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Germania: il movimento di donne cattoliche “Maria 2.0” compie 3 anni. Un bilancio (Ludovica Eugenio)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

MONACO-ADISTA. Era il 2019 quando in Germania un gruppo di donne cattoliche, battezzatosi “Maria 2.0”, fece clamore in tutto il Paese e non solo, indicendo uno sciopero delle donne dalle attività ecclesiali per una settimana in segno di protesta, e affiggendo sui muri delle cattedrali e delle chiese tedesche sette tesi (v. Adista Notizie n. 13/19) nelle quali chiedevano, tra le altre cose, l’accesso ai ministeri ordinati e l’accettazione e la benedizione delle relazioni omosessuali nella Chiesa. Nel frattempo, “Maria 2.0” è diventata una realtà di portata nazionale, con un centinaio di gruppi locali in tutto il Paese, ma anche dall’estero si guarda alla realtà come fonte di ispirazione. Sul sito katholisch.de (17/1), Katrin Richthofer, una delle fondatrici del gruppo di Monaco, 51enne, regista di documentari, divorziata e risposata, traccia un primo bilancio delle numerose campagne lanciate (come le cartoline inviate a papa Francesco e la campagna #liebegewinnt, “l’amore vince”, per la benedizione delle coppie omosessuali, oltre a una presa di posizione sul Sinodo mondiale) e delle tracce che queste hanno lasciato: «Basta ascoltare quello che dicono ora alcuni vescovi: ci sono sicuramente delle frasi che potrebbero venire da “Maria 2.0”. Ho l’impressione che molte delle attuali idee di riforma nella Chiesa siano diventate anche socialmente accettabili grazie alle donne di “Maria 2.0”. Non siamo un gruppo marginale, veniamo dal cuore della Chiesa. I nostri membri mantengono viva la vita della comunità in molti luoghi. A questo proposito, credo che molti vescovi e pastori abbiano capito: quando chi fa la rivoluzione ha questo aspetto – monache, animatrici di gruppi di giovani, di preparazione alla prima comunione e alla cresima, lettrici, tutte tra i 20 e gli 85 anni – allora significa proprio: “Bisogna agire!”».

Il gruppo di Monaco ha recentemente incontrato l’arcivescovo di Monaco card. Reinhard Marx: «Ovviamente non dice: “Hai ragione, è vero che le donne devono stare all’altare”. Non va così lontano. Ma ci sono sicuramente discussioni costruttive, ci sono reazioni positive a ciò che scriviamo e ciò che facciamo in termini di campagne. Ci sentiamo in ottime mani con il vescovo Bätzing, presidente della Conferenza episcopale, quando sentiamo ciò che ha da dire su molti argomenti. Di certo non raggiungeremo tutti i vescovi. Ma ho la sensazione che veniamo ascoltati. Ciò che facciamo è accolto positivamente anche in molti altri luoghi della Chiesa. Noi qui a Monaco siamo stati convocati a seguito della campagna #liebegewinnt. Sorprendentemente, siamo stati ringraziati per quello che abbiamo fatto». Maria 2.0 ha anche unito le forze con altri gruppi di riforma come per formare una “rete per una Chiesa orientata al futuro”, ad esempio con “We are Church”, la ” Ordensfrauen für Demokratie ” o la “Gemeindeinitiative”. «E ora c’è anche la rete globale. Vediamo che ci sono voci simili alla nostra in tutto il mondo, ad esempio nel Catholic Women’s Council».

La speranza di riforme, afferma Richthofer, «è grande. Perché le cose non possono andare più avanti così. Certo, nel nostro gruppo abbiamo rappresentanti di “We are Church” che già 25 anni fa avevano la sensazione che la Chiesa fosse a un punto in cui doveva succedere qualcosa. Tuttavia, speriamo che ora la situazione sia diversa». Intanto, perché «il mondo digitale ti consente di raggiungere e riunire molte più persone rispetto a 25 anni fa. Questo rende più evidente quante persone vogliono un cambiamento. D’altra parte, se si guarda al percorso sinodale, si constata che ci sono suggerimenti che, se passassero, sarebbe un bel passo avanti». La Chiesa che Richthofer vuole è «una Chiesa che mette al primo posto il comandamento di Gesù: ama il prossimo tuo come te stesso. Per me, questo è al di sopra di tutte le altre regole della Chiesa».

Alle accuse di chi taccia il movimento di non essere più cattolico, la regista risponde che «cattolico significa universale. E nella versione latina del credo si dice: “Noi crediamo nella Chiesa”»; «Sono credente e mi considero cattolica in buona coscienza, anche se sono divorziata e risposata. La maggior parte delle donne e degli uomini che sono attivi in “Maria 2.0″ hanno succhiato il cattolicesimo con il latte materno e dicono: “Sono cattolico e non voglio e non posso rinunciarci”. Sarebbe bella l’unità nella diversità. Nessuno dovrebbe vietare agli altri di vivere la propria religiosità».

Certo, lo shock prodotto dall’abbandono della Chiesa da parte di altre due cofondatrici del movimento, Lisa Kötter Andrea Voß-Frick, lo scorso marzo, è stato forte: le due donne hanno dichiarato di voler restare cattoliche, senza però appartenere «all’istituzione di diritto pubblico della Chiesa cattolica romana»: «La vera frustrazione – spiega Richthofer – risiede spesso nel fatto che l’intero sistema ecclesiastico non è gesuano: in linea di principio, siamo tutti consacrati mediante il battesimo, ma tutte le gerarchie patriarcali sorte in centinaia di anni di storia della Chiesa ce lo fanno dimenticare. Questa dicotomia rimarrà sicuramente. Perché quando un movimento che viene dall’interno della Chiesa cattolica le dice quasi che deve essere abolita, questo è più che audace». La domanda, quindi, è «fino a che punto possiamo arrivare con le nostre richieste? Cos’altro è ragionevole o giustificabile? Sono del parere che se alcuni ritengono imperdonabile l’incomprensibile gestione degli abusi e pensano che gli auspici di riforma non vanno abbastanza lontano, è corretto che esprimano il loro personale cattolicesimo nella propria cerchia al di fuori la vita della Chiesa cattolica».

Per quanto la riguarda, si può cambiare un’istituzione «solo dall’interno. Provaci dall’esterno non porterà a nulla. Naturalmente ci sono persone che sarebbero felici di sbarazzarsi di noi. Ma vedo anche la Chiesa come un’istituzione che realizza grandi cose, soprattutto nella sfera sociale. Molte cose buone stanno accadendo in nome della Chiesa. Se la Chiesa continua a rimpicciolirsi fino al punto di restare soltanto con coloro che accettano abusi e ipocrisie senza lamentarsi, perderemmo molto, soprattutto in termini di strutture sociali. Ed è per questo che penso sia importante che proviamo a restare. A questo proposito, non riesco a immaginare di andarmene in questo momento, sono troppo cattolica per questo».

Ludovica Eugenio, adista.it, 17/01/2022

https://www.adista.it/articolo/67372

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