venerdì, Aprile 19, 2024

Lectio Biblica: Esodo (incontro del 05 e 12 febbraio 2019)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

LEGGE E ALLEANZA

(Es 19,1-24,18)

 

Testi liberamente tratti da:

Fretheim T.E., Esodo, Torino, Claudiana, 2004;

Letture bibliche. Introduzione al libro dell’Esodo, a cura della comuni, Viottoli, foglio di comunità Anno XXI n°2/2018.

 

1.Introduzione

2.Su ali d’aquila

3.Teofania

4.I dieci comandamenti

5.Il codice dell’alleanza

6.Alleanza e vocazione

 

Introduzione

Una delle principali caratteristiche della legge veterotestamentaria è di essere inserita in una narrazione ( cioè nel racconto della storia di un popolo).

Mentre la legge e la narrazione avevano avuto senza dubbio vita separata per anni, ora la prima è stata inserita nella seconda. La legge non ha vita indipendente dalla narrazione, non è neanche presentata in un capitolo singolo all’interno del racconto, ma è intrecciata con esso in tutto il suo corso.

Dalla ricerca biblica storica attuale si ricava che questa integrazione di legge e narrazione è un fenomeno unico nel Medio Oriente antico. Le leggi lì sono raccolte in codici civili o penali, come lo sono anche le leggi greche e romane.

Qual è il significato di questa collocazione letteraria sia per la legge sia per la narrazione?

I seguenti 10 fattori devono essere tenuti in considerazione:

1)Dio è il soggetto, e nella legge e  nella narrazione. Dio è il dottore della legge ed è il protagonista della narrazione. Dio viene presentato come colui che parla e opera sia nella legge sia nella narrazione. La legge dà corpo alla parola di Dio, in quanto discorso, la narrazione riempie la parola di Dio in quanto evento- La narrazione permette una più piena rappresentazione di quel Dio che sta dietro la legge, mentre la legge sviluppa le immagini di Dio emergenti dalla narrazione.

2) La legge viene riconosciuta più chiaramente come dono della bontà di Dio quando viene collegata strettamente alla narrazione. La legge diventa un’altra parte della più ampia storia della bontà e della misericordia di Dio. Dalla narrazione risulta chiaro come la legge abbia il suo fondamento in una volontà divina personale e benevola. La narrazione rafforza l’intenzione divina presente nella legge: “Mai lasciare il popolo senza un’indicazione di quel che significa essere una comunità di fede, senza una direzione nella quale un credente possa camminare, senza una qualche istruzione riguardo alla vita di fede.”

La narrazione chiarisce il progetto di Dio e cioè che la legge è data affinché venisse a noi sempre del bene e ci conservasse in vita.

La volontà divina espressa nella legge intende estendersi a tutti quegli aspetti della vita che hanno già esperito la volontà salvifica descritta nella narrazione.

La narrazione aiuta a far vedere che la legge è fondamentalmente un dono, non un peso.

3) La narrazione permette di conservare la dimensione personale della legge. L’esperienza ha dimostrato quanto sia facile per la legge diventare un argomento impersonale che si manifesta in particolare con uno sfibrante legalismo. Può diventare, come già avvenuto, una legge fine a né stessa, senza alcun collegamento con un qualche specifico legislatore, dissociata dalla volontà dinamica di colui che sta dietro le sue formulazioni.

Nella narrativa ci si confronta con colui che dà la legge, una persona vivente che interagisce personalmente con il popolo, in ogni momento del suo viaggio. La narrazione rivela un rapporto vivente e pulsante tra Dio e il popolo. E’ lo stesso Dio che dona la legge e la dona come parte di un rapporto interpersonale già esistente. Così la legge deve essere compresa in termini personali e inter-relazionali.

4) Questa è integrazione mantiene strettamente collegate l’una all’altra l’azione divina e la risposta umana. La legge è simile alla liturgia (rito, canto, danza) nell’ essere così incastonata nella narrazione. Per questo è compresa come una forma diversa con cui il popolo risponde a quanto Dio ha operato in suo favore.

Nello stesso tempo la narrazione mantiene l’azione di Dio in primo piano specialmente negli avvenimenti dell’esodo. Lo si vede, per esempio, nell’incipit della legge (20,2) “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto”,

L’obbedienza alla legge allora non è vista come una risposta alla legge in quanto legge. L’obbedienza è fondamentalmente una risposta a Dio, a tutto ciò che Dio ha operato.

