SÃO PAULO-ADISTA. Che al Sinodo panamazzonico si parlerà di nuove forme di presbiterato, come supponevamo nel n. 37/17 di Adista Notizie riportando le parole di papa Francesco sull’indizione dell’assise (ottobre 2019), è confermato dal card. Claudio Hummes, già arcivescovo della diocesi brasiliana di São Paulo, nell’intervista rilasciata a Religión digital (3/12/17).
Finalità di questo Sinodo, ricorda il cardinale, «è cercare nuove  strade, nuovi metodi di evangelizzazione, la presenza della Chiesa fra i  popoli indigeni, fra i ribereños, fra i popoli originari. La Chiesa è  sufficientemente presente fra questi popoli? A partire da come è  strutturata la Chiesa, riesce a farlo o sarebbe necessario cambiarne  qualcuna, cambiare alcuni metodi di lavoro perché possa camminare e  vivere insieme con quella gente, difendere quella gente?». Quando  l’intervistatore osserva che «la Chiesa cattolica è tradizionalmente  strutturata a partire dal ministero ordinato» e chiede «quale nuovo modo  di essere sacerdote» possa realizzare la nuova evangelizzazione fra i  popoli originari, il cardinale risponde: «È quello che il Sinodo  probabilmente, si pensa – aggiunge con cautela –, discuterà. Dal mio  punto di vista dovrà discutere tutta questa struttura pastorale, della  presenza dei ministri ordinati insieme con la popolazione». Ministri,  precisa, che «devono provenire dalla stessa popolazione. Altrimenti, la  Chiesa non avrà concluso il suo lavoro propriamente missionario perché  non avrebbe clero del posto, clero indigeno, ribereño, che vive con il  suo popolo, un popolo che vive il Vangelo nella sua cultura». Tuttavia  la missione della Chiesa, tiene a puntualizzare, «non si occupa solo  delle questioni religiose, ma anche di tutto quello che forma parte  della dimensione socio-ambientale, politica, economica, come appare  nella Laudato si’, che è una specie di Magna Carta, come anche  l’opzione preferenziale per i poveri che è il grande principio, perché  la nostra preoccupazione, senza dubbio sono i popoli indigeni originari  questa regione, insieme ai ribereños, ai discendenti degli schiavi, a  quanti vivono nelle periferie delle grandi città, dove è già presente il  fenomeno dell’indio urbano, con tutte le sue problematiche».
Ha titolo per parlare Hummes: è presidente della Rete  Ecclesiale Panamazzonica (Repam, nata nel 2014) che collega un centinaio  fra diocesi e prelature. Il cardinale la definisce come «servizio che  vuole tenere insieme il Popolo di Dio nei nove Paesi della regione  amazzonica, profondamente identificato con la storia e l’identità di  questi popoli, e con la loro realtà ambientale». «Per poter funzionare –  informa – si sono creati due assi tematici: il primo sono i popoli  indigeni per prendersi cura dei loro diritti, degli organi  rappresentativi, delle ingiustizie da loro subite, la loro  evangelizzazione, la demarcazione delle terre; in secondo luogo la  formazione e la pastorale, la formazione degli operatori locali, sia in  termini missionari e religiosi, ma anche in altre aree, come i diritti  umani, con un corso tenuto dall’Università Cattolica dell’Ecuador, per  le comunità indigene per formare personale che possa assumere azioni  quali, per esempio le rivolte nei casi di violazione dei diritti umani»;  insomma che assumano «la loro storia». 
