venerdì, Aprile 19, 2024

Con il Sinodo amazzonico la Chiesa ha l’occasione di reinventarsi. Intervista a Frei Betto

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

39971 ROMA-ADISTA. A pochi giorni dal Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre), la Chiesa della Conservazione «trasale», e stavolta non davanti «al grido d’angoscia dei popoli della fame» (citazioni dall’encicilica Populorum progressio di Paolo VI), se c’è mai stata una volta in cui ciò sia accaduto. “Trasale” invece, e non soprende, davanti al pericolo dell’infrazione dottrinale: davanti ai viri probati, al diaconato femminile, alla conversione ecologica, ad una Chiesa dal volto amazzonico… “Trasale” con essa la lobby latifondista e mineraria; “trasale” il presidente brasiliano Jair Bolsonaro; “trasale” il card. Müller, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Di siffatto “trasalimento” chiediamo conto a Frei Betto, al secolo Carlo Alberto Libânio Christo, teologo della liberazione, politico e scrittore. Imprigionato e torturato sotto la dittatura militare brasiliana, Frei Betto si ritiene un socialista cristiano, non ha mai nascosto la sua amicizia con Luis Inácio Lula Da Silva, del cui governo è stato assessore, e con Fidel Castro, che lui dice, non era perfetto, ma ha dato la vita per la sua gente. Autore di un Nuevo Credo che suona così: «Credo nel Dio liberato dal Vaticano (…) libero dai teologi (…), che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, (…) che si rifrange nella storia umana. Credo nel Dio che si fa bambino nel ventre vuoto della mendicante (…) e che piantò un’acacia in ogni stella».

In nome di questo Dio «traboccato, per amore, nella creazione», Frei Betto ama una Chiesa povera tra i poveri, che alle stoffe morbide preferisce le ruvide; la Chiesa delle piccole chiese con le porte smaltate di verde e i campanelli senza nome.

Frei Betto, dietro lo scontro politico sul Sinodo c’è l’ipotesi, sussurrata quasi a mezza voce in certi ambienti, che l’Amazzonia finisca sotto un protettorato; che diventi un ente geopolitico sovranazionale. Pochi giorni fa un articolo del Giornale di Francesco Boezi ha paventato l’ipotesi dell’esistenza di un’alleanza progressista dall’Eliseo al Vaticano atta a contrastare Bolsonaro e a realizzare il disegno di un’Amazzonia libera. È davvero così?

Non vorrei che l’Amazzonia fosse controllata da un protettorato internazionale. Sono nove i Paesi che annoverano una parte dell’Amazzonia ed hanno tutti il diritto ed il dovere di preservare la loro sovranità e indipendenza. Eppure la pressione internazionale sui governi amazzonici è molto importante per impedire i disegni di Bolsonaro: sterminare gli indigeni, che considera inutili; abbattere la foresta per aprire la strada ad imprese minerarie, agroalimentari e di allevamento; vendere l’area ad investitori stranieri. Il Sinodo convocato da papa Francesco è un momento molto importante per dire a Bolsonaro e a tutti quelli che vogliono fare dell’Amazzonia il nuovo Sahara: no pasarán! Dobbiamo mobilitare tutte le forze per impedire la crescita del surriscaldamento globale e la desertificazione amazzonica.

Bolsonaro non ama i teologi della liberazione e, in questo suo sprezzo, mi pare assolutamente corrisposto. Ho letto sull’Ansa Latina del 4 settembre una dichiarazione del vescovo Kräuter. Diceva: «I vescovi stanno meglio con l’Amazzonia che con i politici». Ne è convinto anche lei?

Sì, i vescovi delle diocesi amazzoniche conoscono molto bene chi vive in questa zona tropicale; sanno chi sono e che valori hanno i tre milioni di indigeni dell’area amazzonica (che parlano 340 idiomi diversi), e sanno anche che la foresta produce ricchezze rinnovabili senza minacciare l’ambiente circostante. In ogni ettaro di Amazzonia vi sono almeno tremila specie distinte di vegetali e animali.

Eppure il card. Raymond Leo Burke, sulla barricata opposta rispetto al cardinale brasiliano Hummes, che è il principale relatore dell’appuntamento sinodale, ha lanciato una crociata (v. Adista n. 33/19) con rinforzo di preghiera e di digiuno, perché “le novità dottrinali del Sinodo non devono passare”. Ma di cosa hanno paura?

Papa Francesco vuole che, in futuro, vi siano sacerdoti indigeni e non più sacerdoti che, da fuori, vengano a lavorare con loro. Però, gli indigeni, nella loro cultura, non possono concepire il celibato. Questo impedisce l’imposizione del celibato ed apre la possibilità che i sacerdoti indigeni ne siano in qualche modo dispensati. Questo fa indignare i tradizionalisti, che lamentabilmente non dimostrano lo stesso disgusto quando si tratta di pedofilia nella Chiesa. La Chiesa deve saper reinventare la sua missione evangelizzatrice, come ha fatto san Paolo (con disappunto di san Pietro), in ogni momento storico ed in ogni situazione culturale. Oggi non si tratta di portare gli indigeni al cattolicesimo, ma di avvalorare le loro tradizioni religiose e spirituali, che sono profondamente, profondamente evangeliche.