L’obbedienza è un modo di rendere giustizia a questo rapporto nel quale Israele già si trova a vivere.

5)Questa integrazione dimostra come la teologia della creazione costituisca un tema prevalente nel libro dell’esodo. La legge dà corpo a questa sottolineatura integrando così l’ordine cosmico e l’ordine sociale. L’opera di Dio come creatore viene spesso correlata troppo strettamente all’inizio di tutte le cose. Oppure un tale linguaggio viene impiegato per accrescere la continua opera divina di benedizione  che si manifesta, per esempio, nella fertilità umana e nella crescita delle greggi e dei campi. Non altrettanto spesso l’azione del Creatore viene messa in relazione con argomenti riguardanti la società, ma si deve sottolineare che gran parte della legge tratta aspetti della sfera sociale alla luce del rapporto di simbiosi fra gli ordini cosmico e sociale. La legge è un mezzo mediante il quale l’ordine portato da Dio nel caos a livello cosmico, viene riprodotto nella sfera sociale, per cui la volontà di Dio viene fatta in terra, come è fatta nel cielo.

 Gli egiziani hanno rappresentato un caso esemplare del sovvertimento della giustizia, dell’ordine mondiale di Dio, creando ingiustizia oppressione e caos sociale. La legge viene data al popolo di Dio come un veicolo con il quale, e mediante il quale, l’Egitto non si ripeta più.

6) La legge è un’esegesi dell’azione divina nella narrazione. Come Dio ha manifestato amore per il popolo ancora schiavo, così Israele deve comportarsi nei confronti di popoli in situazioni simili. Siate misericordiosi come misericordioso è il vostro Dio. La forma che la legge assume deve essere sempre misurata con il modello fondante dell’azione di Dio presente nella narrazione.

7) La motivazione data per l’obbedienza alla legge è contenuta nella narrazione. Voi eravate schiavi nel paese d’Egitto quindi dovete modellare la vostra vita nei confronti dei più svantaggiati nei modi che manifestino nello stesso tempo passione e giustizia. La motivazione di fondo per obbedire alla legge è tratta dall’esperienza storica, non da un’argomentazione etica astratta. La legge non deve essere intesa come qualcosa a cui obbedire solo perché lo pretende Dio, la legge non è un’imposizione da parte di Dio, avulsa dalla specifica storia di Israele o dalla comune esperienza riguardo la vita; la legge deve essere obbedita perché essa può essere considerata al servizio della vita e del benessere, deve essere obbedita perché contribuisce alla saggezza e alla comprensione e dunque può essere riconosciuta come tale  anche da coloro che non appartengono alla comunità di fede. Questo ci porta al prossimo punto.

8) Per la legge essere parte della storia significa che essa non è estranea o isolata dalla vita. Essa è parte integrante della vita in almeno due modi:

  1. A) in quanto emerge dall’interno della matrice/essenza della stessa

Questo ha due punti significativi: da una parte c’è che la legge non è semplicemente argomento di rivelazioni speciali; le narrazioni del deserto hanno parlato di leggi che emergono dalla saggezza dell’esperienza umana comune.

Dall’altra le leggi non sono date semplicemente come un corpus giuridico come quelle del Sinai. Nel deserto Dio dà ad Israele particolari ordini collegati alle situazioni della narrazione specifica. L’obbedienza era già una parte del rapporto di Israele prima del Sinai e questo rende testimonianza del fatto che esiste una volontà di Dio legata a situazioni specifiche, del tutto separata dalla rivelazione del Sinai. Il popolo di Dio dovrà così essere attento alla volontà di Dio anche per le situazioni della vita non contemplate in un corpo giuridico.

  1. B) in quanto è intrecciata all’interno stesso della struttura della vita.

Anche questo ha due punti significativi:

Da una parte il fatto che la legge sia così particolarmente collocata in un contesto pieno di promesse e di azioni divine di liberazione, significa che ad essa viene impedito di essere compresa solo in termini legalistici. Con ciò si rende chiaro che la legge non è un mezzo mediante il quale uno viene reso membro di una comunità di fede.

La legge è data a coloro che sono già liberati.

Dall’altra il fatto che gli ordini siano collocati in diversi momenti di una storia che continua, significa che la legge non deve essere vista come eternamente data, in una particolare forma, non è immutabile tanto da non dover cambiare mai nella sua forma o nel suo contenuto. Le leggi sono strettamente legate al tempo.

