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sabato, Ottobre 5, 2024

Agostinho Neto, il padre dell’Angola indipendente

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Agostinho Neto è una delle figure più carismatiche del nazionalismo angolano. Poeta, medico e guerrigliero contribuì in maniera determinante alle lotte di liberazione nazionale del popolo angolano che l’11 settembre 1975 ottenne l’indipendenzadopo ben cinque secoli di colonizzazione portoghese. Nacque così la Repubblica d’Angola e Antonio Agostinho Neto, eletto primo Presidente, portò avanti il mandato nell’amato Paese fino al 1979, anno della sua morte.
Era nato nel 1922 a Kaxicane, villaggio di lingua kimbundu, a meno di un centinaio di Km da Luanda. Figlio di un pastore metodista e di una maestra elementare, ben presto si dedicò al volontariato nei servizi sanitari prestando la sua opera nei “musseques”, ossia nei quartieri più poveri di Luanda ove conobbe da vicino la miseria e il dolore in cui era costretta a vivere molta gente. Il desiderio di poter essere d’aiuto agli altri lo spinse ad iscriversi alla Facoltà di Medicina dell’Università portoghese di Coimbra dove animò la “Casa dos estudantes do Impèrio” insieme ad altri intellettuali africani e collaborò alle attività anticolonialiste. Tra il 1942 e il 1953 pubblicò  sette  testi  rilevanti  dal  punto  di  vista storiografico. 
Trasferitosi a Lisbona frequentò il Movimento dei  giovani  intellettuali  di  Angola  il  cui  motto  era  “Vamosdescobrir  Angola”  (Scopriremo  l’Angola) con le sue tradizioni e culture negate. Benpresto cadde sotto la sorveglianza della PIDE, la polizia segreta del regime fascista di Antonio de Oliveira Salazar  e  fu  arrestato una  prima  volta  nel  1951  mentre  raccoglieva  firme  per  la  pace  nel  mondo. 
«Noi dell’Africa immensa  /  ecco  le  nostre  mani  / aperte  alla  fratellanza  del  mondo  /  per  la Pace ecco le nostre voci»
scrisse nella poesia “Sanguinanti e germoglianti”.
Iniziò per lui una serie di arresti tanto che nel 1957  Amnesty International  lo  proclamò   “prigioniero   politico   dell’anno” ponendo  il  suo  caso  e  quello  delle  colonie portoghesi all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Rientrato in Angola nel 1960, venne nuovamente  arrestato  e  condannato  all’esilio, prima   in   Portogallo   poi   a   Capoverde.
Sempre in quell’anno Agostinho divenne il principale teorizzatore politico del MPLA, il Movimento poli-tico  per  la  Liberazione  dell’Angola fondato nel 1956. Iniziarono gli anni  della  clandestinità  e  della  drammatica scelta della lotta armata contro  il  dominio  portoghese.  Come massimo  esponente  del  MPLA  organizzò  l’azione  armata  nei  fronti creati dai patrioti angolani a Cabinda,  Moxico  e  Luanda  per  dare  impulso alla lotta di liberazione nazionale.  Per  Agostinho  la  lotta  armata divenne l’unica risposta dei nazionalisti angolani contro la colonizzazione  portoghese.  Del Paese  liberato assunse  la  Presidenza  nel  1975,  ma la guerra continuò per altri 30 anni. Era una guerra civile voluta e finanziata  dall’Occidente:  il  movimento di  opposizione  UNITA  era  infatti armato direttamente dal regime sudafricano dell’apartheid.
Durante il  suo  mandato  presidenziale  Agostinho  Neto  si  battè  per l’organizzazione    delle    istituzioni nazionali.  Infatti  aveva  tre  grandi preoccupazioni: la difesa delle frontiere nazionali, la ricostruzione economica  e  la  liberazione  dell’Africa. Diede  vita  all’ União  dos  Escritores Angolanos (Unione  degli  Scrittori Angolani)  e  riconobbe  che  il  Paese avrebbe trovato la strada della libertà con maggiore fatica senza l’aiuto della letteratura. La poesia e la politica  costituirono per  lui  due  grandi vocazioni  maturate  durante  la  permanenza in Portogallo, quando era forte il confronto con il pensiero dei grandi  filosofi  occidentali  e  il  contatto  con  altri  studenti  provenienti dalle  colonie  portoghesi. La  poesia e la politica si intrecciarono in lui divenendo  l’una  complementare  all’altra:  respiro  primordiale  dell’anima  e  allo  stesso  tempo  strumento fondante della Storia del popolo angolano  alla  ricerca  delle  proprie  radici. Radici spezzate, frantumate da ben cinque secoli di oppressione coloniale, radici che andavano ricomponendosi  anche  grazie  alla  poesia di  resistenza  che  si  identificava  con quanto  esisteva  di  autenticamente popolare.  Il ruolo della cultura popolare assunse  quindi  molta  importanza  nel  percorso  di  liberazione  e riappropriazione dei valori angolani.
Dall’opera   poetica   di   Agostinho Neto emerge la filosofia bantu, la lingua kimbundu, l’importanza del “kolokota” che in kimbundu significa energia vitale e serve a «difendere la nostra terra  /  è  terra  nostra, fratello / forza!» (da “Notti di carcere”).  Egli nutre un forte interesse linguistico inteso come fattore importante per il  progresso  civile,  come mezzo previlegiato per riflettere e acquisire coscienza sociale.
La coscienza di un individuo è prima di tutto linguistica e in questo l’uso del dialetto è importante per consolidare  l’identità nazionale  angolana. La vena poetica di Neto diventa uno strumento catalizzatore per il popolo impegnato nella lotta per la conquista dell’indipendenza nazionale contro il regime fascista portoghese. Il suo messaggio infonde quella “Speranza Sacra” di pace e dignità che dà anche il titolo al libro che racchiude i versi   composti   tra   il 1948 e il 1960, pubblicato in Italia da Edizioni Lavoro, a cura del filosofo angolano Pedro Francisco Miguel. La Speranza costituisce una costante nella   poesia   di   Agostinho   Neto, Speranza che è  fede  profonda  nella capacità  di  un  popolo  di  vincere  la schiavitù. La speranza è presente nelle file di “contratados” (lavoratori a giornata) che trasportavano pesanti fardelli e comunque non smettevano  di  cantare;  è  presente  nelle terre in cui il lavoro forzato dei neri “costruì mondi meravigliosi” in condizioni di criminosa oppressione.
Nella  sua  poesia  ricorre  spesso  un io-noi corale che dà voce a migliaia di  storie  senza  voce  descrivendo  la denutrizione e le situazioni estreme cui  il  colonialismo  ha  condotto  il popolo.  In realtà i  temi  legati  alla colonizzazione e alla schiavitù marchiano tutta la sua poesia che nasce “con  gli  occhi  asciutti”,  cioè  senza sentimentalismi,  ma  ricca  e  intensa, quale richiamo alla dignità e alla lotta:  «Non  stiamo  ad  aspettare  gli eroi,  se  uniamo  le  nostre  voci  e  le nostre  braccia  saremo  noi  stessi  gli eroi.  Difendiamo palmo a palmo la nostra terra, mandiamo via il nemico  e  cantiamo  in  una  lotta  viva  ed eroica…  Domani intoneremo inni alla  libertà,  quando  commemoreremo la data dell’abolizione di questa schiavitù»
(Antonella Rita Roscilli, Patria Indipendente , 2005)
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