sabato, Aprile 20, 2024

La parità tra i sessi? E’ nel Corano. Ma va letto controcorrente (Karima Moual)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

L’islam odia le donne. La donne nelle società musulmane sono sottomesse all’uomo e a regole misogine. Quante volte lo abbiamo sentito, letto o visto? Tante, forse troppe e abbiamo finito per crederci. Basta pensare alle donne algerine che a Annaba sfidano in bikini i fondamentalisti che vogliono obbligarle al burkini per potersi fare un bagno al mare. O il caso della modella Khouloud, che nel cuore dell’islam, l’Arabia saudita, ha rischiato il carcere per un breve filmato mentre passeggia in minigonna e top invece della lunga Abaya che copre tutto il corpo. Dunque, diventa difficile trovare delle attenuanti sul rapporto negativo tra l’islam e le donne. Ma se invece la storia fosse un’altra?

La jihad delle donne – il femminismo islamico nel mondo occidentale – di Luciana Capretti, prova a raccontarla quell’altra storia. Di donne musulmane che, con forza, coraggio e un jihad interiore (sforzo personale, questo il vero significato della parola), vanno alla radice delle fonti e provano a capovolgere la narrazione ormai radicata in molti contesti, che le vuole ai margini della società. La Capretti riesce a penetrare quel mondo femminile riportandoci, con un approccio giornalistico, una fotografia fedele di un’onda femminista islamica sunnita che si muove in Occidente. Sono attiviste, intellettuali, teologhe, docenti o semplici donne in transizione fra tradizione e posizioni più progressiste, più in sintonia con la loro vita nel mondo contemporaneo.

Scopriamo che vi è un piccolo esercito di donne che dagli Stati Uniti all’Europa passando per il Nord Africa sino al Vicino Oriente, sta facendo un lavoro di rilettura delle fonti dell’Islam a partire dal Corano. L’obiettivo – dicono – è quello di riportare l’Islam alla sua essenza originaria, fatta di giustizia ed eguaglianza fra i sessi.

Per farlo, si lavora sulla storia dell’islam, quel passato che sembra essere il marchio della segregazione, in realtà si scopre, dalle loro riletture, quanto sia il vero fondamento della loro liberazione. «Perché per quattordici secoli – secondo queste “jihadiste” contemporanee – l’islam è stato dominato dagli uomini, che hanno letto, interpretato, commentato e tradotto il Corano secondo la loro visione patriarcale e di conseguenza non hanno fatto altro che produrre e rafforzare leggi patriarcali».  

Molti gli hadith messi in discussione poiché una grande quantità – dicono – è stata creata ad arte, come si è dimostrato, da studiosi o seguaci di Maometto per difendere un sistema sociale politico, un califfo, o un emiro. Per questo risentono del clima di misoginia e patriarcato del tempo. Ma facciamo qualche esempio: la preghiera. Chi l’ha detto che a guidare i fedeli debba essere solo l’imam? A Copenaghen, ma non solo in Danimarca, c’è una donna Imam che ha osato capovolgere il dictat, poiché il Corano non lo vieta e lo stesso profeta lo permise alla sua epoca per primo. Al via dunque moschee, gestite e guidate da donne.

L’occhio e la sensibilità femminile, stravolgono un immaginario per troppo tempo statico e ingeneroso verso le donne a partire da una figura emblematica come quella di Hajar, la concubina di Abramo, la schiava egiziana da cui il profeta ebbe il primogenito Ismaele. Eroina resa invisibile nei racconti così come tante altre donne valorose. Grazie invece all’analisi di studiose e teologhe femministe musulmane si arriva a cambiare la prospettiva tradizionale patriarcale dove non è più Abramo il capostipite di ebrei e cristiani da una parte e musulmani dall’altra, ma sono due donne: sua moglie Sara e la sua concubina Hajar.

Passato presente e futuro, vengono messi sotto la lente d’ingrandimento con al centro le donne e il messaggio divino inaugurando un vero femminismo islamico di tipo «interpretativo» come ultima fase della lotta per la liberazione della donna nel mondo musulmano. Il percorso è tutt’altro che semplice per le accuse di occidentalizzazione e censura da parte dei tradizionalisti islamici. Ma le seguaci di questa importante impresa progressista e liberale sono teologhe, intellettuali, storiche e docenti universitarie, di grande calibro, come Leila Ahmad, Asma Barlas o Riffat Hassan che muovono la loro critica dall’interno con nessuna intenzione di abbandonare la loro religione perché convinte che sia tra le più egualitarie. «La discriminazione fra i sessi e la subordinazione delle donne non derivano dagli insegnamenti del Corano – dicono – ma dai testi secondari, il Tafsir, l’esegesi coranica, gli Ahadith, i racconti dei detti del profeta, la Sunnah, la raccolta delle azioni del profeta, la Shariah il codice di leggi che regolano tutti gli aspetti di vita musulmana». Spesso queste fonti non sono coerenti l’una con l’altra.

La jihad delle donne, è un lungo percorso dove si analizza e si scopre come stia maturando una battaglia importante per il riformismo islamico. Una buona notizia e una boccata di ossigeno in tempi dove avanzano fondamentalismo e intolleranza.

Karima Moual, La Stampa, 25 luglio, 2017

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