Il cardinal Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha espresso severe critiche teologiche nei confronti dell’Instumentum laboris del Sinodo. In sintesi, egli non apprezza il concetto di conversione ecologica, l’unica conversione è quella a Gesù Cristo, attraverso la Chiesa, dice. La cosmo-visione, secondo lui, è un’idea materialista, simile al marxismo. “Noi crediamo nella creazione”, aggiunge. E ancora: dopo il peccato originale non v’è alcuna armonia con la natura, molte volte nemica dell’uomo. E poi: i cattolici costruiscono chiese ed ospedali perché non vogliono lasciare la natura così com’è, ma credono che essa vada rivolta al progresso dell’uomo…

Müller non ha mai abbandonato la sua vita confortevole in Europa per convivere con i poveri dell’America Latina e gli indigeni dell’Amazzonia. Come diceva Gesù: egli non sa di cosa parla… Nessuno, eccetto i vecchi esploratori europei, ha detto che l’Amazzonia sia un paradiso. Però, i quattro milioni di abitanti dell’area, inclusi i tre milioni di indigeni, vivono un’esistenza più umana e in accordo con i principi evangelici. Per questo rifiuto di chiamare il capitalismo “selvaggio”. I “selvaggi” sono, in generale, più civilizzati di noi, che viviamo nelle aree urbane: non vedono la natura come materia prima per ottenere guadagni, ma come una Casa Comune; non vedono gli alimenti e l’acqua come valori di scambio, ma come valori d’uso; non sono cartesianamente separati dalla natura e non mantengono la relazione soggetto-oggetto, ma si sentono integrati olisticamente alla madre terra. È la saggezza del vivere bene, mentre noi, cittadini, cerchiamo solo ed egoisticamente il benessere, lo stare bene, nelle nostre case tiepide.

Julio Loredo, autore di un saggio molto critico nei confronti della Teologia della Liberazione, ha dichiarato ai microfoni di Radiodogma, programma che è già in sé tutto un programma: «Questo sinodo pretende di essere amazzonico, ma le persone presenti non saranno i veri indios». A seguire, si è scagliato contro Raoni Metukire, leader del popolo Kayapò, che ha recentemente incontrato il papa e Macron, stipendiato, a suo dire, dalle Ong. Ha citato un manifesto della fondazione pan-amazzonica, che lo dipingeva come «un pagliaccio che non rappresenta la comunità indigena».

Il mondo non sa chi sia Loredo, ma conosce Raoni. A parte questo, io rimprovero al papa l’aver trasferito il Sinodo dall’Amazzonia a Roma, però tutta la preparazione è avvenuta nel territorio amazzonico e questo ci conforta. E poi sono certo che anche a Roma parteciperanno molti leader indigeni. In verità, la reazione della gente contro il Sinodo è tipica di chi è contro i diritti dei poveri e crede vi sia compatibilità tra cristianesimo e capitalismo.

Ci sono davvero reali possibilità di un inserimento di uomini sposati e delle donne nel clero?

Io sono sempre stato contro il celibato obbligatorio, che non esisteva nella comunità apostolica di Gesù e nella Chiesa primitiva. A riprova di questo, il fatto che Gesù ha curato la suocera di Pietro, come si legge nel primo capitolo del Vangelo di Marco. Se Pietro aveva una suocera, credo si possa concludere che abbia avuto anche una moglie. E giustamente Gesù ha scelto proprio questo apostolo sposato come primo papa! Sono a favore della fine della misoginia nella Chiesa. Al pari degli uomini, le donne devono avere il diritto al diaconato, al sacerdozio ed anche all’episcopato, e anche al papato! Dobbiamo avere sacerdoti, uomini e donne, sposati, se lo vorranno.

Lei ha incontrato papa Francesco qualche anno fa, nel 2014. Il Sinodo è stato convocato il 15 ottobre 2017. Se non sono troppo indiscreto, durante quell’incontro papa Francesco le aveva accennato qualcosa di questo suo progetto?

Il mio incontro col papa, il 9 aprile 2014, a Roma, è iniziato con tre richieste: valorizzare, sulla carta, non a parole, il ruolo delle donne nella Chiesa; difendere i diritti dei popoli indigeni; appoggiare il modello pastorale delle Comunità Ecclesiali di Base. Prima di congedarmi, dissi: «Santo Padre, fuori dai poveri non c’è salvezza». Egli mi guardò e mi disse: «sono d’accordo. Prega per questo. Ore por isso!».

 

Roberto Rosano (a cura di), Adista Notizie n° 34 del 05/10/2019

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