giovedì, Marzo 28, 2024

Le donne sconosciute che cambiano l’Africa

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Non è a Ellen Johnson Sirleaf, prima presidente eletta di un paese africano, la Liberia, che penso, riflettendo sul potere delle donne in Africa. Né a Grace Mugabe, che in Zimbabwe avrebbe voluto succedere al marito Robert alla testa dello Stato.

Piuttosto, a tornarmi in mente è una persona incontrata in una township di Pretoria, in Sudafrica. Era anziana, abbastanza perché in tanti la chiamassero gogo, nonna, e si fidassero di lei, al punto da parlarle di qualcosa che, altrimenti, non avrebbero mai ammesso: di avere l’Aids. “Vengono da me – mi spiegò – e non vogliono raccontarlo a nessun altro, ma almeno si lasciano convincere a prendere gli antiretrovirali. Poi sono io che mi siedo a parlare coi loro genitori, che cerco di farli capire”.
A donne come la ‘nonna’ di Pretoria i mezzi d’informazione non dedicano neanche una frazione dello spazio occupato dalle figure femminili più note del continente: in positivo, come Ellen Johnson Sirleaf, o in negativo, come Grace Mugabe. Eppure a volte l’influenza che esercitano nel luogo in cui vivono è capace di portare cambiamenti anche più profondi rispetto al potere comunemente inteso. Lo sa bene Penda Mbow, storica senegalese, impegnata in politica e nella società civile. La incontrai, dopo una serie di attacchi di estremisti in Africa Occidentale, per parlare della crescita del fondamentalismo islamico e delle possibili conseguenze sulla condizione femminile.
Un timore che però, secondo Mbow, non teneva conto della forza sociale delle donne stesse: “Chi ha tentato di confinarle nella sfera privata, di eliminarle, ha fallito”, affermava. E portava ad sempio proprio il Senegal. “Dal punto di vista economico – sosteneva – la donna si è largamente sostituita all’uomo, è il lavoro quotidiano delle donne che permette alle famiglie di sopravvivere di fronte alla crisi economica”. Parole che mi sarebbero tornate in mente qualche giorno più tardi, nel nord del paese, davanti alle socie di una cooperativa femminile che avevano trovato una soluzione alla scarsità di carbone di legna – indispensabile nelle case: ne producevano una nuova varietà, ricavata da piante infestanti comuni nella zona.
Ma il potere di tante donne africane non è solo economico o sociale: il loro contributo dal basso alla politica è altrettanto prezioso. Molte sono, ad esempio, le giovani impegnate nel movimento cittadino per la democrazia Lucha, in prima linea nel rivendicare diritti fondamentali e libertà civili e politiche nella Repubblica democratica del Congo. Micheline Mwendike, non ancora trentenne, ha contribuito a fondarlo: “Lucha (sigla che indica ‘lotta per il cambiamento’, ndr) si fonda sull’uguaglianza di genere. – spiega – Sia uomini che donne fanno tutto, tenendo conto delle competenze di ogni persona, perché pensiamo che ogni congolese abbia qualcosa da offrire”. Certamente, riconosce Mwendike “per ragioni storiche, politiche e culturali, nel movimento oggi ci sono meno donne rispetto agli uomini. Ma una volta diventate attiviste, sono forti, costanti e mobilitano altre persone. Non sono vittime, ma attrici del cambiamento. Sono leader”
(Davide Maggiore, Nigrizia, 18 dicembre 2017)

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