La legge interseca sempre la vita come essa è, piena di situazioni contingenti e di cambiamenti, con le sue complessità e le sue ambiguità.

Si muove con il tempo tenendo presenti l’esperienza e le intuizioni umane mentre rimane costante nel suo scopo: la miglior vita possibile per il maggior numero di persone possibile.

Questa vita del popolo in continuo cambiamento implica la necessità di leggi sempre nuove.

In altre parole questa combinazione mantiene un’importante tensione tra la tendenza verso l’assolutezza e la certezza della legge da una parte e la contingenza e l’incertezza dell’esistenza storica dall’altra.

La legge in sé e di per né tende a promuovere il mito della certezza così che si conosca esattamente quale sia la volontà di Dio in ogni ambito della vita, mentre l’esistenza storica specialmente quando viene vista nella prospettiva delle narrazioni del Deserto, è piena di aspetti contingenti in cui niente nella barca della vita sembra essere fissato in via definitiva.

 La legge fornisce una bussola per orientarsi nel deserto ma gli aspetti contingenti della vita del deserto impediscono alla legge di assolutizzarsi una volta per tutte nella forma e nel contenuto

9) L’integrazione di legge e narrazione significa che l’obbedienza alla legge diventa un’altra forma di testimonianza a Dio e a quello che gli ha fatto. Mediante l’obbedienza alla legge il popolo, confermando la propria vita a quella delle vie di Dio, dimostra così dinanzi agli altri la natura del suo Dio. Da qui rinarrare la storia e obbedire alla legge costituiscono due diverse, ma correlate, forme di testimonianza a Dio e alla sua opera.

10) La tradizione ha dato il nome di Torah, sia al genere legale, sia quello narrativo. La forza di tale aspetto consiste nel fatto che il Pentateuco è istruzione sia nelle sue leggi, sia nei suoi racconti.

 Da una parte i racconti servono per istruire, provvedere consigli, esigere un certo tipo di condotta. Non si può ascoltare un racconto senza riconoscere che esso fornisce norme che modellano la propria vita,

 dall’altra alle leggi viene impressa una certa forza narrativa nell’essere un riflesso dell’opera propria di Dio esse rinarrano il racconto di una forma diversa.

2 Su ali d’aquila

Esodo 19,1-8

Il resto degli avvenimenti del libro dell’Esodo (più Levitico e Numeri) avvengono sul monte Sinai.

Il popolo di Dio rimase 11 mesi ai piedi di questo monte Si tratta di un periodo carico di non piccole conseguenze per il futuro di Israele.

Esodo 19 infatti è un capitolo molto complesso, quasi certamente di natura composita, al quale tutte le maggiori fonti del Pentateuco hanno dato il loro contributo. Nello stesso tempo la redazione finale presenta una prospettiva ragionevolmente coerente.

I versetti 4-6 hanno un valore centrale in quanto vi sono contenuti 3 elementi importanti:

 1) Israele è per Dio il tesoro particolare fra tutti i popoli

 2) esso è un regno (popolo) di sacerdoti

 3) è una nazione santa

I significati delle tre espressioni sono correlati, ma distinti. Una delle chiavi per la loro più corretta comprensione è l’espressione: “Tutta la terra è mia!”

Dunque il significato più pieno delle tre definizioni di Israele può essere colto con questa traduzione: “Dal momento che tutta la terra è mia, e così anche voi, voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Questa traduzione suggerisce il riferimento a una missione che comprende il disegno di Dio per il mondo intero. A Israele viene affidata la missione di essere popolo di Dio a vantaggio del mondo intero, che appartiene a Dio.

Israele è chiamato dunque ad essere:

1) il tesoro particolare di Dio, un gruppo speciale di persone fra tutte le nazioni che sono proprietà di Dio e perciò un popolo che Dio può chiamare a essere il portatore di questo disegno.

2)un regno di sacerdoti vale a dire una nazione che serve, anziché una nazione che comanda. Come nazione dovrà dedicarsi a una funzione mediatrice fra Dio e gli altri regni, dovrà muoversi tra le nazioni come un sacerdote fa in una comunità religiosa, inoltre tutto il popolo di Dio, e non soltanto il clero deve essere impegnato a estendere per tutto il mondo la conoscenza di YHWH. Qui c’è un duro colpo a ogni forma di clericalismo che vorrebbe reclamare uno status particolare nell’economia divina.

