mercoledì, Dicembre 18, 2024

“Farisei, pubblicani e preghiere…”, XXX T.O., anno C (don Paolo Zambaldi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

(2Tm 4,6-8.16-18)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

(Lc 18,9-14)

Durante le nostre ultime riflessioni domenicali abbiamo approfondito varie volte un aspetto essenziale dell’annuncio evangelico… Un concetto che si può facilmente riassumere con le parole stesse delle Beatitudini: “Beati i poveri/gli ultimi/i lontani/gli emarginati”

Oggi cercheremo di approfondire, almeno un po’, questa Parola che ci parla di tante “condizioni/situazioni” e che ci interpella da vicino come donne e uomini che sono immersi in un percorso di fede e di ricerca… Tante e diverse “povertà”, non solo quella economica, che ci costringono a riflettere e ad immedesimarci nell’altro.

1)Povertà materiale…

Il mio ragionamento è partito in modo naturale dalla povertà più evidente: quella materiale! E molte domande sono emerse:

Quale è il mio atteggiamento nei confronti di chi è “economicamente povero”?

Sono capace di essere solidale con queste sorelle e con questi fratelli?

La mia preghiera si lascia interrogare da queste tragiche realtà?

Riesco ad unirmi a loro per invocare giustizia, diritti, eguaglianza, oppure la mia preghiera è sempre e solo incentrata su di me?

Sono capace di attivarmi concretamente perchè la “Buona Novella” del Vangelo diventi realtà con il mio impegno quotidiano, con una presa di coscienza diversa, con le mie scelte di fede, politiche, economiche?

2)E se la giustizia di Dio tarda ad arrivare?

Siamo onesti… Quante volte, guardando ai mille contesti in cui viviamo, ci sembra di vedere un mondo in cui va in scena una sorta di “discorso della montagna” al contrario, una serie di beatitudini capovolte, una realtà dove le parole del profeta di Nazareth sembrano cadere nel vuoto… come nulla fosse accaduto…

Quando ci capita di parlare con amici o conoscenti, quando involontariamente “origliamo” un discorso tra estranei, quando ci dobbiamo confrontare con persone che sono molto lontane dal nostro modo di pensare e dal nostro cammino di fede… emerge, quasi sempre, il tema dell’ “inutilità” del Vangelo. Molti lo definiscono un sogno o una “pia illusione”, un “oppio”, una consoloazione per gli sconfitti della storia.

“Il settimo dice non ammazzare/Se del cielo vuoi essere degno/

Guardatela oggi, questa legge di Dio/Tre volte inchiodata nel legno/

Guardate la fine di quel nazareno/E un ladro non muore di meno”

Così cantava nel celebre brano “Il testamento di Tito” Fabrizio De André nel 1970 (…e non a caso l’album si intitolava “La buona novella”!).

Se infatti guardiamo alla fine di Gesù con gli occhi/logica del mondo, essa ci parla di un perdente, di uno sconfitto, di una storia finita molto male.

Infatti ancora oggi, nonostante il Vangelo e più di 2000 anni di cristianesimo, i poveri, gli ultimi, quelli che contano poco o niente sono ancora maledetti, disgraziati, abbandonati; mentre i ricchi, gli sfruttatori, i potenti sono sempre più “beati”…

Ma c’è di peggio: gli autoproclamati “giusti” (ricchi e potenti) creano leggi a loro favore e modelli di giustizia secondo il loro tornaconto… e uccidono, imprigionano, screditano tutti coloro che non vi si attengono!

Davanti ai nostri occhi abbiamo un ordine mondiale neoliberista che condanna alla fame popoli interi, che scatena guerre per l’egemonia di questo o dell’altro gruppo/lobby di potere, che legittima politiche economiche predatorie, ingiuste e criminali, che vede il mondo/creato come qualcosa da sfruttare a proprio piacimento, che inonda di armi tutto il mondo e che poi respinge i migranti che le sue stesse politche/scelte hanno generato… (illuminanti le parole del pacifista tedesco Jürgen Grässlin: “Chi semina armi raccoglie migranti!”).

