venerdì, Novembre 22, 2024

Un Vangelo “oltre le religioni”: Mt 17, 1-9 (don Paolo Zambaldi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Trasfigurazione: etimologicamente “modificazione”, “cambiamento”, “cambiamento dell’apparenza/aspetto”

Il termine trasfigurazione ci fa subito pensare (complice anche molta predicazione, quadri, immagini del catechismo…) a un fenomeno ultra-sensoriale o a una sorta di manifestazione miracolosa!

Infatti si è sempre detto che sul monte Tabor, Gesù si “trasforma” nel risorto, con l’intento di rassicurare gli apostoli circa la sua divinità, prima dell’esperienza destabilizzante della sua morte, una morte infamante.

Questa interpretazione “tradizionale” è legata, in realtà, ad una visione magico-mitologica della persona di Gesù derivata da una descrizione di Dio come di colui che “dall’alto dei cieli” determina il nostro destino, secondo la sua volontà, attraverso i suoi mediatori (prescelti, capi tribù, giudici, profeti…) e infine attraverso un figlio/uomo/Dio da “sacrificare”, per la nostra salvezza.

Ora è necessario mettere a fuoco in questo racconto alcuni elementi che serviranno a chiarirne meglio il significato. Per farlo dobbiamo abbandonare le spiegazioni che abbiamo ricevuto in precedenza e aprirci ad un nuovo modo di concepire Dio (e, di conseguenza, anche Gesù!) liberando ambedue dalle interpretazioni bibliche letterali, che ne sfigurano l’immagine.

a) Prima di tutto “questa trasfigurazione” non è un fatto storico/accertabile, come ormai da anni afferma tutta l’esegesi biblica (almeno quella valida e seria!), ne è avvenuto così come è descritto, come cioè se fosse una cronaca in presa diretta.

Esso è piuttosto il ripensamento di un incontro. Il Vangelo di Matteo è stato scritto molto tempo dopo la morte/resurrezione e si rivolge a una comunità ebraico-cristiana alla quale vuole spiegare il ruolo di Gesù all’interno della storia della salvezza.

In quest’ottica (tutta ebraica) Gesù si pone come punto di arrivo della storia del popolo d’Israele, che, come sappiamo, si sviluppa seguendo due vie: la Legge (Mosè) e la profezia/annuncio (Elia), ambedue rappresentate sul Tabor.

Dunque Matteo precisa con il suo racconto, che Gesù è colui che completa la profezia (nel senso che la realizza) e che per quanto riguarda la Legge mosaica pur non rifiutandola la supera, la specifica, la completa con il discorso della montagna.

Per questo Matteo dice “è bello per noi stare qui”. Cioè riconosciamo che tu sei il punto di arrivo della storia, non dobbiamo cercare, né aspettare altro/i.

b) All’improvviso “la luce si spegne” e i discepoli vedono che Gesù è un uomo come loro e si potrebbe dire che ciò li riporta coi piedi per terra, sono sgomenti, e soprattutto ricordano/prendono coscienza del suo terribile destino di morte. Destino difficilmente spiegabile ed accettabile, sia razionalmente che umanamente, per chi concepisce Dio non solo come padre, ma come onnipotente….

Come dunque giustificare la dichiarazione di Matteo “Gesù è la conclusione della storia della salvezza, non dobbiamo cercare altro”? Possiamo dare due spiegazioni riguardo a questa affermazione.

1) La Chiesa è l’unico recinto possibile dentro il quale portare tutti. Infatti così come il testo mosaico (e le sue applicazioni cultuali) viene custodito nella Sinagoga, il Vangelo viene custodito nella comunità/ecclesia e solo da essa viene interpretato e diffuso tra i popoli (…ad ogni costo!). Imprigionare il Vangelo, però, si è rivelato un errore/orrore tipico delle chiese/religioni storiche, che si sono via via trasformate in istituzioni in competizione coi potentati del mondo. Per farlo hanno avuto bisogno di puntelli interpretativi, dogmatici e teologici che hanno generato come diceva Ivan Illich “il pervertimento del cristianesimo” e hanno “sfigurato/trasfigurato” l’immagine di Gesù.

2) Un’altra possibile interpretazione…

Gesù è solo. É un uomo come gli altri. Porta su di sé le conseguenze delle cose che dice. Un destino di condanna e di morte. Lui non avrebbe voluto quella sua apparizione gloriosa: è di fatto un “inganno” perché distoglie dalla vita vera e dalle scelte che comporta. Gli è stata costruita addosso per dare un messaggio agli ebrei e tra loro a quelli che lo avevano sempre osteggiato e infine mandato a processo.

Gesù è venuto infatti non a sigillare/conservare il passato ma a scomporlo, a renderlo aperto al vento creativo dello spirito, (“É stato detto… ma io vi dico”), a liberare la Verità da un’appartenenza etnica, religiosa, politica, di genere, per renderla universale, valida per ogni uomo in ogni tempo. In questo senso egli è la conclusione della storia della salvezza, non dobbiamo cercare altro.

Egli infatti ci invita con tutta la sua predicazione a scendere dal monte dello spiritualismo, del sacro, dell’appartato, per costruire, certo con fatica e spesso senza successo, nuovi rapporti tra gli uomini/donne perché è quella l’unica via che ci permette una vita “altra”, una vita di senso.

Egli ci invita a uscire dalla casa del padre, ci libera dal bisogno di religioni protettive e garanti della salvezza, ci emancipa dalla Legge così riduttiva rispetto alla libertà dello spirito, ci esonera dal rivestire lui di vesti sfolgoranti (pseudo-mistiche/pseudo-teologiche/dogmatiche/miracolistiche)…

Egli ci propone di abbandonare l’infanzia dello spirito per assumerci la responsabilità di “trasfigurare il mondo” rendendolo più permeabile all’amore.   

Solo così potremmo parlare di un dio che non è più né padre, né figlio, ma semplicemente “spirito di Verità” e come tale racchiuso in noi tutti, in attesa di essere scoperto.

don Paolo Zambaldi

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