3) una nazione Santa vale a dire un popolo separato (santo=separato) non soltanto da altri popoli/ nazioni, ma per uno scopo particolare. Israele deve incarnare il disegno di Dio nel mondo. Il parlare di nazione, anziché di congregazione/ comunità, indica che il discorso di Dio fa riferimento a tutti gli aspetti della vita di Israele relativi al compimento di questo disegno, non semplicemente a quelli di tipo religioso.

Chiarito questo:

A)E’ importante interpretare queste parole all’interno del più ampio contesto dei capitoli 1 -18 . Si è detto che l’elezione di Israele come popolo di Dio sia avvenuta al Sinai.

Ci sono però una serie di testi che rendono questa interpretazione inaccettabile. Israele è stato identificato da Dio come “mio figlio il primogenito” oppure “mio popolo” durante tutto il corso della narrazione e questo uso si ritrova in tutte le varie fonti. Questo fatto suggerisce una particolare sottolineatura dello status di Israele quale popolo di Dio già nel corso del soggiorno in Egitto. Non c’è elezione di Israele nel libro dell’Esodo; l’elezione è presupposta. L’’alleanza al Sinai non fonda dunque il rapporto fra Israele e Dio.

B)Infatti il ricorrente riferimento al Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe e le promesse di Dio nei loro confronti, presuppongono che questo popolo sia già il popolo di Dio, l’erede delle promesse fatte ai loro antenati. Dio ricorda l’alleanza con i padri che è stata stipulata non soltanto con Abramo ma anche con “la tua discendenza dopo di te”…

 Dio ha fatto una promessa assunto un obbligo nei confronti non solo di Abramo ma anche di Israele in Egitto.  Questo conferma che per l’Esodo l’alleanza del Sinai è una particolare alleanza sì, ma all’interno del contesto dell’alleanza con Abramo. Essa ha un carattere fondamentalmente di promessa

Torniamo ai versetti 4-6.

– Dio ricapitola brevemente quel che è stato fatto a favore di Israele liberandolo dall’Egitto e portandolo su ali d’aquila al Sinai, dove egli ha la propria particolare dimora.  Dio ha trovato Israele “in una terra deserta, in una solitudine piena di urli e di desolazione/. Egli lo circondò/ se ne prese cura/ lo custodì come la pupilla dei suoi occhi/ come un’aquila che desta la sua nidiata/ svolazza sopra i suoi piccini/ spiega le sue ali/ li prende e li porta sulle penne” Deut 32,10-12.

Questa è una splendida immagine di Dio visto come una madre che si prende cura dei suoi piccoli nel tempo in cui sono particolarmente   vulnerabili. Essi possono trovare rifugio dai pericoli della vita all’ombra delle sue ali. Inoltre si tratta di una descrizione di una crescita e di una maturazione, di un tempo di prova.

Questa è un’immagine di Dio che è comune nei salmi. Dio è colui le cui ali sono sempre disponibili come rifugio in tempo di attacchi, come riparo dagli elementi distruttivi dell’ambiente e come amorevole cura in ogni occasione. Questo Dio è stato pienamente coinvolto nella vita di Israele dall’uscita dall’Egitto attraverso il deserto e fino a questo punto della sua vita.,

– Dopo aver richiamato tutto quel che Dio ha fatto a beneficio di Israele viene espresso un” dunque”: “Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandamenti!”  Quando i figli chiedono ai loro genitori perché devono osservare i comandamenti, il motivo viene espresso ricordando quel che Dio che ha operato per loro. L’osservanza dei comandamenti è quindi una preoccupazione che deriva da un rapporto precedentemente stabilito da Dio.

Il versetto 8” Se ubbidite alla mia voce e osservate il mio patto”

 

  1. A) In primo luogo si deve notare che l’argomento viene presentato in termini personalistici. Ho fatto, li ho portati, tornate a me, darete ascolto alla mia voce, osserverete il mio patto, sarete il mio tesoro particolare, sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Quel che viene richiesto Israele è proposto in un linguaggio che parla più di impegno personale verso Dio stesso, che verso particolari comandamenti…

  2. B) In un secondo luogo obbedire alla voce di Dio è un impegno già espresso in Esodo 15,26. Abbiamo visto come l’esigenza dell’obbedienza non sia semplicemente connessa alla legge rivelata al Sinai ma come emerga anche in rapporto a varie situazioni nella vita di Israele.

