«Non c’è nessuna vittoria da cantare e tanto meno da gioire, tutto  ciò che in qualche modo facilita il lavoro sporco della morte non ci  rende particolarmente lieti».
 È dura la reazione del Vaticano al  risultato del referendum che legalizza l’aborto in Irlanda. Viene  affidata a monsignor Paglia, presidente della Pontificia accademia per  la vita, che rilascia una dichiarazione a Vatican News, il portale di  informazione della Santa sede.
 L’esito del voto irlandese «ci  deve spingere ancora di più non solo a difendere la vita, ma a  promuoverla e accompagnarla, creando le condizioni perché non si  avverino, non avvengano decisioni drammatiche, perché è sempre un dramma  quando si decide di interrompere una vita», prosegue Paglia, secondo  cui «c’è nell’aria un atteggiamento di individualismo che oscura e  spinge a dimenticare i diritti di tutti, compreso quello di chi deve  nascere». 
 Invece «è indispensabile affermare i diritti di  ciascuno, soprattutto dei più deboli, assieme al dovere di accompagnare,  di sostenere, senza abbandonare mai nessuno. È una cultura che va  promossa contro un iper-individualismo che porta a considerare solo il  benessere individuale».
 La Santa sede è intervenuta anche con  monsignor Jurkovič, osservatore vaticano presso l’Onu alla 71.ma  assemblea dell’Organizzazione mondiale della sanità in corso a Ginevra e  dedicata all’esame della strategia globale per la salute di donne,  bambini e adolescenti.
 Nessun riferimento al referendum  irlandese, ma le parole di Jurkovič sono state chiare: «La Santa Sede si  oppone fermamente a qualsiasi sforzo delle Nazioni Unite o delle sue  agenzie specializzate teso a promuovere legislazioni nazionali che  permettano di uccidere la vita del nascituro», ha detto il  rappresentante vaticano all’Onu, ribadendo che «la Santa Sede non  considera l’aborto» una misura «per la salute riproduttiva» e anzi  ritiene «contraddittorio l’aborto sicuro: è un mezzo per “proteggere” i  diritti umani di donne e bambini quando di fatto esso nega al nascituro  il diritto più fondamentale, quello alla vita».
 L’intervento di  Jurkovič è riportato dall’Osservatore Romano di oggi, all’interno di una  scarna notizia che dà conto del risultato del referendum irlandese, e  quindi può essere considerata la posizione ufficiale di Oltretevere.
 Profilo più basso, invece, da parte dei vescovi irlandesi, dopo che a  marzo la stessa Conferenza episcopale aveva dichiarato di ritenere  inopportuno il sostegno al referendum. 
 Ovviamente hanno fatto  campagna elettorale per il no fino al giorno prima del referendum,  quando monsignor Martin, arcivescovo di Armagh e primate di Irlanda, ha  invitato i fedeli a «scegliere la vita» (unica eccezione il vescovo di  Limerick, monsignor Kearon, che ha annunciato di votare per abrogare  l’ottavo emendamento della Costituzione, sebbene approvi l’aborto solo  in casi gravi come stupro, incesto o pericolo di morte per la donna). Ma  senza i toni da crociata del passato, utilizzati invece dalle  organizzazioni pro-life.
 Del resto in Irlanda la Chiesa cattolica  appare piuttosto screditata per i numerosi scandali di pedofilia ed è  reduce da due sconfitte nell’ultimo ventennio: i referendum che hanno  approvato il divorzio nel 1995 (di stretta misura) e il matrimonio  omosessuale nel 2015 (62% di sì). E ora l’aborto, con una percentuale di  favorevoli ancora più alta. Segno che la secolarizzazione avanza a  grandi passi anche nella (ex) cattolicissima Irlanda, dove ad agosto è  atteso papa Francesco per l’incontro mondiale delle famiglie.
(Luca Kocci, il manifesto, 27 maggio 2018) 
