domenica, Dicembre 22, 2024

Il Buddha vivente, il Cristo vivente (Thich Nhat Hanh)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Matteo descrive il Regno di Dio come fosse un minuscolo granello di senape. Ciò significa che il seme del Regno di Dio è dentro di noi. Se sappiamo come piantarlo nel terreno umido delle nostre vite quotidiane, quel seme crescerà e diverrà un grande arbusto, su cui molti uccelli potranno trovare rifugio.

Entrare in comunione con il Cristo vivente

Quando invochiamo il nome del Buddha, evochiamo le stesse qualità del Buddha in noi stessi. Ci dedichiamo alla pratica per far sì che il Buddha diventi vivo dentro di noi, così da poter avere sollievo dalle afflizioni e dagli attaccamenti. Ma diverse persone che invocano il nome del Buddha lo fanno senza cercare veramente di raggiungere i semi del Buddha in loro stesse.

Si racconta la storia di una donna che invocava il nome del Buddha centinaia di volte al giorno senza mai attingere l’essenza di un Buddha. Dopo una pratica di dieci anni, traboccava ancora di collera e irritazione. Il suo vicino osservava la circostanza e un giorno, mentre ella stava invocando il nome del Buddha, bussò alla sua porta e gridò: “Signora Ly, aprite la porta!”. La donna era molto seccata d’essere disturbata, suonò la sua campana molto forte affinché il vicino udisse che stava salmodiando e smettesse di disturbarla. Ma costui continuava a chiamarla: “Signora Ly, signora Ly, signora Ly, ho bisogno di parlarvi”. La donna s’infuriò, gettò la sua campana a terra e scalpitò verso la porta esclamando: “Non vedete che sto invocando il nome del Buddha? Perché m’importunate ora?”. Il vicino replicò: “Ho chiamato il vostro nome solo dodici volte e guardate come siete andata in collera. Immaginate come debba essere in collera il Buddha dopo che avete invocato il suo nome per dieci anni!”.

I cristiani possono fare esattamente come la signora Ly se seguono soltanto meccanicamente i rituali o pregano senza essere veramente presenti. Ecco perché sono stati spronati dai maestri cristiani a praticare la “Preghiera del Cuore”. Nel cristianesimo, come nel buddhismo, molte persone nella loro pratica ottengono poca gioia, sollievo, distensione, liberazione o grandezza d’animo. Anche se continuano per centinaia d’anni in quel modo, non entreranno mai in comunione con il Buddha vivente o il Cristo vivente.

Se i cristiani che invocano il nome di Gesù sono presi solamente dalle parole, possono perdere di vista la vita e l’insegnamento di Gesù. Praticano solo la forma non la sostanza. Quando praticate la sostanza, la mente vi si schiarisce e raggiungete la gioia. I cristiani che pregano Dio devono anche apprendere a fondo l’arte di vivere del Cristo se vogliono penetrare nei suoi insegnamenti. È annaffiando i semi delle qualità ridestate che sono già in noi, praticando la consapevolezza, che entriamo in comunione con il Buddha vivente e il Cristo vivente.

La luce che rivela

Quando Giovanni Battista aiutò Gesù a entrare in comunione con lo Spirito Santo, il Cielo si aprì e lo Spirito Santo scese come una colomba e penetrò nella persona di Gesù. Egli si recò nel deserto e per quaranta giorni si esercitò a rafforzare lo Spirito dentro di Sé. Quando in noi germoglia la consapevolezza, dobbiamo continuare a praticarla se vogliamo consolidarla. Ascoltando veramente il canto di un uccello o osservando veramente un cielo azzurro, tocchiamo il seme dello Spirito Santo dentro di noi.

Per i bambini non è molto difficile riconoscere la presenza dello Spirito Santo. Gesù diceva che per entrare nel regno di Dio dobbiamo farci fanciulli. Quando l’energia dello Spinto Santo è in noi, siamo veramente vivi, siamo capaci di comprendere l’altrui sofferenza e motivati dal desiderio di contribuire a trasformare la situazione. Quando l’energia dello Spirito Santo è presente, sono presenti il Padre e il Figlio. Discutere di Dio non è il migliore uso che possiamo fare della nostra energia. Se entriamo in contatto con lo Spirito Santo, ci accostiamo a Dio non quale concetto bensì quale realtà vivente.

Nel buddhismo non parliamo mai del nirvana, perché nirvana significa estinzione completa di nozioni, concetti, discorsi. La nostra pratica consiste nell’attingere la consapevolezza in noi stessi sedendo in meditazione, camminando in meditazione, mangiando consapevolmente e così via. Osserviamo e apprendiamo a occuparci del corpo, del respiro, delle sensazioni, degli stati mentali e della coscienza. Vivendo nella consapevolezza, diffondendo la luce della nostra consapevolezza su tutto ciò che compiamo, entriamo in contatto con il Buddha e la nostra consapevolezza cresce.

