venerdì, Novembre 22, 2024

La grande regressione (1a parte)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

AA.VV., La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo, Milano,Universale Feltrinelli, 2017 pag. 221-234,

Di questo libro avevo già presentato una riflessione di Arjun Appandurai che approfondiva il tema della nascita dei populismi mettendo l’”insofferenza verso la democrazia” come una delle cause principali.

https://donpaolo.it/2018/07/linsofferenza-verso-la-democrazia-1parte-di-arjun-appadurai/

Ora vorrei riportare l’opinione di Slavoj Žižek, che affronta lo stesso tema e cerca di spiegare il perchè le classi povere cadano vittime di una propaganda che alla fine danneggerà ancor di più la loro vita. Inoltre prova a dare indicazioni per la rinascita di una “sinistra” veramente radicale.

Leggiamo insieme….

“Ci sono due generalizzazioni sbagliate sulla società di oggi: la prima dice che viviamo in un’epoca di antisemitismo universalizzato: con la sconfitta militare del fascismo, il ruolo un tempo giocato dalla figura (…) dell’ebreo è ora ricoperto da qualsiasi gruppo straniero che venga percepito come una minaccia all’identità: i latinos, gli africani e soprattutto i musulmani che oggi, nelle società occidentali, vengono trattati sempre più come nuovi “ebrei”.

L’altra generalizzazione scorretta è quella secondo cui la caduta del muro di Berlino avrebbe portato alla proliferazione di nuovi muri allo scopo di separarci dall’Altro pericoloso (il muro che separa Israele dalla Cisgiordania, il muro in programma tra gli Stati Uniti e il Messico ecc). Tutto vero ma esiste una distinzione fondamentale tra i due tipi di muri. Il muro di Berlino rappresentava la divisione del mondo al tempo della guerra fredda e, pur essendo percepito come la barriera che teneva isolate le popolazioni degli Stati comunisti totalitari, segnalava anche che il capitalismo non era l’unica opzione, che un’alternativa benché fallita esisteva. I muri che vediamo levarsi oggi per converso, sono muri la cui costruzione è stata scatenata dalla caduta dello stesso muro di Berlino, cioè dalla disintegrazione dell’ordine comunista; essi non rappresentano la divisione tra capitalismo e comunismo, ma quella immanente all’ordine capitalista mondiale (…).

Quanto alla prima generalizzazione esiste una differenza piuttosto ovvia tra il fascismo vero e proprio è l’odierno populismo anti-immigrazione. (…)

Gli immigrati musulmani non sono gli ebrei di oggi: essi non sono invisibili, anzi sono fin troppo visibili; non sono affatto integrati nelle nostre società e nessuno afferma che siano coloro che nell’ombra tirano le fila. Se proprio si vuole scorgere nella loro “invasione dell’Europa” un complotto segreto, allora si deve supporre che dietro ci siano gli ebrei, come afferma un testo apparso poco tempo fa in uno dei principali settimanali di destra sloveni in cui si può leggere:

“George Soros è una delle persone più depravate e pericolose del nostro tempo, responsabile dell’invasione delle orde negroidi e semitiche e dunque del crepuscolo dell’Unione Europea, essendo un tipico sionista talmudico, egli è un nemico mortale della civiltà occidentale, dello stato-nazione e dell’uomo bianco europeo”. Il suo scopo sarebbe quello di costruire” una coalizione arcobaleno, composta da emarginati sociali come i froci, le femministe, i musulmani e i marxisti che odiano il lavoro, al fine di attuare una decostruzione dello Stato nazionale e trasformare l’Unione Europea nella distopia multiculturale degli Stati Uniti d’Europa.”

Quali forze dunque si opporrebbero a Soros?

