è, e non dissimula nulla. Si offre agli occhi degli altri con una sincerità disarmante, che sgomenta la maggior parte della popolazione che ha chiuso nel cassetto di uno sgabuzzino la voglia di guardarsi per davvero e di ridefinirsi con le proprie parole.

June Scialpi applica anche al verso questi tagli da accetta – ricostruisce il linguaggio con sospensioni, punti e trattini; parentesi utilizzate come sussurri di un pensiero che non deve essere detto a voce alta. Soprattutto l’utilizzo delle parentesi dà un’idea di metamorfosi, perché c’è sempre qualcosa che tende all’opposto della storia. Che vuole ridefinire una volta ancora.

In generale, Il Golem. L’interruzione offre prospettive per una vita che si sleghi dai canoni razionalizzati della società contemporanea e si riappropri di una libertà dell’individuo. Dal momento in cui è difficile contrastare tutto il resto (surriscaldamento globale, precariato ecc…), che accomuna questa generazione; e tutte queste cose sembrano troppo grandi, allora bisogna riappropriarsi della propria individualità. Sembra quasi dire: se non si può tendere al mondo almeno tendiamo a noi stessi. E pian piano diventa coscienza generazionale – l’unico (il primo) campo di lotta.

Vittorio Parpaglioni

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