  3. C) In terzo luogo quanto suddetto può valere anche per “e osservate il mio patto”. Non è un dire sconosciuto, è parte integrante del patto stipulato con Abramo. In quest’ ultimo contesto il riferimento è alla circoncisione. Però si capisce con chiarezza come l’’obbedienza in ultima istanza vada estesa anche a tutti quei comandamenti divini che di volta in volta saranno dati. Abramo aveva accettato e compreso il patto. Per la prima volta, quale comunità, Israele risponde a Dio come fece Abramo. Osservare il patto è obbedire alla voce di Dio.

  4. D) Il verso 8 deve essere messo in relazione con quel che Dio ha detto nei versi 4-6 senza alcun riferimento ai comandamenti del Sinai. Se obbedire alla voce di Dio e mantenere l’alleanza è un aspetto più ampio, più profondo dell’obbedienza ai comandamenti del Sinai, allora il versetto 8 è un impegno all’ obbedienza nei confronti di qualunque parola che Dio comanderà nel corso della storia di Israele e non solo.

3 Teofania

Esodo 19,9-20,21

 

Approfondiamo solo un aspetto della manifestazione di Dio.

Il problema centrale di questo passo infatti è quello di vedere Dio.

Guardare” è lo stesso verbo ricorrente nella formula “voi non potete guardare Dio e vivere”. Questo non significa che Dio non possa essere visto. Piuttosto che lo possa, ma che chi lo fa non può continuare a vivere. Né la pena è così severa? Il problema non è una preoccupazione per Dio, come se la trascendenza o sovranità divine fossero compromesse o violate. Il problema è “il bene del popolo”, cioè il preservarlo in vita.

Il non vedere Dio fa riferimento a una idea fondante della creazione che ha come scopo il preservare la libertà e la vita umane. Questo perché una presenza piena di Dio sarebbe considerata coercitiva: una presenza divina troppo diretta annullerebbe l’esistenza umana, come una fiamma uccide una farfalla. Dio deve tenere distante da né il popolo, non deve distruggerlo con la sua potenza. La visione di Dio deve essere di natura tale per cui l’incredulità rimanga una possibilità. Dio non annichilisce, non s’impone, non costringe. Quello che chiede è un’adesione volontaria dell’uomo con tutti i limiti che questo comporta. I capi come Mosè costituiscono una parziale eccezione a tutto questo perché hanno una funzione mediatrice che permette di comunicare la parola di Dio al popolo.

4 I dieci comandamenti

Esodo 20,1-17

L’Antico Testamento presenta più decaloghi o formulazioni simili al decalogo. Ad esempio essi compaiono in Deuteronomio e Levitico.

Temi fondamentali:

 

1- Le differenze che si riscontrano col Deuteronomio, dimostrano che i comandamenti non erano tramandati in una formulazione da mantenere inalterata nel tempo. E’ probabile che essi fossero tutti molto brevi e al negativo. Nel corso del tempo   sono stati ampliati o adattati alla luce di particolari bisogni della comunità.

2- La forma esortativa delle espansioni, suggerisce che il culto di Israele costituiva il contesto vitale primario per i comandamenti. La loro raccolta in questa forma semplice, diretta, facile da memorizzare, tuttavia, stimolava la loro applicazione al di fuori del Santuario e li manteneva vivi nella comunità. La loro citazione da parte dei Profeti testimonia della loro generale familiarità e importanza.

3-  l’indirizzo è alle singole persone, ma il contenuto non è circoscritto al benessere privato. Il punto focale infatti sta nel proteggere lo stato di benessere della comunità. E solo in questa prospettiva il singolo individuo riveste un ruolo rilevante.

4- Risulta importante il fatto che 8 comandamenti siano formulati al negativo: schiudono la vita anziché soffocarla. Vale a dire mettono a fuoco la dimensione interrelazionale e non già i singoli comportamenti.

 -Nello stesso tempo le formulazioni al negativo indicano che la preoccupazione primaria non è quella di creare una comunità umana, bensì di proteggerla da comportamenti distruttivi.

