Il mio vicino di stanza è uno studente africano del Ghana. Ha visto alla TV l’agonia di George Floyd e il ginocchio del poliziotto che gli impediva di respirare. Quest’immagine ha fatto il giro del mondo.
Ha sentito quest’afroamericano di 46 anni implorare il suo carnefice: «Non posso più respirare ».
Dopo aver visto questo dramma, non ha dormito tutta la notte. «Anch’io» – mi ha detto – «non potevo più respirare».
Quanto a me, ero indignato nel vedere un poliziotto bianco togliere la vita ad un uomo di colore. Il virus del razzismo è sempre in grado di uccidere. Che disprezzo! Che regressione per l’umanità!
George Floyd è morto con la sua dignità. Una dignità che i poliziotti non hanno potuto eliminare. Ogni uomo è una storia sacra.
L’uomo che giaceva a terra era disarmato e non minacciava nessuno. Il poliziotto ha potuto dare libero sfogo alla sua violenza sotto lo sguardo degli altri tre poliziotti che lo lasciavano fare.
Questo terribile dramma ha infiammato le principali città degli Stati Uniti. Si è scatenata la rabbia.
La moglie di George Floyd chiede che si domandi perdono. Ma il perdono non cancella l’ingiustizia.
I manifestanti a Minneapolis non chiedono perdono o vendetta. Chiedono che sia fatta giustizia. Una giustizia giusta.
La lotta per la giustizia non è la prima delle lotte?
Jacques Gaillot, vescovo di Partenia