domenica, Dicembre 22, 2024

51% di non credenti: Francia, atea o post-teista? (José María Vigil)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Recentemente un’inchiesta sulla religiosità in Francia ha rivelato un risultato sorprendente: il 51% dei francesi non crede più in Dio. E il titolo giornalistico più ricorrente è stato: la Francia non è più religiosa, ma atea.

Non credo sia adeguato utilizzare questi termini, parlare di una Francia «atea»… È vero che le persone atee non credono in Dio, ma oggi non è più vero il contrario, e lo è sempre meno. In effetti, vi sono sempre più persone che non credono in Dio, ma che non rientrano nelle definizioni classiche dell’ateismo. Per esempio, l’«ateismo con spirito» di Comte Sponville, la crescente ricerca di spiritualità umana, molte forme attuali di umanesimo e, naturalmente, la corrente post-teista non sono riconducibili al comune concetto classico di ateismo.

Bisognerebbe verificare, con inchieste più precise, se quello che maggiormente sta crescendo in Francia – e in tanti Paesi d’Europa, e anche al di fuori del continente – sia l'”ateismo” o non piuttosto il “post-teismo» (che chiamiamo anche “non teismo”), ossia l’abbandono del teismo, semplicemente, senza l’adesione delle persone alle posizioni del classico, plurisecolare e combattivo “ateismo” riduzionista.

Negli ultimi secoli, la battaglia tra ateismo e cristianesimo (per riferirci solo all’ambito culturale occidentale) è stata accanita, segnata da un disprezzo reciproco e apparentemente irriconciliabile. È da tempo tuttavia che, secondo gli osservatori, tanto da una parte come dall’altra, l’ostilità si è calmata e le armi sono state rinfoderate. Entrambi i blocchi vanno avanti per la loro strada, in pace e in una convivenza democratica. E non mancano, nelle file della Chiesa cattolica per esempio, quanti sostengono che cristianesimo e ateismo abbiano perso la ragione del loro contendere e debbano “riconciliarsi”, perché entrambe le parti avevano ragione: si è trattato di un “fraintendimento storico” che, a questo punto, bisogna considerare ormai obsoleto e dimenticare.

Nel campo credente, negli ultimi tempi, si sono registrate varie ondate di revisione del fino a poco tempo fa intoccabile presupposto del teismo. Le teologie della secolarizzazione o quella con il nome così infelice di teologia «della morte di Dio», come pure, già al Concilio Vaticano II, la famosa dichiarazione del Patriarca Maximos IV che «quello in cui non credono molti atei è un dio in cui neppure io credo», sono momenti importanti del processo di revisione di quel teismo che sembrava essenziale, imprescindibile, indiscutibile, come il dogma dei dogmi. Dopo il Concilio Vaticano II, dopo il Consiglio ecumenico delle Chiese, dopo Uppsala 1968, dopo le riflessioni di Èglise et Societé… l’ateismo classico si è visto cadere dalle mani la maggior parte delle sue obiezioni dinanzi al teismo post-conciliare, mitigato, purificato dalle “false immagini di Dio”, rispettoso e riconciliato con i valori umanistici per i quali l’ateismo aveva dichiarato guerra alla religione. Oggi possono esserci ancora persone che abbandonano la credenza in dio, in theos, ma la maggioranza non risponde più al profilo dell’ateo tradizionale. Credo sia ragionevole pensare che la crescita della non credenza che rivela il dato francese del 51% non si debba tanto all’ateismo quanto a un cresciente post-teismo.

Certamente, in senso lato, l’ateismo è una forma di non teismo, ma non viceversa: post-teismo, o non teismo, non è equivalente ad ateismo. Di sicuro, ciò che oggi noi chiamiamo non teismo non è ateismo. La posizione non teista non rifiuta l’essenza e i valori religiosi; li accoglie con riconoscenza e li mette in salvo con attenzione, svincolandosi semplicemente da un modello teorico filosofico (ontologico o metafisico, epistemologico, immaginativo, mitologico, non scientifico, separato dal cosmo…) di Theós, di «Dio», che oggi appare assolutamente superato, antiscientifico, acritico, meramente fantasioso, realmente mitologico, storicamente insostenibile, benché scandalosamente blindato dai deliri dogmatici dell’auto-infallibile Magistero della Chiesa cattolica.

