Magari non ne avremo il monopolio. Anche altre zone del mondo potrebbero vantare lo stesso primato. Comunque sia, nel Sahel, i mercenari si sentono come pesci nel deserto.  Si definisce mercenario chiunque svolga un’attività al solo scopo di  trarne un guadagno. A questo titolo le truppe, i militari reclutati con  contratto per fare guerra alla pace e la quasi totalità dei gruppi  armati che arredano le frontiere saheliane sono un esempio. La  definizione di questa categoria coincide con le pratiche correnti che,  in questo spazio, trovano un terreno propizio per compiere la propria  missione pecuniaria.
Si arruolano a migliaia con le tute mimetiche per proteggere  interessi economici, risorse strategiche e collateralmente persone.  Soldati scelti e preparati per affrontare i nemici che non mancano mai.  In caso di carenza, questi ultimi, si possono facilmente inventare,  creare, riprodurre e financo combattere. Da tempo le guerre, le  operazioni di pace e le spedizioni punitive non sono che applicazioni  generalizzate dei mercenari al processo in atto.
Gli altri mercenari sono gli intellettuali, tristemente scomparsi dall’orizzonte utopico odierno. Si sono venduti al potentato di turno e hanno in fretta integrato il sistema vincente. E il ’68, appena 50 anni dopo, rivive per i superstiti e per quanti rimodellano la storia a loro  immagine e somiglianza. I mercenari intellettuali sono ancora più  pericolosi di quelli miltari perché almeno, questi  ultimi, portano l’uniforme. Gli intellettuali sono come i camaleonti che  prendono il colore del potente del momento. Trovano spazi nei mezzi di  comunicazione, anch’essi mercenari perché attaccati ai soldi dei  finanziatori mai disinteressati.
Per denaro si svende la libertà di espressione, di giudizio e di parola. Ed è così che cala il sipario sulla verità della democrazia e per questo le guerre punitive e quelle umanitarie possono funzionare fino ad oggi.
Quanto ai politici, sopravvivono nel Sahel solo con l’eliminazione  dell’opposizione. Sono come una società per azioni (mercenarie) che in  banca sono sempre ben quotate. Partiti, programmi ed elezioni non sono  che una farsa. Si  parla di mercenari anche in ambito umanitario. Anzi, sembra che proprio  questo settore sia particolarmente contaminato. Si opera dove la voce  dei finanziamenti risuona più suadente delle sirene e le crisi  umanitarie (solitamente drammatiche) domandano risposte urgenti e  immediate. Agenzie dell’Onu, Ong internazionali con elementi locali,  progetti integrati di sviluppo e capacitazioni senza fine accompagnano i  mercenari dello sviluppo. Ben pagati e in più con l’ebbrezza del  rischio terrorismo nelle lunghe notti tropicali. Vacanze e assistenza  sanitaria, una certa notorietà e soprattutto soggiorni brevi e incisivi  con femminili compiacenze anch’esse prezzolate. Del  tutto inimmaginabile, in questi progetti mercenari, non parlare di  migrazioni irregolari, di diritti umani e di riduzione della povertà.  Prestazioni nelle quali gli elementi spirituali o affettivi cedono del  tutto di fronte a quelli economici o venali. Il Sahel è uno dei paradisi umanitari nei quali il mercenariato umanitario compie le prodezze più riconosciute.
Le bande mercenarie non risparmiano il settore religioso, ricco di possibilità perché denso di passioni non sopite. Prediche incendiarie nelle moschee, chiamate alla sommossa o alla tranquillità complice in altri luoghi di culto e Chiese che fanno del pecunio la prova della benedizione divina. Mercenari di Dio che contrabbandano l’oppio dei poveri, ormai sostituito da pastiglie che la chimica perfeziona. I mercenari  formano una lunga processione che segue la mappa delle banche  globalizzate dell’economia finanziaria. Prosperano i mercenari e allora  c’è poco da stupirsi se tutto diventa mercanzia perché si tratta dello  stesso mercato e la sua feroce dittatura.
Resistere alla seduzione del mercenariato è possile. Basta impegnarsi a piantare un albero, del pane, al giorno.
(Mauro Armanino, Il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2018)     
