Molti pensano che nessun politico razionale darebbe l’ordine di lanciare bombe atomiche contro il nemico, pena la sua stessa distruzione. Ma la teoria delle decisioni ha da decenni messo in luce che gli esseri umani tutto sono fuorché razionali. La paura, la sottovalutazione del rischio in nome delle abitudini, l’umiliazione, l’errore fanno parte del comportamento quotidiano di ciascuno di noi e spiegano la grande parte delle decisioni prese per affrontare i problemi. Un Putin sconfitto magari con la Nato che entra in territorio russo che cosa farebbe persa ogni speranza di sopravvivenza? Perché dovrebbe fare la fine di Saddam senza portare nella tomba anche i suoi nemici? Oppure un Biden, preso da senilità, per lasciare memoria ai posteri del suo coraggio perché non dovrebbe andare oltre la linea rossa che separa la vita e la distruzione dell’umanità?

Fino a oggi i media hanno fatto accenni superficiali agli effetti di una guerra nucleare. Forse converrebbe che i cittadini si informassero bene per scoprire che un fungo atomico non è solo una fotografia da scambiarsi su Istagram o Facebook. Gli abitanti del nordest per esempio dovrebbero informarsi sul fatto che un attacco su Aviano in Friuli comporterebbe la scomparsa della vita umana in tutte le regioni confinanti nel giro di pochi giorni. Lo stesso vale per i residenti nel raggio di cento chilometri dalle basi Nato dislocate su tutto il territorio nazionale. Peggio andrebbe però per i sopravvissuti, perché la morte per radiazioni causa agonie dolorosissime di cui gli abitanti di Nagasaki e Hiroshima rimasti in vita dopo l’attacco nucleare americano possono offrire drammatica testimonianza.

L’unico auspicio in questo scenario di follia collettiva è che qualche partito, non fosse altro che motivi elettorali, faccia propria la bandiera del neutralismo e faccia cadere il governo del premier più pericoloso che la storia d’Italia abbia mai avuto. La ragione nobile è che il paese potrebbe rompere il fronte del bellicismo europeo e svolgere una funzione di mediazione nella guerra, magari facendosi seguire velocemente da altre nazioni.

Una motivazione a cui siamo sicuri la maggior parte degli elettori italici sarebbe molto più sensibile può essere riassunta però più efficacemente nella seguente domanda: perché dobbiamo morire per l’Ucraina? Non per aiutare gli ucraini che con la corsa agli armamenti sono usati solo come carne da macello per interessi economici e geopolitici innominabili. Certo nemmeno per difendere l’Europa dall’assalto di Putin che non ha alcuna convenienza ad aggredire un avversario Nato più forte di lui nella guerra convenzionale. Rimarrebbe come ratio il sacrificio per aiutare le banche e gli investitori che scommettono sulla vendita delle armi. Sinceramente però non pare una buona ragione per morire.

Speriamo che, almeno per amore del proprio tornaconto, qualche politico si svegli e faccia saltare il banco velocemente.

Luca Fazzi, https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/lfazzi/