mercoledì, Dicembre 25, 2024

Chiesa delle origini, donne e patriarcato (Elisabeth Schüssler Fiorenza)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“In memoria di lei”
di Elisabeth Schüssler Fiorenza, Claudiana, Torino 1990

“Molti studiosi sostengono che, da un punto di vista sociologico-politico, la graduale patriarcalizzazione del movimento cristiano primitivo era inevitabile: se le comunità cristiane dovevano crescere, svilupparsi e sopravvivere storicamente, dovevano adattarsi e prendere il controllo delle tradizionali strutture patriarcali della loro società.

E’ implicito che l’istituzionalizzazione del movimento carismatico-egualitario del cristianesimo primitivo doveva portare alla patriarcalizzazione delle funzioni direttive ecclesiali, cioè all’esclusione delle donne dal ministero della chiesa o alla riduzione a posizione subordinate, femminili, marginali. Più il movimento cristiano primitivo diventava istituzionalizzato, più le donne cristiane dovevano essere escluse dalla posizione e dai ministeri direttivi nella chiesa. Esse venivano relegate in gruppi marginali privi di potere o dovevano conformarsi agli stereotipi femminili della cultura patriarcale. Per esempio, il ministero patristico di vedova o di diaconessa doveva limitarsi al servizio delle donne e infine scomparire dalla storia. E ancora, queste funzioni direttive non potevano più essere esercitate da tutte le donne, ma solo da quelle che avevano “superato” la loro femminilità scegliendo di rimanere vergini.

Sembra che questa valutazione degli sviluppi del cristianesimo primitivo descriva abbastanza bene le conseguenze e i disastri della graduale patriarcalizzazione della chiesa cristiana; tuttavia non riflette sui suoi presupposti teologici androcentrici, dato che trascura il fatto che la storia del cristianesimo delle origini è scritta in base alla prospettiva dei vincitori storici. In gran parte, la storia e la teologia cristiane ufficiali riflettono quei settori della chiesa che hanno subito il progetto di patriarcalizzazione e lo hanno legittimato teologicamente con la formazione del canone.

Nella misura in cui lo schema socio-politico di valutazione presenta come necessità storica l’eliminazione delle donne dal ministero ecclesiale e la loro emarginazione in una chiesa patriarcale, esso giustifica il processo di istituzionalizzazione patriarcale, come l’unica forma sociologica possibile e storicamente produttiva di chiesa.

Sia il modello teologico androcentrico sia gli schemi sociologici patriarcali per la ricostruzione della vita e della comunità cristiane primitive danno per scontato che il processo di patriarcalizzazione della chiesa fosse storicamente inevitabile. Essi sostengono che la teologica e la prassi del cristianesimo primitivo, che riconoscevano le donne come cristiane e discepole parificate agli uomini, erano ‘eretiche’ o ‘carismatiche’, e quindi storicamente e teologicamente non produttive.

Nessuno di questi paradigmi può concepire una chiesa cristiana in cui le donne siano uguali agli uomini. E’ quindi necessario, sul piano metodologico, contestare questi schemi interpretativi per la ricostruzione del cristianesimo primitivo e cercarne uno nuovo che possa integrare nella sua prospettiva le due tradizioni, quella egualitaria e quella patriarcale, l’una ‘eretica’, l’altra ‘ortodossa’. Dato che questo schema interpretativo presuppone e ha come fondamento l’uguaglianza di tutti i cristiani, potrebbe essere chiamato femminista”. (pp. 104-105)


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