Europa. Von der Leyen si limita a ricordare che le misure contro il virus sono a tempo limitato
Di fronte allo stato d’emergenza sine die decretato in Ungheria da Viktor Orbán con la scusa del Coronavirus che gli permette di governare per decreto senza l’avallo del Parlamento e alla legge che punisce fino a 5 anni di carcere per la diffusione di «false notizie» e che limita drasticamente la libertà di stampa, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha reagito mollemente, affermando che «tutte le misure di emergenza devono essere limitate a ciò che è necessario» e «strettamente proporzionate», limitandosi a ricordare che «la democrazia non può funzionare senza media liberi e indipendenti». La Commissione «monitorerà con precisione, in uno spirito di cooperazione, l’applicazione delle misure di emergenza in tutti gli stati membri», ha aggiunto ieri, senza citare il caso ungherese. Didier Reynders, commissario alla Giustizia, ha ricordato a sua volta che Bruxelles valuterà le «misure di emergenza prese dagli stati membri rispetto ai diritti fondamentali» ma ha almeno aggiunto: «questo è in particolare il caso per la legge passata in Ungheria riguardo allo stato d’emergenza e alla nuova legge penale sulle false informazioni».
Le reazioni della Ue sono molto deboli. Ancora peggio il silenzio del Ppe, il principale gruppo politico del Parlamento europeo, a cui appartiene ancora la Fidesz, il partito di Orban, che è stato «sospeso» un anno fa, e ancora è atteso il rapporto di tre «saggi» sulla decisione da prendere, se reintegrare i 13 eurodeputati ungheresi oppure espellerli. Il Ppe il 16 gennaio scorso ha votato a maggioranza a favore della risoluzione del Parlamento europeo che ha chiesto conto alla Commissione sul deterioramento dello stato di diritto in Ungheria e in Polonia, i limiti all’indipendenza della giustizia, alla libertà di espressione e ai diritti delle minoranze: sono stati i parlamentari tedeschi della Cdu a sostenere questa posizione, mentre i rappresentanti francesi (Républicains), spagnoli (Partito Popular) e italiani (Forza Italia) erano per una linea morbida.
L’Europarlamento vuole essere associato alle audizioni, che finora si sono svolte a porte chiuse, tra stati membri. Queste audizioni hanno luogo nell’ambito della lunga procedura di applicazione dell’articolo 7 dei Trattati, avviato dal Parlamento europeo nel 2018 per l’Ungheria (mentre era stata la Commissione ad applicare la procedura per la Polonia nel 2017). Ma per applicare l’articolo 7, che prevede delle sanzioni – dalla sospensione del versamento di fondi europei (che equivalgono a circa il 4% del pil ungherese) fino alla privazione del voto al Consiglio – ci vuole l’unanimità dei 27 e l’Ungheria può contare sulla Polonia (e viceversa). Nel dicembre scorso, l’Ungheria è stata invitata a rispondere sulla politica giudiziaria e sulla limitazione alla libertà di espressione di fronte al consiglio Affari generali, per «violazione grave» dei valori della Ue. E’ solo il primo stadio della procedura dell’art. 7. Il Parlamento europeo ha chiesto date precise e vere decisioni da parte della Commissione, ma per il momento non è stato ancora stabilito di condizionare i fondi europei al rispetto dello stato di diritto. E’ ancora allo stadio di studio l’ipotesi di stabilire il principio che ogni anno ci sarà un rapporto sul rispetto delle libertà e dei valori da parte di ogni stato membro.
Bruxelles sembra prendere con leggerezza la svolta autoritaria di Orbán. Eppure, Orbán ha già provato a cambiare le alleanze, in vista di un accordo tra la Fidesz e il Pis polacco (nel gruppo Conservatori e riformisti), dopo aver tentato un riavvicinamento con la Lega, il Rassemblement national e l’Afd in Identità e democrazia.