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sabato, Ottobre 5, 2024

Primato della coscienza e obbedienza (E. Peyretti)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

(…) Ma l’obbedienza è pure un vizio. Ovvio il riferimento famoso (più che compreso) a don Milani. Chi anzitutto e preliminarmente obbedisce eseguendo rinuncia a pensare, ad ascoltare la propria coscienza, e manca anche di contribuire alla funzione di chi, in qualsiasi società, ha un compito direttivo, indicativo.
Per dire qualcosa sull’obbedienza in questa nota, dobbiamo in primo luogo dirne la problematica, e quindi sdoppiare l’oggetto: quale obbedienza? Il dovere e la virtù non sono semplicemente obbedire, ma stanno nel chiedersi “se” obbedire, se obbedire ancora, in che cosa obbedire.
Una obbedienza senza libertà, opposta alla libertà, non sarebbe umana, non rispetterebbe l’umanità di chi obbedisce, e questa violazione avverrebbe proprio da parte dell’obbediente, non soltanto da parte del comandante che volesse imporsi. Si tratta sempre di obbedire liberi. La prima obbedienza è il rispetto di questo valore inviolabile, negli altri come in noi stessi. Io posso dedicare la mia libertà, rinunciare alla mia decisione, per agire come un altro mi chiede, o per servire il suo valore, la sua vita, o una causa degna. Ma è sempre con la libertà che dedico e spendo la mia libertà; è con la libertà che decido di cedere il mio diritto di decidere. Se cedo la mia libertà, pecco contro l’umanità mia e di tutti. Questo non ho il diritto di farlo, perché questa umanità non è solo mia: svilita in me è offesa in tutti. Non ho la libertà di cedere la libertà. La spenderò per ciò che è giusto, la userò secondo la misura, e anche il limite, che la giustizia le pone, perché è la giustizia che misura e orienta la libertà. Se obbedisco con giustizia, a cose giuste, obbedisco in libertà, obbedisco alla libertà. «Io do la mia vita (…). Nessuno me la toglie, ma io la do da me stesso» (Giovanni 10,17-18).
Allora, obbedendo alla libertà, devo anche, eventualmente, disobbedire ad un ordine altrui, o ad impulsi miei. Obbedire implica disobbedire, implica obiettare. Obiettare costa più che obbedire.
È più facile obbedire che disobbedire. Hildegard Goss-Mayr, grande educatrice e operatrice della nonviolenza, vedova di Jean Goss, nei corsi di formazione alla nonviolenza, fa un gioco di ruolo, che non rivelerò qui, nel quale ciascuno scopre in se stesso la pericolosa disponibilità ad obbedire troppo facilmente. Più scientificamente, hanno dimostrato questa inclinazione ad eseguire anche ordini palesemente ingiusti e persino crudeli, nella maggioranza di persone normalissime, non personalmente cattive, gli esperimenti di Stanley Milgram (Obbedienza all’autorità, Einaudi 2003) e altri simili. È su questa inclinazione che si fonda ogni violenza collettiva sistematica, quella «banalità del male» di cui scrisse Hannah Arendt a proposito di Eichmann e della Shoah.

25 luglio 2008, Enrico Peyretti

Fonte: Pubblicato in Servitium su “Obbedienza”, n. 178, luglio-agosto 2008
s.egidio@servitium.it – 25 luglio 2008

Articolo completo: https://www.peacelink.it/pace/a/26855.html

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