-Comunque essi contengono implicitamente il loro rispettivo risvolto positivo

5-I due comandamenti al positivo lasciano intravedere come la formulazione positiva sia appropriata per tutte le 10 parole. Per esempio il non dire falsa testimonianza invita a parlare bene del prossimo, il non uccidere invita a sforzarsi per preservare la vita, il non usare il nome di Dio invano raccomanda la lode a Dio

 Per una comunità di fede in condizioni spirituali buone, infatti, non è sufficiente semplicemente evitare i crimini

6- I limiti oggettivi che essi impongono includono più aspetti: comprendono infatti i rapporti con Dio, con il prossimo e con la natura. Tuttavia quest’ultima in particolare è meno presente di quanto oggi noi vorremmo che fosse

Anche i mutamenti nelle tendenze e negli orizzonti della vita sociale (ruolo della donna, trasformazione della società, affermazione di diritti, sviluppo della scienza) hanno ridotto la loro capacità di includere oggi molti fatti.

Quindi è della massima importanza che questi comandamenti non siano compresi come limitati definitivamente nel loro obiettivo o come principi etici non negoziabili.

7-Il canone dei dieci comandamenti è dunque un canone aperto: la nostra riflessione deve prenderne atto, le 10 parole che abbiamo, sono solo un indispensabile punto d’inizio per un obiettivo etico sempre nuovo.

 8-C’è anche da notare che i comandamenti sono in forma apodittica (relativamente conosciuta nel mondo antico), dichiarazioni semplici e si riferiscono ad aspetti centrali della vita di una comunità… Non viene specificata alcuna conseguenza giuridica per la loro violazione… La loro obbligatorietà non è condizionata dal loro essere rafforzabili, l’appello all’obbedienza ha una motivazione più profonda. Questi sono i comandamenti del “Signore, il tuo Dio”. L’appello al singolo “tu “e non alla comunità di Israele, rafforza l’importanza della motivazione interna, piuttosto che quella della pressione sociale o della coercizione esterna.

9- Essi servono per mantenere l’ordine nel mondo, restringendo il campo d’azione delle forze del disordine, così che la creazione non si trasformi in caos. L’obbedienza a questi comandamenti da parte di tutti, significherebbe che il disegno di Dio si è realizzato.

Il legame con la creazione, che è anche Torah, dimostra che i comandamenti non sono un’imposizione eteronoma di un gruppo di norme: osservarle significa infatti raggiungere lo scopo per il quale si è stati creati.

10- Da una prospettiva neotestamentaria i cristiani non sono esentati da tali esigenze.

 Infatti Matteo dichiara che i comandamenti non devono essere alleggeriti in nessun caso, ma spinti al livello più profondo dello spirito umano. Il comandamento dell’amore non pone i comandamenti da parte, ma li incorpora e li estende nella loro portata illimitata…

La polemica neotestamentaria contro la legge quale mezzo di salvezza  non è diretta contro l’antico Testamento ma contro interpretazioni erronee della legge del corso del primo secolo e che continuano a presentarsi anche oggi

Io sono il signore Dio tuo

Esodo 20.1-2

Diversamente dalle altre leggi il decalogo era una parola diretta di Dio, a Israele.

Questo dimostra l’alta considerazione in cui è stato tenuto dalla comunità. Non c’era nessuno che mettesse in dubbio che fosse stato dato da Dio.

Questa introduzione è di straordinaria importanza (riconosciuta anche dal giudaismo che ne ha fatta la prima parola).

-Da una parte essa mantiene la legge orientata in termini personali; l’obbedienza è un argomento di rapporto con YHWH, non con un  Dio in generale e non il rispetto della legge in quanto legge. Io sono il Signore, il tuo Dio. Questa è in verità una promessa che YHWH sarà il loro Dio. L’obbedienza è concepita relazionalmente.

– Dall’altra parte questo Dio identifica se stesso in rapporto a una storia particolare.

– Quelli cui viene data la legge infatti, costituiscono già il popolo di Dio, quindi la legge non viene intesa come un mezzo di salvezza, ma come un’istruzione riguardante la forma che una tale vita redenta deve assumere negli affari quotidiani di ciascuno.

Non avere altri dèi davanti a me

Esodo 20,3

Quale sia la forma nella quale si traduce l’espressione qui resa con” davanti a me”, essa esprime l’esigenza di essere assolutamente fedeli nei confronti di YHWH, rifiutando tutti gli altri dei.