“Viktor Orban e Vladimir Putin sono gli unici politici lungimiranti ad aver compreso appieno le macchinazioni di soros e ad aver proibito di conseguenza l’attività delle sue organizzazioni.” Inoltre, secondo il commentatore sloveno, Soros è incoerente nella sua promozione del multiculturalismo. “Egli lo promuove esclusivamente in Europa e negli Stati Uniti, mentre nel caso di Israele è d’accordo, in modo per me del tutto comprensibile, con il suo monoculturalismo, il suo razzismo latente e l’idea di costruire un muro” (…)

Sono due le caratteristiche da notare in questo testo al di là del suo incredibile e spudorato razzismo. In primo luogo esso unisce antisemitismo e islamofobia: la minaccia dell’Europa sono le orde musulmane dei rifugiati, ma dietro a questo fenomeno caotico ci sono gli ebrei. In secondo luogo esso prende apertamente posizione del conflitto interno alla destra europea attorno alla figura di Putin. Per un verso, Putin è malvagio, e, una minaccia per l’Europa in particolare per i paesi post-comunisti confinanti, un uomo che cerca di compromettere l’Unione Europea con le sue macchinazioni; per l’altro, egli ha capito il pericolo del multiculturalismo e del permissivismo occidentali e ha saggiamente impedito che il suo paese ne resti travolto.

E’ solo su questa base che si può comprendere l’incoerente posizione di Trump nei confronti della Russia: se i repubblicani radicali non facevano altro che attaccare Obama per il suo atteggiamento fin troppo morbido per Putin, un atteggiamento che tollerava le aggressioni militari russe in Georgia e Crimea, mettendo in questo modo in pericolo e gli alleati occidentali in est Europa, ora i sostenitori Trump difendono un approccio sempre più accondiscendente verso la Russia.  Qui il problema di fondo è il seguente: come si possono unire le due contrapposizioni ideologiche quella tra il tradizionalismo e relativismo secolare, e quella da cui dipende tutto la legittimità dell’Occidente e della sua guerra “al terrore” e cioè l’opposizione tra i diritti individuali liberaldemocratici e il fondamentalismo religioso incarnato principalmente dall’” islamofascismo”?

In questo consiste l’incoerenza sintomatica dei neoconservatori americani: mentre in politica interna con la battaglia della “cultura della vita” contro “la cultura della morte” privilegiano la lotta al secolarismo liberale (l’aborto, i matrimoni gay…) in politica estera prediligono valori della “cultura della morte liberale”. (…)

A questa visione minoritaria (…) si contrappone la visione liberaldemocratica predominante, che identifica il suo nemico principale con ogni tipo di fondamentalismo e percepisce quello   cristiano/americano, come una deplorevole versione casalinga di islamofascismo. Tuttavia oggi questo predominio è minacciato: quella che fino a poco tempo fa era un’opzione marginale, limitata alle teorie cospirazioniste che che fioriscono nel sottosuolo dei social media, sta diventando la posizione egemonica del nostro spazio pubblico.

Sia Trump che Putin hanno sostenuto la Brexit, entrambi appartengono al fronte conservatore nazionalista estremo del “Prima l’America/la Russia” che percepisce l’Europa unita come il suo più grande nemico ed entrambi hanno ragione.

Il problema dell’Europa è cercare di restare fedele alla sua eredità minacciata dall’aggressione conservatrice populista e la prima cosa da fare per riscattare questa verità, è indagare le cause profonde del successo di Trump.”

 

Slavoj Žižek (Lubiana, 21 marzo 1949) è un filosofo e psicanalista sloveno.
Ricercatore all’Istituto di Sociologia dell’Università di Lubiana, è docente all’European Graduate School e Direttore del Birkbeck Institute for the Humanities presso l’Università di Londra. Nel corso degli anni, è stato professore invitato in numerose università, in particolare negli Stati Uniti (Columbia, Princeton, The New School, New York University, Michigan, SUNY Buffalo, Georgetown). Dal luglio 2013 è Eminent Scholar presso l’Università Kyung Hee di Seul.

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