Avdeevka, la vita dopo la battaglia 18 marzo 2024
di Vittorio Nicola Rangeloni
Torno nella cittadina di Avdeevka a tre settimane di distanza dalla prima visita, avvenuta immediatamente dopo la conclusione dei combattimenti tra le strade di questo centro abitato.
Anche questa volta condivido questo viaggio con Yurij Mezinov, un ragazzo che aiuta le persone rimaste in città, proprio come aveva fatto in tutte le altre città che dal 24 febbraio del 2022 sono diventate parte della Federazione Russa, a cominciare da Mariupol ed Izium. Lo fa volontariamente, perché crede fermamente che se può aiutare il prossimo in difficoltà, lo deve fare. Yurij è uno spirito libero, un po’ folle, nel senso buono del termine. La sua storia meriterebbe di essere raccontata in un libro. Dopo gli studi ha iniziato a lavorare a Rostov sul Don come pompiere, divenendo rapidamente caposquadra. Poi ha mollato tutto per recarsi ad aiutare la popolazione colpita dalla guerra a Tskhinval, in Ossezia del Sud. Quando è iniziata la guerra in Donbass nel 2014 è stato tra i primi ad organizzare l’accoglienza dei profughi a Rostov.
Partiamo per Avdeevka passando prima dal mercato dove acquistiamo una quindicina di scatoloni di uova da consegnare alle persone che continuano a vivere in città: nel mondo ortodosso si celebrava la settimana della “Maslenytsa”, ossia il periodo prima della quaresima e del digiuno, quando tradizionalmente si usa preparare le crêpes. L’idea di Yurij era quella di regalare un po’ di normalità a tutte queste persone che vivono in un contesto estremamente difficile.
Questa volta entriamo in città entrando dalle macerie della “Promzona”, l’ex area industriale che in tutti questi anni, fino a febbraio, si era rivelata una fortezza inarrivabile per le milizie popolari di Donetsk. Poco più avanti passiamo accanto anche al monumento dell’esercito ucraino dedicato ai propri soldati caduti, inaugurato nel 2017 e meta di pellegrinaggio di delegazioni straniere sul fronte ucraino. Oggi al posto delle bandiere ucraine sventolano i vessilli dei reparti dell’esercito russo che hanno preso parte alla liberazione della città.
Dopo pochi minuti di viaggio ci fermiamo di fronte ad un cancello trafitto dalle schegge delle bombe, riportante la scritta “qui vivono persone”.
“Signora Lyuba, sono io, Yura!”.
Un minuto dopo appare un’anziana che per prima cosa si affretta ad abbracciare il ragazzo, ringraziandolo poi per questa sorpresa. Alla signora consegnamo anche un altro centinaio di uova per altri dieci vicini di casa. Ogni isolato ha il proprio referente che si occupa poi di distribuire gli aiuti ricevuti.
Ancora un sincero abbraccio e ripartiamo. Nuove tappe, stesso copione.
Yurij ormai si orienta senza problemi tra le stradine di Avdeevka parzialmente ripulite dai rottami di veicoli distrutti, dalle mine e dalle schegge delle bombe. In città opera ininterrottamente da almeno un paio di settimane. Inizialmente a bordo del suo UAZ Patriot blindato aiutava le persone rimaste in città a raggiungere i centri di prima accoglienza nelle cittadine della Repubblica Popolare di Donetsk. Tra le persone tratte in salvo c’è anche Dima, un bimbo di quattro anni che per metà della sua vita ha vissuto nello scantinato di casa con i genitori, nascosto sia dalle bombe che dalla polizia ucraina. Le autorità di Kiev avevano imposto l’evacuazione forzata di tutti i minori, minacciando la sospensione della patria potestà per quei genitori che si oppongono a questa misura. Nonostante ciò la famiglia ha deciso di rimanere unita, a casa propria. Se avessero accettato la famiglia si sarebbe separata: il padre sarebbe stato costretto ad andare a combattere per l’esercito di Zelensky.
Ora che tutti coloro che avevano intenzione di essere trasferiti nelle retrovie russe hanno lasciato la città, Yurij si prende cura del migliaio di persone rimaste portando le medicine necessarie, carburante per i generatori di elettricità, cibo e tutto quello che può servire. Molti si rivolgono a lui per chiedere come attivare le sim russe o su come affrontare pratiche burocratiche, altri approfittano della sua visita semplicemente per parlare e godere di un poco di compagnia. Qui, dove per settimane c’è stato un vero e proprio inferno, lui è visto come un angelo custode. Ormai è conosciuto da tutti, la gente si fida di lui.
Arrivati nei pressi di una palazzina sventrata incrociamo il fuoristrada blindato del seggio elettorale itinerante di fronte al quale ci sono una ventina di persone. Alzo il telefono per scattare una foto, ma lui abbastanza bruscamente mi fa capire di lasciar perdere. Ci sono troppi riferimenti che possono far identificare quel luogo, ciò vuol dire che potrei esporre le persone a rischi. Molti hanno ancora parenti nei territori controllati da Kiev e per tutelare loro preferiscono non condividere i loro pensieri di fronte alle telecamere.
Scarichiamo le uova e proseguiamo lungo il percorso prestabilito, dirigendoci verso il centro della cittadina, dove si trova un centro temporaneo per lo smistamento degli aiuti umanitari. Parcheggiamo la macchina accanto a due automobili scassate con targhe polacche sulle quali a bomboletta è riportata la parola “mine”. “Qui le mine ci sono per davvero, sono state piazzate dagli ucraini prima di andarsene”, spiega il volontario. Gli artificieri si sono limitati a riportare la scritta ed a delimitarne il perimetro. Per ora ci sono altre priorità.
“Mine”
Anche qui consegniamo le uova. Molti si rivolgono a noi chiedendo come fare per votare, ma di qua il seggio mobile è già passato un paio d’ore prima.
La città per buona parte ricorda l’area attorno all’Azovstal di Mariupol nel corso dei combattimenti, presentandosi come un tappeto di macerie, dove blocchi di metallo e cemento sono mescolati caoticamente tra loro. Ma ci sono non poche eccezioni, piccole oasi di normalità. Si tratta dei luoghi dove ancora vivono le persone che in queste settimane non sono rimaste con le mani in mano, iniziando a rattoppare le proprie case, a ripulire con una cura sorprendente i giardini, le aiuole ed a coltivare gli orticelli. “Ogni giorno ricevo chiamate delle persone evacuate nelle settimane precedenti che mi chiedono aiuto per tornare a casa, alcuni hanno sono già rientrati”, spiega Yurij. “Non mi sorprenderei se tra qualche settimana ti dovessero eleggere sindaco della città”, gli rispondo scherzando (ma non troppo). Lui sorride ma lascia intendere che le cariche istituzionali non sono quello che cerca.
Alla terz’ultima tappa, dopo aver scaricato uova per 27 persone, sentiamo i colpi di mortaio cadere sempre più vicino a noi. “Tutti dentro!”, esclama uno dei tre uomini con cui stavamo chiacchierando, troncando la conversazione. I tre si affrettano ad entrare in casa lasciando le uova in giardino, mentre noi saliamo sul fuoristrada e ci allontaniamo. “Non so te, ma farei a meno di atti di eroismo. Le ultime uova le consegnerò domani, ora è meglio rientrare”, osserva Yurij. Annuisco condividendo questa linea di pensiero.
Mentre lasciamo la città, periodicamente lancio uno sguardo nello specchietto retrovisore dove si vede il sole calare e le nuvolette di fumo nero alzarsi da quelle vie che abbiamo appena percorso.