 La formulazione di Deuteronomio 6,5 è una variante positiva di questo comandamento: “Tu amerai dunque il Signore tuo Dio, con tutto il cuore”. Per usare un’ espressione più esplicita ,questo significa temere, amare e fidarsi di Dio sopra ogni cosa. Questo comandamento è allora alla base di tutti gli altri, che da questo colgono   cosa significhi la fedeltà verso Dio nei vari aspetti del rapporto.

In questo senso il primo comandamento è il più importante di tutti.

 Talvolta  si è ipotizzato che questo comandamento con il suo riferimento agli “altri dei” dimostrasse una forma di  monolatria, parola che denota una fede o un culto in un solo Dio, senza negare l’esistenza di altri dei. Se questo comandamento lasci intravedere un monoteismo teoretico- c’è un solo Dio- è un importante questione storica, ma oltrepassa in larga misura il senso del comandamento.

La sua forza risiede in modo decisivo nel fatto storico che molti israeliti si dedicavano al culto degli altri dei.Da qui la necessità di questa affermazione che chiarisce un rapporto preferenziale (Dio ha scelto il suo popolo,il popolo il suo Dio) più che un’ affermazione teologica.(c’è un solo Dio).

Non farti scultura, né immagine alcuna

Esodo 20, 4-6

La proibizione delle immagini pone Israele al di fuori delle prassi religiose comuni delle culture vicine, ma il suo significato esatto non è affatto chiaro.

Per quali ragioni furono proibite le immagini?

a-Forse  le innumerevoli presenze di immagini nelle  religioni vicine, in particolare fra i cananei, conferì, nella tradizione, importanza a questo comandamento. Il potere ammaliante di quelle religioni era considerevole e le immagini erano parte integrante del culto idolatrico.

b- Ma perché vennero proibite le immagini di YHWH? Perché a tale proposito si può parlare di idolatria? La risposta più convenzionale è : ciò comprometterebbe la trascendenza di Dio.

 “YHWH infatti è al di sopra e al di là di una qualunque cosa presente (dunque anche delle statue) in tutta la creazione.”

 -Ma sembra più probabile che tale proibizione nasca  da una preoccupazione di proteggere la vicinanza di Dio che non la sua trascendenza. Diversamente dalle immagini plastiche che sono statiche, immobili ,sorde, mute, che non hanno sentimenti e non pensano e assicurano la presenza del dio in un punto temporale, il Dio di Israele può parlare, provare sentimenti e agire sia nella natura sia nella storia.

Adorare immagini significa negare alcuni elementi fondamentali della vera natura di Dio e nello stesso tempo della sua relazione al mondo.

d- Perciò Israele si rivolge alle immagini verbali, in quanto esse hanno la capacità di veicolare la vicinanza di Dio al contrario delle immagini plastiche. Ciò concorda con l’annuncio del Nuovo Testamento  che Gesù Cristo è “l’immagine del Dio invisibile”; colui che ha rivelato Dio nel modo più pieno era addirittura una persona umana vivente, attiva.

Non pronunciare il nome del Signore Dio tuo, invano.

Esodo 20,7

Questa proibizione riguarda fondamentalmente la nomea di Dio,vale a dire si preoccupa di proteggere il nome di Dio dall’ uso strumentale dello stesso e  del suo disegno per il mondo.  Esso presuppone lo stretto rapporto fra nome e reputazione. Il buon nome di Dio è tanto importante per lui quanto il nome di una qualunque persona che lo porta. Il nome è una cosa preziosa: il modo in cui le persone parlano degli altri- come le chiacchiere o altri discorsi vani e pericolosi- incideranno sulla loro reputazione nella società.

L’aspetto centrale in gioco per Dio dunque è la proclamazione di questo nome al mondo, è l’effetto che l’ascolto di questo nome avrà sul popolo: verrà attratto dal nome, respinto o rimarrà indifferente? Se questo nome è stato sporcato in qualche misura dal modo in cui è stato utilizzato dal popolo di Dio, o dalle pratiche alle quali è stato associato, allora le intenzioni divine potrebbero essere vanificate; oppure se nella proclamazione stessa del nome esso sia stato utilizzato in modo erroneo o falso( per esempio nella falsa profezia) Dio non sarà magnanimo nel proprio agire.

