giovedì, Aprile 18, 2024

Cammino quaresimale di conversione 2019: dal secondo incontro… (don Paolo Zambaldi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Dall’incontro di martedì 19 marzo 2019

2 – PROCESSATO E CONDANNATO:

 

DALLA PAROLA ALLA VITA…

Di generazione in generazione ci affanniamo per provvedere alla nostra vita mediante l’uso della violenza e il consolidamento delle nostre proprietà. Poniamo la felicità della nostra vita nel maggior potere e nella maggiore proprietà. E siamo talmente avvezzi a questa impostazione, che ci rappresentiamo come un’esigenza di sacrificio in nome di beni futuri la dottrina di Cristo, secondo la quale la felicità di un uomo non può dipendere dal suo potere e dalle sue proprietà e secondo la quale il ricco non può essere felice. Cristo non pensa di chiamarci al sacrificio, ma, al contrario, ci insegna a non fare quanto è peggio e a fare quanto è meglio per noi qui, in questa vita. Cristo, per amore degli uomini, insegna loro a rinunciare a tutelarsi con la violenza e con l’accumulo di proprietà, così come, per amore degli uomini, insegna loro ad astenersi dalle risse e dall’ubriachezza. E gli dice che, vivendo senza contrastarsi a vicenda e senza la proprietà, gli uomini saranno più felici e lo ribadisce con il suo esempio di vita. Egli dice che colui che vive in modo conforme alla sua dottrina deve essere pronto a morire in ogni momento a causa della violenza altrui, del freddo e della fame, e non può fare assegnamento neppure su di un’ora della sua vita. E a noi questa sembra una tremenda richiesta di chissà quali sacrifici; mentre invece è solo una convalida delle condizioni in cui da sempre vive, inevitabilmente, ogni uomo. Il discepolo di Cristo deve essere pronto in ogni minuto alle sofferenze e alla morte.  ma il discepolo del mondo non è forse nella medesima situazione? Siamo talmente avvezzi al nostro inganno, che tutto quello che facciamo per l’illusoria salvaguardia delle nostre esistenze, gli eserciti, le fortezze, le riserve alimentari, gli indumenti, le medicine, tutti gli averi, il denaro, ci sembra qualcosa di concreto, che tutela seriamente la nostra vita. Dimentichiamo quanto è palese a tutti, quanto accadde a chi si propose di costruire granai atti a rifornirlo a lungo, e morì quella stessa notte. Invero, tutto quanto facciamo per provvedere alle nostre esistenze esattamente quello che fa lo struzzo, che si ferma e nasconde la testa per non vedere come lo uccidono.  Noi agiamo peggio dello struzzo: per provvedere senza certezza a una vita incerta non nostra in un futuro incerto, roviniamo con certezza la nostra vita certa in un presente certo.

Lev N. Tolstoj, La mia fede, Milano, Mondadori, 1988, pag. 188-189.

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