La consapevolezza è il Buddha

Il Buddha fu un essere umano che si risvegliò e, di conseguenza, non fu più incatenato alle numerose afflizioni della vita. Ma allorché alcuni buddhisti affermano di credere nel Buddha, esprimono la loro fede nei meravigliosi Buddha universali, non nell’insegnamento o nella vita del Buddha storico.

Credono nella magnificenza del Buddha e ritengono che sia sufficiente. Ma di estrema importanza sono gli esempi delle vite reali del Buddha e di Gesù, perché quali esseri umani essi vissero in modi che anche noi possiamo vivere.

Quando leggiamo: “Il cielo si aperse e lo Spirito Santo scese su di Lui come una colomba”, possiamo renderci conto che Gesù era già illuminato. Era in contatto con la realtà della vita, la sorgente della consapevolezza, della saggezza e della comprensione nel Suo intimo, e ciò Lo rendeva diverso dagli altri esseri umani.

Quand’Egli nacque nella famiglia di un falegname, era il Figlio dell’Uomo. Quando aperse il Suo cuore, Gli venne aperta la porta del Paradiso. Lo Spirito Santo discese su di Lui come una colomba, ed Egli si manifestò come il Figlio di Dio: santissimo, sapientissimo e grandissimo. Ma lo Spirito Santo non è un’esclusiva di Gesù: è per tutti noi. Secondo una prospettiva buddhista, chi non è figlia o figlio di Dio? Sedendo sotto l’albero della Bodhi, innumerevoli, magnifici e santi semi sbocciarono ulteriormente nel Buddha.

Egli era umano ma, al tempo stesso, si fece espressione del più elevato spirito dell’umanità. Quando siamo in contatto con il più elevato spirito in noi stessi, anche noi siamo dei Buddha, ricolmi di Spirito Santo, e diveniamo molto tolleranti, molto aperti, molto profondi e molto comprensivi.

Più porte per le generazioni future

Matteo descrive il Regno di Dio come fosse un minuscolo granello di senape. Ciò significa che il seme del Regno di Dio è dentro di noi. Se sappiamo come piantarlo nel terreno umido delle nostre vite quotidiane, quel seme crescerà e diverrà un grande arbusto su cui molti uccelli potranno trovare rifugio. Non dobbiamo morire per giungere alle porte del Paradiso. Dobbiamo invece vivere veramente.

La pratica consiste nello stare in profondo contatto con la vita in modo tale che il Regno di Dio divenga una realtà. Non è questione di devozione, si tratta di una questione di pratica. Il Regno di Dio è a disposizione qui e ora. Numerosi passi dei vangeli confortano questa visione.

Leggiamo nel Padre Nostro che non andiamo nel Regno di Dio, ma che è il Regno di Dio a venire da noi: “Venga il Tuo regno…”. Gesù disse: “Io sono la porta”. Egli descrive Se stesso come la porta della salvezza e della vita eterna, la porta del Regno di Dio. Poiché Dio il Figlio è fatto dell’energia dello Spirito Santo, è per noi la porta d’ingresso al Regno di Dio.

Anche il Buddha viene descritto come una porta, un maestro che ci mostra la via in questa vita. Nel buddhismo una simile porta speciale è tenuta in profonda considerazione, perché quella porta ci permette di entrare nel regno della consapevolezza, dell’amorevolezza, della pace e della gioia. Si dice che esistano ottantaquattromila porte del Dharma, porte dell’insegnamento. Se siete abbastanza fortunati da trovare una porta, non sarebbe molto buddhista affermare che la vostra è l’unica.

In realtà, dobbiamo aprire un numero ancor più grande di porte per le generazioni future. Non dovremmo temere un maggior numero di porte del Dharma: se mai dovremmo temere che non se ne aprano più. Sarebbe un peccato per i nostri figli e i loro figli se ci ritenessimo soddisfatti con soltanto ottantaquattromila porte già disponibili.

Ciascuno di noi, con la sua pratica e la sua amorevolezza, è in grado di aprire nuove porte del Dharma. La società è in evoluzione, la gente cambia, le condizioni economiche e politiche non sono le stesse dei tempi del Buddha o di Gesù. Il Buddha fa assegnamento su di noi perché il Dharma continui a svilupparsi come un organismo vivente, non un Dharma superato ma un autentico Dharmakaya, un vero “corpo della dottrina”.

Buddha e Gesù, due figure cruciali nella storia dell’umanità, hanno lasciato in eredità insegnamenti capaci di indicare il cammino a miliardi di persone per i secoli a venire. Ma quanto c’è in comune tra la preghiera cristiana e la meditazione orientale? Esistono ideali e precetti condivisi tra le due fedi? In un libro già diventato un classico della spiritualità, Thich Nhat Hanh esplora i sentieri della compassione e della santità dove i due grandi credi si incontrano, risvegliando così la nostra comprensione di entrambi. In questo modo, con sguardo benevolo e passo accorto, uno dei principali protagonisti del dialogo interreligioso si confronta con due secolari tradizioni del pensiero indicando la possibilità sempre attuale di una vita in armonia.

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