Pubblichiamo, in una nostra traduzione, un articolo comparso sul settimanale Golias Hebdo (n° 619, 9-15 aprile 2020), scritto da padre Pierre Vignon, giudice ecclesiastico delle province di Lione e Clermond-Ferrand, rimosso dal suo ruolo nel 2018 dopo venticinque anni di onorato servizio per aver promosso una petizione per chiedere le dimissioni del cardinale Barbarin, fino a poche settimane fa arcivescovo di Lione e “primate delle Gallie”.
A gennaio, la Corte d’appello di Lione, pur confermando che Barbarin fosse a conoscenza degli abusi avvenuti nella sua diocesi e perpetrati da padre Bernard Preynat nei confronti di un gruppo scout, ha capovolto la sentenza di primo grado e lo ha prosciolto, stabilendo che il reato di omessa denuncia è caduto in prescrizione
Il titolo originale dell’articolo è le cardinal Becciu et le chat de Jean-Paul II.
I vescovi polacchi hanno appena annunciato l’apertura del processo di beatificazione per i genitori di Papa Giovanni Paolo II. Sono ovviamente persone degne di onore che sono stati dei bravissimi cristiani e io do loro tutto l’apprezzamento che è loro dovuto. Ma perché la Chiesa dovrebbe soddisfare i vescovi polacchi? La beatificazione e la canonizzazione troppo rapide di Papa Giovanni Paolo II stanno iniziando a mostrare difficoltà. Christine Pedotti pubblica con ragione con le Edizioni Albin Michel Jean-Paul II, l’ombra del santo, diritto di fare l’inventario e pone domande giuste. Se si può comprendere l’entusiasmo incondizionato del popolo polacco per il suo compatriota, loro che hanno tanto sofferto dal diciottesimo secolo, la Chiesa universale dovrebbe malgrado tutto moderarlo seguendo le sue regole consuete di ragione e di leggendaria prudenza.
Va detto che noi non siamo da meno. Noi francesi abbiamo fatto lo stesso con Santa Teresa di Gesù Bambino canonizzando i suoi genitori, i buoni Louis e Zélie Martin. Una delle sue sorelle si unirà presto a loro sugli altari. L’unico che manca, della famiglia Martin, è il cane al quale Santa Teresa era così affezionata da bambina, Tom, col quale giocava ai Buissonnets. In questi tempi ecologici, dal momento che i santi non predicano più agli uccelli come San Francesco o ai pesci come Sant’Antonio, non potremmo beatificare, già che ci siamo, il cane di Santa Teresa?
Perché la mania ecclesiastica che sembra prendere forma assomiglia stranamente a quella dei produttori di film di successo che cercano di ottenere ancora più profitti realizzando le sequenze che il pubblico attende impazientemente (cfr. Ad esempio Les Visiteurs 1, 2, 3 prima di fare un flop con il 4). Quando funziona, bisogna sfruttare la fortuna. I vescovi polacchi lo hanno capito bene e noi abbiamo mostrato loro la strada.
Se qualche anima pia mi sospettasse d’inizio d’eresia, lo farebbe a sue spese. Condivido la grande dottrina della Chiesa sul culto e la venerazione dei santi, senza dimenticare le raccomandazioni del Concilio di Trento (sessione XXV) che chiedono ai vescovi di garantire che “niente di disordinato, niente di prematuro e tumultuoso, nulla di profano e nulla di disonesto accada. “Il Concilio Vaticano II ha detto la stessa cosa (Lumen Gentium, VII) raccomandando di “escludere” e di “correggere gli abusi, gli eccessi o i difetti che possono essere apparsi qua e là, e di ripristinare tutto per una più piena lode a Cristo e a Dio “. Mi piace la dottrina del grande San Bonaventura (+1274), dottore della Chiesa, che spiega nel suo Breviloquium (5,10,3) che la Chiesa è una grande famiglia, i piccoli chiedono l’aiuto dei grandi e i grandi aiutano i piccoli.
Ma si devono accantonare queste prospettive rassicuranti per constatare la tristezza dei tempi in cui viviamo. All’inizio di novembre 2015, a Roma, è scoppiato lo scandalo del traffico delle beatificazioni. Nel libro ben documentato, Via Crucis, (tradotto in francese “Chemin de Croix”) il grande giornalista Gian-Luigi Nuzzi, che fu assolto in fine dal Tribunale del Vaticano, davanti al quale era stato portato da coloro di cui denunciava le negligenze, ha rivelato le pratiche fraudolente che regnavano intorno alla Congregazione per le Cause dei Santi. La beatificazione più economica costava 250.000 euro per raggiungere, in alcuni casi più difficili, 750.000 euro. Come fu per il vero e autentico beato Antonio Rosmini (1797-1855), autore delle Cinque piaghe della Santa Chiesa.
Dal libro di Nuzzi abbiamo ritenuto soprattutto le rivelazioni a proposito delle finanze del Vaticano, in particolare sull’uso fatto dal Segretario di Stato dei fondi provenienti dall’Obolo di San Pietro, fondi derivanti dalle offerte provenienti dal mondo intero per aiutare il papa nella sua missione. Responsabile a quel momento per la Segreteria di Stato, era l’ex assistente della Nunziatura in Francia, Mons. Angelo Becciu, focolarino, ora già fatto cardinale. Questa vicenda è riemersa lo scorso autunno con lo scandalo dei lussuosi edifici londinesi acquistati con questi fondi. Angelo Becciu, sempre lui, ha moltiplicato le reazioni per giustificarsi ma è davvero al centro dell’attenzione degli investigatori.