Tutto sembra continuare come sempre… Nulla sembra essere cambiato!

3)Questo testo contiene anche un appello alla nostra “responsabilità” e alla nostra continua “conversione”…

Gesù non è nè un mago nè un indovino! Egli è un uomo che ha comunicato con Dio senza bisogno di mediazioni, che ha avuto con l’Eterno una condivisione totale di Sapienza e di Verità, tanto da diventare egli stesso “bocca di Dio” (come ebbe a scrivere il filosofo di origini ebraiche Baruch Spinoza!).

Una persona che ci invita ad una presa di responsabilità diversa: più profonda e più radicale! Egli sembra dire a ciascuno di noi: “Ora tocca a te far sì che venga il Regno di Dio già su questa terra!”.

Su questo si misurerà la nostra fede: il nostro impegno perchè questo Regno (diverso dai regni e dalle logiche del mondo!) si riealizzi! E questo esaudirà una doppia attesa: quella dei poveri e degli ultimi che sperano nella giustizia, e quella di Dio che aspetta il momento/il giorno per manifestarsi.

Il Vangelo che abbiamo letto oggi ci costringe, se siamo onesti, a riflettere a fondo sull’essere poveri/ultimi/peccatori/esclusi! Infatti esistono vari aspetti, complementari tra loro, di questo essere carenti… Aspetti che influenzano pesantemente il modo di rivolgersi a Dio:

A)Poveri/ultimi in senso più “stretto”/materiale…

La preghiera di questi fratelli e sorelle è piena di futuro… Essa è un grido che si leva a Dio, una “provocazione” per noi che ci riteniamo giusti, una richiesta di giustizia/riconoscimento!

B)Poveri/ultimi perchè impotenti dinnanzi al potere…

Questa condizione l’ abbiamo provata sicuramente tutte/i: sentirsi “piccoli”, “schiacciati”, ininfluenti di fronte ad un sistema sociale, politico ed economico che punta tutto su logiche di potere! Questo può generare in noi paura, disperazione, poca fiducia nella promessa del Signore…

La preghiera in questa condizione non deve essere una comoda fuga da una realtà che non riusciamo a gestire: essa deve diventare misura della nostra pazienza/attesa, la capacità di conservare in noi una speranza nuova per il futuro, l’impegno a non mollare mai!

Paolo di Tarso in questo è molto chiaro e offre una buona prospettiva: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.”

C)Il “peccato” come povertà

Il Vangelo di oggi parla anche a noi… Noi che ci definiamo cristiani, cattolici, particanti! Il fariseo della parabola lucana è dentro di noi: nel nostro modo di pensare, di agire, di parlare… anche di pregare! Il messaggio di Gesù chiama ciascuno di noi ad espellere dalla sua vita questo modo di pensare “farisaico”, che divide tra “giusto” e “peccatore”, tra chi è “dentro” e chi deve stare “fuori”, che ha creato un Dio-giudice e si è autonominato suo interprete ed esecutore…

Siamo pieni di sedicenti cristiani che hanno ucciso la fede, la speranza e l’amore per Dio e il prossimo a suon di regole e regolette (tutte umane!), di dottrina, di rinunce/privazioni/sacrifici per compiacere un Dio-tiranno che esiste solo nelle loro menti fragili e alienate.

Se per vivere bene la mia fede ho bisogno di alzare muri, di giudicare gli altri, di distinguere tra “puro” ed “impuro”, se per preghiera intendo una serie infinita di formule per farmi “sentire” da Dio, se ho bisogno di segni/prodigi/fantasiosi “miracoli”… Allora qualcosa non va nel verso giusto!

Personalmente non ho bisogno nè di questi “cristiani” nè della loro “religione”… e mi tengo ancorato alla Parola e ad una sua lettura più onesta e veritiera!

Una Parola che ci chiede di riflettere seriamente e di rivedere il nostro modo di vivere la fede cristiana, senza scappatoie ma anche con molta libertà! Smettendo di fuggire in “paradisi artificiali” e di piegare il Vangelo alle nostre esigenze.

don Paolo Zambaldi

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