Agostinho Neto è una delle figure più carismatiche del nazionalismo angolano. Poeta, medico e guerrigliero contribuì in maniera determinante alle lotte di liberazione nazionale del popolo angolano che l’11 settembre 1975 ottenne l’indipendenzadopo ben cinque secoli di colonizzazione portoghese. Nacque così la Repubblica d’Angola e Antonio Agostinho Neto, eletto primo Presidente, portò avanti il mandato nell’amato Paese fino al 1979, anno della sua morte.
Era nato nel 1922 a Kaxicane, villaggio di lingua kimbundu, a meno di un centinaio di Km da Luanda. Figlio di un pastore metodista e di una maestra elementare, ben presto si dedicò al volontariato nei servizi sanitari prestando la sua opera nei “musseques”, ossia nei quartieri più poveri di Luanda ove conobbe da vicino la miseria e il dolore in cui era costretta a vivere molta gente. Il desiderio di poter essere d’aiuto agli altri lo spinse ad iscriversi alla Facoltà di Medicina dell’Università portoghese di Coimbra dove animò la “Casa dos estudantes do Impèrio” insieme ad altri intellettuali africani e collaborò alle attività anticolonialiste. Tra il 1942 e il 1953 pubblicò sette testi rilevanti dal punto di vista storiografico.
Trasferitosi a Lisbona frequentò il Movimento dei giovani intellettuali di Angola il cui motto era “Vamosdescobrir Angola” (Scopriremo l’Angola) con le sue tradizioni e culture negate. Benpresto cadde sotto la sorveglianza della PIDE, la polizia segreta del regime fascista di Antonio de Oliveira Salazar e fu arrestato una prima volta nel 1951 mentre raccoglieva firme per la pace nel mondo.
«Noi dell’Africa immensa / ecco le nostre mani / aperte alla fratellanza del mondo / per la Pace ecco le nostre voci»
scrisse nella poesia “Sanguinanti e germoglianti”.
Iniziò per lui una serie di arresti tanto che nel 1957 Amnesty International lo proclamò “prigioniero politico dell’anno” ponendo il suo caso e quello delle colonie portoghesi all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Rientrato in Angola nel 1960, venne nuovamente arrestato e condannato all’esilio, prima in Portogallo poi a Capoverde.
Sempre in quell’anno Agostinho divenne il principale teorizzatore politico del MPLA, il Movimento poli-tico per la Liberazione dell’Angola fondato nel 1956. Iniziarono gli anni della clandestinità e della drammatica scelta della lotta armata contro il dominio portoghese. Come massimo esponente del MPLA organizzò l’azione armata nei fronti creati dai patrioti angolani a Cabinda, Moxico e Luanda per dare impulso alla lotta di liberazione nazionale. Per Agostinho la lotta armata divenne l’unica risposta dei nazionalisti angolani contro la colonizzazione portoghese. Del Paese liberato assunse la Presidenza nel 1975, ma la guerra continuò per altri 30 anni. Era una guerra civile voluta e finanziata dall’Occidente: il movimento di opposizione UNITA era infatti armato direttamente dal regime sudafricano dell’apartheid.
Durante il suo mandato presidenziale Agostinho Neto si battè per l’organizzazione delle istituzioni nazionali. Infatti aveva tre grandi preoccupazioni: la difesa delle frontiere nazionali, la ricostruzione economica e la liberazione dell’Africa. Diede vita all’ União dos Escritores Angolanos (Unione degli Scrittori Angolani) e riconobbe che il Paese avrebbe trovato la strada della libertà con maggiore fatica senza l’aiuto della letteratura. La poesia e la politica costituirono per lui due grandi vocazioni maturate durante la permanenza in Portogallo, quando era forte il confronto con il pensiero dei grandi filosofi occidentali e il contatto con altri studenti provenienti dalle colonie portoghesi. La poesia e la politica si intrecciarono in lui divenendo l’una complementare all’altra: respiro primordiale dell’anima e allo stesso tempo strumento fondante della Storia del popolo angolano alla ricerca delle proprie radici. Radici spezzate, frantumate da ben cinque secoli di oppressione coloniale, radici che andavano ricomponendosi anche grazie alla poesia di resistenza che si identificava con quanto esisteva di autenticamente popolare. Il ruolo della cultura popolare assunse quindi molta importanza nel percorso di liberazione e riappropriazione dei valori angolani.
Dall’opera poetica di Agostinho Neto emerge la filosofia bantu, la lingua kimbundu, l’importanza del “kolokota” che in kimbundu significa energia vitale e serve a «difendere la nostra terra / è terra nostra, fratello / forza!» (da “Notti di carcere”). Egli nutre un forte interesse linguistico inteso come fattore importante per il progresso civile, come mezzo previlegiato per riflettere e acquisire coscienza sociale.
La coscienza di un individuo è prima di tutto linguistica e in questo l’uso del dialetto è importante per consolidare l’identità nazionale angolana. La vena poetica di Neto diventa uno strumento catalizzatore per il popolo impegnato nella lotta per la conquista dell’indipendenza nazionale contro il regime fascista portoghese. Il suo messaggio infonde quella “Speranza Sacra” di pace e dignità che dà anche il titolo al libro che racchiude i versi composti tra il 1948 e il 1960, pubblicato in Italia da Edizioni Lavoro, a cura del filosofo angolano Pedro Francisco Miguel. La Speranza costituisce una costante nella poesia di Agostinho Neto, Speranza che è fede profonda nella capacità di un popolo di vincere la schiavitù. La speranza è presente nelle file di “contratados” (lavoratori a giornata) che trasportavano pesanti fardelli e comunque non smettevano di cantare; è presente nelle terre in cui il lavoro forzato dei neri “costruì mondi meravigliosi” in condizioni di criminosa oppressione.
Nella sua poesia ricorre spesso un io-noi corale che dà voce a migliaia di storie senza voce descrivendo la denutrizione e le situazioni estreme cui il colonialismo ha condotto il popolo. In realtà i temi legati alla colonizzazione e alla schiavitù marchiano tutta la sua poesia che nasce “con gli occhi asciutti”, cioè senza sentimentalismi, ma ricca e intensa, quale richiamo alla dignità e alla lotta: «Non stiamo ad aspettare gli eroi, se uniamo le nostre voci e le nostre braccia saremo noi stessi gli eroi. Difendiamo palmo a palmo la nostra terra, mandiamo via il nemico e cantiamo in una lotta viva ed eroica… Domani intoneremo inni alla libertà, quando commemoreremo la data dell’abolizione di questa schiavitù»