Forse non abbiamo prestato sufficiente attenzione ai traffici finanziari legati alle cause di beatificazione sui quali Nuzzi aveva indagato? Georg Gaenswein, il segretario di Benedetto XVI, attualmente screditato da papa Francesco, si era perfino fatto “mangiare” la sua carta di credito dal distributore della banca vaticana mentre stava prelevando denaro dal conto di una oscura serva di Dio della cui beatificazione si occupava. Papa Francesco aveva fatto bloccato il conto dei postulatori che ammontava a parecchie decine di milioni di euro. La Congregazione per le Cause dei Santi, allora presieduta dall’inossidabile cardinale salesiano Angelo Amato, fu tra i più fedeli alla sua tradizione e non disse nulla.
Tutt’al più furono inopinatamente pubblicati due documenti. Quello del 10 marzo 2016 annunciò nell’articolo 16 le norme per l’amministrazione dei beni per le cause di beatificazione e di canonizzazione che ormai bisognava pagare con assegno. Per le menti avvedute dei postulatori, era facile capire che una rivoluzione silenziosa era appena avvenuta e che il tempo delle valigette piene di banconote era finito. Il secondo documento, del 24 agosto 2016, risolveva con l’articolo 20 la questione delle indennità versate ai medici della Consulta Medica incaricati di riconoscere i miracoli dei futuri beati. Non si ringrazierà mai abbastanza Gian-Luigi Nuzzi per aver ottenuto indirettamente l’adeguamento alle norme attuali delle abitudini secolari dei postulatori.
Ma non c’è solo il denaro. Il nostro cardinale Becciu appartiene al movimento dei Focolari, fondato dalla serva di Dio Chiara Lubich (1920-2008). Questo progetto di beatificazione è già fortemente contestato nonostante la presenza di numerosi membri di questo movimento all’interno della Curia romana. Fanno parte dei movimenti che sono entrati nella lotta sotto il pontificato di Benedetto XVI per tentare di prendere la leadership nella Chiesa cattolica. Questo sinistro conflitto interno dei principali movimenti della Chiesa (Opus Dei, Comunione e Liberazione, Neocatecumenali, Rinnovamento Carismatico, Legionari di Cristo e Movimento dei Focolari/Opera di Maria), che si nasconde ancora dietro le quinte, ha già dato origine ai due scandali Vatileaks. La beatificazione a tutti i costi di Chiara Lubich fa parte della posta in gioco nonostante le sue ospedalizzazioni in cliniche psichiatriche e la sua dubbia dottrina mistica sull’unità da raggiungere tramite la sua persona ed espressa nel famoso testo per interni del movimento Il Paradiso 49, data in cui la “santa” ebbe “le sue” visioni sul “suo” paradiso nel 1949.
Il cardinale focolarino si mostrerebbe saggio nel frenare l’immediato ardore beatifico che provano i suoi fratelli e sorelle in Chiara Lubich. Non bisogna dimenticare che furono i Focolarini a produrre il famoso stendardo “Santo Subito”, innalzato durante il funerale di Giovanni Paolo II.
Non dovremmo affrettarci a rendere Chiara Lubich una Santa Subìta. In verità, come diceva un saggio e santo confratello, ci sono i santi che il Cielo impone alla terra ma anche i santi che la terra impone al Cielo. Per quanto mi riguarda, ho tendenza a considerare veri solo quelli e quelle del primo tipo.
Ecco perché, seguendo il buon cane di Sainte Thérèse, Tom, mi sono chiesto se i Wojtyla avessero un animale domestico. Per quanto ne so, no. Ma ho trovato un gatto per Giovanni Paolo II. Nel suo libro del 1979 per le edizioni Stock, Jean-Paul II, uomo di Cracovia, Georges Blazynski rivela (p. 283) un dettaglio che rivela la grandezza, la semplicità e anche la santità del futuro Giovanni Paolo II. Quando Giovanni Paolo I era appena morto il 28 settembre 1978 e tutti i cardinali dovevano raggiungere Roma il più presto possibile, una donna anziana vicina dell’arcivescovado venne a lamentarsi del fatto che il suo gatto era passato in una proprietà vicina dove lei non aveva accesso. Nessun problema! Senza preoccuparsi, il buon Karol fece un giretto per recuperare il gatto e restituirlo alla sua proprietaria. Fu il suo ultimo atto prima di essere eletto papa il 16 ottobre seguente.
Non riuscendo a parlare agli uccelli e a placare gli investigatori finanziari, l’attuale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il Cardinale Angelo Becciu, dovrebbe fare applicare meglio i decreti dei Concili sulle devozioni impazienti ed indiscrete dei fedeli in materia di santità e accontentarsi di accarezzare il suo gatto, nella direzione del pelo, sempre evitando di fare riferimenti azzardati alla canonizzazione di Giovanni Paolo II. Che papà e mamma Wojtyla mi perdonino. Sono sicuro che dal Cielo, dove sono già senza il permesso dei vescovi polacchi, mi sorridono e mi supportano nel voler proteggere la loro tranquillità post-mortem.