giovedì, Dicembre 12, 2024

In Dio senza dio. Nel mistero, senza theós (J.M. Vigil)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Una conclusione che possiamo trarre da tutto ciò è che credere in Dio – che è sempre stato, nella nostra storia cristiana millenaria, il primo articolo di fede, la base minima per riconoscersi all’interno del cristianesimo e senza cui non potremmo dialogare su nulla – non ha più il senso che aveva prima. Credere in Dio non è più la condizione sine qua non. Posso non credere in dio ed essere cristiano. Una grande novità, un salto qualitativo, di coscienza, comprensione, di paradigma.

Posso dialogare con gli atei e dire loro: neppure io credo più in Dio; riconosco di aver insistito su qualcosa di non necessario; ho confuso il fondamento ultimo con un semplice modo di immaginarlo, di modellarlo, di renderlo accessibile alla nostra mente mitica. E comprendo il vostro rifiuto ad accettare quella immagine, quel mito, quel modello, quella forma, quella mediazione epistemologica. lo neppure la ritengo più necessaria, né adeguata e neanche innocua. Io anche preferisco prescindere da questo concetto oggi obsoleto.

Posso dialogare con i giovani critici che mi dicono di non credere in Dio, non pensando eventualmente di evangelizzarli e di portarli a credere, ma dicendo loro, al contrario: neppure io credo in Dio. Non credo in questo dio che giovani come voi sentono la necessità di rifiutare. Non siete obbligati a credere (in chi credereste in definitiva?). Non si tratta più di credere. Si tratta di optare, decidere, studiare, riflettere, discernere e osare personalmente, con autonomia, con libertà, emancipandosi da ogni paura e da ogni mitologia.

Posso dialogare con tutte le religioni, cioè con tutte le opzioni spirituali – incluso l’ateismo -, e proporre loro di ritirare questo nome (dio) dal nostro vocabolario, perché confonde, perché limita la nostra libertà spirituale, perché è irrimediabilmente compromesso dal peso di una tradizione macchiata dalla mitologia, dall’oppressione, dall’inquisizione, anche dal sangue. Posso proporre loro di abbandonare questo nome, Dio, e qualunque altro nome che gli sia stato dato, non perché non lo si possa nominare (come dimostrazione di rispetto mediante il riconoscimento umile della nostra incapacità), ma perché nominandolo lo deterioriamo, lo distruggiamo, perché lo trasformiamo in qualcosa, in qualcosa di concreto, in una cosa, o almeno in un Ente, come di fatto lo ha pensato praticamente la totalità del popolo religioso.

Oggi vediamo più chiaramente come le religioni in generale abbiano tenuto il popolo immerso nella confusione, nell’adorazione di un Ente immaginato. E questo Ente, che per di più è Signore, kiriarcale, ha messo l’essere umano in ginocchio, che è ciò che hanno favorito tutte le religioni, utilizzandolo a proprio vantaggio. Possiamo rivendicare il nostro diritto a (e obbligo di) uscire da questa confusione, sfuggire a questa oppressione, abbandonare l’infantilismo, emanciparci e vivere in libertà e creatività.

José Marìa Vigil, Oltre Dio. In ascolto del Mistero senza nome, Gabrielli, 2021, p. 84-85.

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