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Era proprio necessario modificare il Padre Nostro? (Matteo 6:9-13)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Riflessioni di Louis Pernot pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 10 settembre 2019, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro (www.gionata.org )

Quasi un anno fa il Sinodo della Chiesa Protestante Unita di Francia ha deciso di seguire l’esempio della Chiesa Cattolica e di modificare la sesta richiesta del Padre Nostro, ovvero di non dire più “non esporci alla tentazione”, ma “non abbandonarci alla tentazione”. È una buona idea?

Il testo al quale eravamo abituati, quel Padre Nostro che diciamo durante le nostre cerimonie, è una traduzione concordata tra protestanti e cattolici nel 1966, poco dopo il Concilio Vaticano II.

Alcuni cattolici hanno ritenuto che la sesta richiesta lasciasse supporre che Dio possa essere all’origine del male, e hanno quindi proposto di sostituirla con una formula secondo la quale Dio non è più l’autore della tentazione, ma piuttosto colui che ci salva da essa.

Le Chiese protestanti di lingua francese, consultate per l’occasione, non hanno obiettato praticamente nulla, perciò la Chiesa Cattolica ha cambiato la formulazione della sesta richiesta. Una mossa a cui ha fatto seguito un dibattito in molte Chiese protestanti, per decidere il da farsi, e il Sinodo nazionale della Chiesa Protestante Unita di Francia ha deciso di allinearsi alla decisione e adottare la nuova traduzione.

Tutte le traduzioni sono discutibili, ma il Sinodo ha ritenuto importante che tutti i cristiani pronunciassero alla medesima maniera questa preghiera che ci unisce. È l’unica preghiera insegnataci da Cristo, che fa di tutti i cristiani dei fratelli e delle sorelle, perché tutti e tutte, dicendo alla medesima maniera “padre nostro”, si riconoscono come figli e figlie del medesimo Padre.

Alcuni hanno approvato di cuore la modifica, pensando alla disastrosa testimonianza che la vecchia traduzione poteva fare presso i neofiti, che potevano vedervi l’immagine di un Dio possibile fonte di tentazione, di male, di prova: tutto il contrario della Buona Novella che si cerca di predicare a partire dall’Evangelo.

Ad altri non piace questa nuova versione, in base all’idea che vivere il male fa parte della vita, e che Dio onnipotente fa bene a fare come vuole, anche quando noi vorremmo facesse diversamente.

Anche gli esegeti si sono battuti per trovare argomentazioni in un senso o nell’altro, ma, a quanto pare, il testo originale non autorizza una risposta netta. Il greco in cui è scritto questo Vangelo è troppo sommario per sapere se intenda dire che è Dio che tenta, oppure se indichi la possibilità di non esservi sottomessi (da qualcun altro).

È chiaramente una scelta teologica quella di non fare di Dio il soggetto della prova (in quanto “prova” e “tentazione” si esprimono, nella Bibbia, con la stessa parola).

Ad ogni modo, nessuna traduzione del Padre Nostro è definitiva. Prima di quella che conosciamo, si diceva “non lasciarci soccombere alla tentazione”, e in altre versioni troviamo “non lasciarci cadere in tentazione”: molto vicine al nuovo testo!

C’è da ammirare la Chiesa Cattolica, che ha saputo precederci e dimostrarsi più dinamica e riformatrice di noi, e ora ci troviamo nella situazione di non poter fare altro che seguirla.

Ma si potrebbe andare ancora più in là: dopo tutto, la sesta richiesta non è l’unica che pone dei problemi: cosa dire della richiesta del “pane quotidiano”? Stiamo chiedendo forse di non morire di fame?

Ma allora, perché Dio non fa nulla per la carestia in Sud Sudan? E non è forse un problema quel “come”, il quale ci fa credere che Dio ci perdonerà solamente nella misura in cui anche noi perdoneremo?

E il “sia fatta la tua volontà” non rischia forse di gettarci in un fatalismo molto prossimo all’insha’Allah islamico?

E se vogliamo preoccuparci di chi ascolta questa preghiera ed è privo di una grande cultura teologica, quanto è davvero comprensibile l’espressione “sia santificato il Tuo nome”?

Non è che qualcuno penserà di star chiedendo di morire molto presto, dato che si chiede di essere ammessi subito nel suo regno?

Allora, alla fine, è tutto il Padre Nostro che dovrebbe essere ripensato e ritradotto… La traduzione ufficiale va bene per le celebrazioni ecumeniche, ma poi ogni Chiesa abbia la sua propria traduzione. Nel corso del culto, per esempio, perché non pronunciare, di tanto in tanto, il Padre Nostro in altre versioni?

Certo, c’è il valore comunitario del medesimo testo pronunciato da tutti i cristiani nel medesimo momento, ma spesso a detrimento del suo senso, che rischiamo di non capire mentre diciamo la nostra preghiera.

28 Dicembre 2019

 

 

Louis Pernot è pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia a Parigi

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