Essere non teista significa rinunciare semplicemente a questo modello di comprensione della Realtà al cui centro si incontra, come sappiamo, il concetto di theós: un Ente supremo, esterno, preesistente, onnipotente, impegnato a intervenire dal suo secondo piano soprannaturale e celestiale, Spirito puro, immateriale, incorporeo, creatore e potenziale responsabile della fine del mondo, giudice supremo… È solo a questo modello di comprensione teista della Realtà che rinuncia il post-teismo, considerandolo arcaico, superato, obsoleto e rivendicando il diritto dell’umanità e dei credenti in particolare a correggere le proprie illusioni ottiche filosofiche. Come pure riconoscendo che niente e nessuno può obbligare l’essere umano a essere in comunione spirituale con una filosofia o un modello paradigmatico determinato di comprensione della Realtà e ritenendo che la religiosità e/o spiritualità non possano più abbracciare, includere, né imporre, in nome di Dio, verità filosofiche. Come Gandhi diceva dell’induismo, la religione deve essere una «religione senza verità» (teorie, visioni filosofiche, epistemologie proprie, dogmi, capacità di crearli o di immaginarli, dottrine obbligatorie, concetti positivi su Dio-Theós imposti come essenziali o tanto più rivelati).

Il non teista lava il bambino, lo insapona, lo pulisce bene con l’acqua varie volte e poi butta via con decisio ne l’acqua sporca, tenendo però fermo il bambino. Ed è totalmente disposto a ragionare sulla convenienza e sulla necessità di gettare via tanta acqua sporca che non serve più.

Ritengo – e credo che sia bene porre il tema da un punto di vista socio-culturale – che questo 51% di popolazione si inscriva oggi in un contesto distinto da quello dell’ateismo classico. Non so quanto di tale ateismo classico continui secondo gli esperti a essere presente anche oggi nella società francese. Mi piacerebbe che qualcuno se ne occupasse. Ma ciò che voglio dire è che ho fiducia nella società francese, nel suo senso realista e umanista, moderno e scientifico, nella sua libertà da miti e oscurantismi. Credo che i non teisti di oggi se ne vadano senza radicalismi e senza puntare a distruggere valori, ma piuttosto volendo salvarli. Se ne vanno molto spesso in silenzio e dalla porta di dietro, come si esce dalla chiesa quando ci si dispera per il discorso ecclesiastico ma non si vuole in alcun modo disturbare; semplicemente andando via in punta di piedi, senza rumore… per non tornare più.

Sospetto fortemente – anche senza l’aiuto delle statistiche – che molti degli ateismi classici siano ormai passati alla storia; e che altri restino lì, ma, in maggioranza, disattivati. Credo che oggi sia molto più alto il numero di persone sensate che, non potendo sopportare più un’atmosfera credente intellettualmente irrespirabile, giungano a cogliere l’evidenza nuova che un Theos là sopra, là fuori, sia puramente mitico, mitologico, gratuito, una costruzione umana demodé, e non solo in quanto assurda, ma perché dannosa, tanto per la persona come per la società. Che optino per il non teismo. E passino, silenziosamente, ogni giorno, in punta di piedi, in una era nuova, senza teismo, post-teista.

E naturalmente vi sono sempre più persone che sono post-teiste nelle stesse comunità credenti, comprese persone profondamente spirituali che hanno ormai superato i tratti della religione tradizionale: teismo, dualismo, soprannaturalismo, dogmi, credenze, superstizioni… Molte volte queste stesse persone non sanno neppure di essere già entrate nel livello post-teista, potrebbero addirittura essere spaventate dal termine. I giornalisti che hanno titolato «Francia atea» neppure lo conoscevano. Ci troviamo in questo passaggio, in Francia, in Spagna, in America Latina, probabilmente in tutto l’Occidente. E tutto sembra indicare che la marcia dell’umanità sia irreversibile. Adelante, Francia, non sei sola.

José María Vigil, 30/12/2021

Tratto da: Adista Documenti n° 1 del 08/01/2022

Per l’introduzione a questo articolo, clicca qui

https://www.adista.it/articolo/67271

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