venerdì, Marzo 29, 2024

Con gli occhi dei poeti: “21 novembre 1918” di Marina Cvetaeva (by ELISA_451)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“21 novembre 1918”

 

 

Sono felice di vivere in modo semplice ed esemplare

come il sole, come il pendolo, come il calendario.

Di essere un’anacoreta laica di snella figura,

savissima- come qualsiasi creatura di Dio

 

Di sapere- lo Spirito è mio alleato, lo Spirito è mia guida!

D’entrare senza annunciarmi, come un raggio, come uno sguardo.

Di vivere così come scrivo in modo esemplare e succinto

Come Dio comanda e gli amici non prescrivono.

(M. Cvetaeva, Poesie, Ed Fltrinelli, 2016)

 

 

Si direbbe il ritratto di un poeta.

In questo caso di una poetessa.

O perlomeno dell’idea che Cvetaeva aveva della poesia.

Un’immersione totale nella vita, un’identificarsi con il suo fluire.

Una solitudine cercata e amata come quella dell’anacoreta che vive immerso nella luce, nel pensiero, nella preghiera, nello spirito.

C’è nelle sue parole un’esaltazione del deserto (poesia), come possibilità di liberazione dalla complessità assordante del vivere, come recupero di una semplicità che non è semplicismo, ma saggezza suprema, capacità di discernimento, adesione al progetto di Dio, qualunque Egli sia.

by ELISA_451

 

Marina I. Cvetaeva 1892-1941
Cenni biografici
1892
Nacque a Mosca dove suo padre era insegnante alla facoltà di filosofia.
1916-1920
Scrisse senza tregua
1922
Emigrò all’estero per l’avversione al nuovo regime e per raggiungere il marito Sergej Efron, che aveva combattuto nelle file  delle armate bianche di Denikin e si era poi rifugiato a Praga. Qui la Cvetaeva proseguì l’attività letteraria. All’ estero soffrì profondamente per il distacco dalla patria e per la delusione provocata dal crollo degli ideali della “Vandea russa”. Ciò la spinse a ritornare in patria,
1939
Assunse la cittadinanza sovietica.
Pochi anni dopo il marito e figlia caddero vittime dello stalinismo.
Rimasta sola, riparò nella Repubblica Tartara dove morì suicida nel 1941.

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