di Maurizio Ambrosini. Professore di Sociologia delle migrazioni. Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Università di Milano.
Sono giorni importanti, forse della cittadinanza attesa da anni. Nel momento in cui scriviamo si attende il voto della Camera, dopo un passaggio nelle commissioni abbastanza travagliato. Il disegno di legge, presentato dall’on. Giuseppe Brescia (M5s), presidente della Commissione Affari Costituzionali, unifica in un breve testo varie proposte presentate nel corso della legislatura. Punta a riconoscere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che, giunti nel nostro Paese prima del compimento del dodicesimo anno di età, abbiano completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni.
La proposta rinuncia quindi al principio dello ius soli, ma cerca di sveltire i tempi per l’accesso della cittadinanza italiana per i giovanissimi immigrati. Punta sull’istruzione scolastica, esprimendo fiducia nella scuola come istituzione capace di trasmettere una cultura nazionale condivisa. Trascorrere centinaia di ore all’anno nelle aule, educati da insegnanti (italiani) nominati dal ministero dell’Istruzione italiano, insieme a compagni in prevalenza italiani, seguendo programmi di lingua, letteratura, storia, educazione civica, insegnati in italiano e imperniati sulla conoscenza dell’Italia, dovrebbe garantire un’adeguata socializzazione linguistica e civica.
La riforma, attesa da anni, interessa una popolazione numerosa. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, fermi all’anno scolastico 2019-2020, gli alunni con cittadinanza straniera che frequentano la scuola in Italia, dalle scuole dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, sono 876.701, il 10,3% della popolazione scolastica. Più della metà ormai sono nati in Italia (573.845), anche a motivo della sostanziale frenata dei nuovi arrivi di immigrati negli ultimi dieci anni.
Discutere delle norme per l’accesso alla cittadinanza significa riflettere sulla nostra concezione della comunità nazionale, di chi vogliamo come nostri concittadini, di quale futuro pensiamo di costruire insieme. Spetta ora al parlamento decidere se vuole un’Italia nuova, più giusta e inclusiva.