“Il Concilio rappresenta una cesura nella storia del rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e comunità cristiane, nonché tra la Chiesa cattolica e le altre religioni mondiali non cristiane.
Naturalmente la coscienza di fede della Chiesa ha sempre contenuto, in tutti i tempi e in linea di principio, delle convinzioni che legittimano il rapporto da essa ora avviato verso le altre Chiese e comunità cristiane e verso le religioni non cristiane. Prima, però, tali convinzioni erano rimaste inoperanti in ordine a questo rapporto. I non cristiani erano semplicemente considerati come coloro che giacevano nelle tenebre del paganesimo e potevano essere salvati solo attraverso la predicazione del vangelo; nel suo complesso la cristianità non cattolica era la massa degli eretici, invitata amichevolmente o minacciosamente a convertirsi e a ritornare all’unica vera Chiesa cattolica, senza pensare che tale ritorno all’unità potesse comportare anche cambiamenti notevoli in seno alla Chiesa cattolica.
Non è facile mettere bene in luce nella coscienza teologica la cesura rappresentata dal Concilio. Infatti i motivi teologici che la legittimano esistevano già prima: la convinzione dell’esistenza della volontà salvifica universale di Dio in Cristo, la dottrina di una possibile giustificazione senza sacramenti, di una volontà implicita di appartenere alla Chiesa, della validità del battesimo anche al di fuori della Chiesa cattolica, ecc. Queste verità teologiche evidenti e sempre esistite possono dar l’impressione che nel rapporto tra la Chiesa e la restante umanità non sia propriamente cambiato alcunché. Dall’altra parte il teologo cattolico, a differenza di qualche credente troppo ingenuo, non può concepire la vicinanza e il rapporto positivo delle confessioni cristiane tra di loro e il rapporto del cristianesimo verso le religioni non cristiane come se non esistessero più differenze, divisioni e compiti seri per l’unificazione; come se la Chiesa cattolica fosse solo una figura storica e provvisoria qualsiasi, un prodotto tra i tanti della storia delle religioni, tutti ugualmente giustificati. Queste difficoltà verso destra e verso sinistra rendono difficile vedere il cambiamento subentrato e divenuto irreversibile con il Vaticano II. Cerchiamo ora di chiarirlo meglio, anche se forse diremo un po’ troppo in un senso e un po’ troppo poco in un altro.
Il cristianesimo è sempre stato convinto dell’esistenza di una vera storia della rivelazione e della fede, in cui non si verifica in maniera pura e semplice sempre la stessa cosa, bensì avvengono cambiamenti nuovi e profondi. Con l’evento Gesù Cristo si sono prodotte una presenza e una irreversibilità storiche della rivelazione, che non vanno taciute o minimizzate. Con questo, però, la coscienza di fede della Chiesa non cessa di essere un’entità storica che cammina a senso unico e accumula profonde cesure, anche se nella dottrina corrente sulla storia dei dogmi ciò non viene messo in luce, perché finora questa è stata concepita come frutto di deduzioni logiche dai dati originari della rivelazione. Se ci chiediamo quali novità abbia apportato il Concilio in questo processo a senso unico e irreversibile, dobbiamo anzitutto dire che nel Concilio la cristianità cattolica ha espressamente assunto un atteggiamento diverso e nuovo verso gli altri cristiani e le loro Chiese e verso le religioni mondiali non cristiane, e lo ha ratificato come atteggiamento realmente cristiano.
Il dato decisivo in questo cambiamento di mentalità in senso ecumenico — nel significato più ampio dell’espressione — sta nel fatto che l’entità e la radicalità del cambiamento è velata e minimizzata nella nostra coscienza comune da una mentalità liberale e relativistica moderna, che intende questa nuova apertura e questa nuova disponibilità ecumenica come una cosa ovvia e banale. Per tale mentalità nel Concilio non si è verificato nulla di nuovo o si è preso coscienza soltanto di una cosa ovvia e di una realtà che al di fuori del ghetto ecclesiastico-clericale era evidente già da lungo tempo. Orbene, non si può negare che, dal punto di vista storico, questa mentalità liberalistica moderna è stata di fatto il clima che ha reso possibile lo sviluppo della nuova mentalità ecumenica; questa però è scaturita da una radice genuinamente cristiana, è in quanto tale cristiana, si lascia definitivamente alle spalle una mentalità vecchia seguita per un millennio e mezzo, e rimane vincolante per il futuro della Chiesa a somiglianza di altri grandi eventi della storia della fede.
Tenendo conto di tutto e senza negare i germi del futuro nascosti nel passato, dobbiamo pur dire: prima del Concilio la Chiesa cattolica considerava le altre Chiese e comunità cristiane come organizzazioni di eretici, società di uomini che si distinguono dall’antica Chiesa solo per errori e deficienze e che devono tornare ad essa per trovare la verità piena e tutta la ricchezza del cristianesimo. Inoltre, le religioni non cristiane erano nel loro complesso solo la tenebra spaventosa del paganesimo, quel che l’uomo produce peccaminosamente e senza la grazia in campo religioso in virtù delle sole sue forze. Il dato che nella riunificazione ecumenica le Chiese non cattoliche potessero portare con sé nell’unica Chiesa del futuro anche un’eredità positiva della storia del cristianesimo non ancora presente in egual misura nella Chiesa antica,e il dato che le religioni non cristiane potessero esercitare anche nella loro istituzionalità una funzione salvifica positiva per l’umanità non cristiana, non erano esplicitamente presenti nella coscienza effettiva della Chiesa; oggi invece vi sono presenti e non potranno più essere cancellati, perché sono da essa colti non come frutti di una mentalità liberale degli uomini moderni, bensì come elementi della verità cristiana in quanto tale.
Ripetiamolo ancora una volta: chi ammette una differenza radicale e fondamentale tra verità ed errore, chi riconosce che il cristianesimo e la Chiesa pretendono veramente di avere un valore assoluto, chi riconosce in linea di principio a determinate nozioni formulate e a certe istituzioni religiose un’importanza decisiva per il destino eterno dell’uomo, costui non può sentire la cesura subentrata con il Concilio come una cosa ovvia. Egli la deve riconoscere come un evento fondamentalmente cristiano, come una vittoria del cristianesimo anziché del liberalismo, e deve essere pronto a sopportare e elaborare tutti i problemi religiosi posti da un simile cambiamento: cosa niente affatto facile e destinata a rimanere ancora per molto tempo un compito da perseguire.“