 Le discussioni su questo comandamento troppo spesso ne hanno limitato il campo di applicazione. In particolare l’uso del nome è stato ricondotto all’ambito della magia o della divinazione oppure del falso giuramento o della profanazione. In realtà qui è in gioco molto di più: il nome di Dio viene  troppo spesso  associato ad asserzioni vuote, a una religione  a buon mercato, oppure ancora a un’ideologia sociale o politica dell’ultima ora (es. fascismi). In questi casi esso viene trascinato in basso, allo stesso livello del contesto in cui viene utilizzato, viene messo fondamentalmente in relazione a una qualche ragione che si vuole evitare o rifiutare. Di conseguenza non si sarà incoraggiati a rivolgersi a questo Dio e quel nome non riceverà l’onore e il rispetto dovuti.

Il nome di Dio deve ricorrere solo nella preghiera. Come avviene nei salmi. “Celebrerò il nome di Dio con un canto, lo esalterò con le mie lodi” (69,30); “Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli. Ti loderò in mezzo all’assemblea.”(22,22”).

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo

Esodo 20,8-11

Santificare il sabato significa tenerlo separato dagli altri 6 giorni come “un santuario del tempo”. Le persone non devono vivere come se tutto il tempo fosse  loro proprietà.Il Dio di tutto il tempo, si riserva il diritto di determinare come un giorno debba o non debba essere impiegato. Questa divisione settimanale deve essere pubblicamente praticata con un tempo di riposo per tutti coloro che sono impegnati nel lavoro, inclusi i servi e gli animali. “Ricordati” è più che un atto mentale, è un’ osservanza attiva. Non c’è alcun riferimento in questo comandamento a un obbligo di culto, ma il fatto che si tratti di un “sabato per il Signore”, lascia intendere che fra gli atti di questo giorno vi sia anche la preghiera.

 E’ probabile che il sabato fosse un’antica istituzione. Le connessioni con l’Antico Medio Oriente tuttavia sono incerte. Ma la sua comprensione e il suo utilizzo si sono sviluppati considerevolmente nel corso degli anni. Tali sviluppi divennero più ampi nel periodo post biblico, fino all’era moderna, con il sabato che diventò oggetto di legislazione molto dettagliata (le regole ebraiche) .Di fronte a tutto questo ogni discussione sul sabato deve tenere decisamente conto del fatto che ,questo giorno, è un dono di Dio al mondo, non un aggravio .Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.

 La motivazione addotta è il riposo di Dio nel settimo giorno della creazione e per questo considerato santo. Osservare il sabato è dunque un aspetto interno alla sfera della creazione, anziché della redenzione, o una legge specificamente israelitica. Non si tratta di un’obbedienza che riguardi soltanto Israele; anche animali e stranieri la devono osservare.

Il riposo di Dio è un’azione divina che pone proprio nell’ordine delle cose create un ritmo lavoro/ riposo. Soltanto quando questo ritmo viene osservato, la creazione corrisponde alle intenzioni di Dio.

E’ sufficiente prendere parte per un momento a questa corsa continua che il mondo moderno ha inaugurato, per comprendere come la mancata osservanza del sabato contribuisca a una situazione sempre più caotica. Le preoccupazioni umanitarie legate al sabato meritano una particolare attenzione. Il sabato è un’istituzione fondamentalmente egualitaria. Il riposo del sabato è per tutti: ricchi, poveri, padroni, servi, esseri umani e animali. Ciò rimanda a un tempo in cui tutte le creature erano in pace l’una con l’altra. Ciò dunque induce a una riflessione la comunità : bisogna rispettare il sabato per ricostruire quell’ordine fondato sulla fratellanza e sulla custodia della natura che Dio aveva previsto dai tempi della creazione.

I restanti comandamenti hanno a che fare con i rapporti tra le persone.

Onora tuo padre e tua madre

Esodo 20,12

Alcuni spunti di riflessione…

Nessun rapporto interpersonale è così fondamentale quanto quello tra figli e genitori.

 -Si tratta di un ordine di fondo della creazione. In nessun momento della vita infatti, le persone cessano di essere figli/e dei loro genitori.

-In un punto il comandamento ha un tono contemporaneo: pone sullo stesso piano padri e madri, ché devono essere parimenti onorati. Ci sorprende, dato l’evidente carattere patriarcale della società israelita. Se il comandamento riflette le esigenze e l’ autorità divine, esercitate tramite i genitori, la donna accettata come rappresentante di Dio è un fatto veramente rilevante.

Questo peraltro è in parallelo con l’uso della figura e materna e paterna come metafore di Dio (Is 64,8).

– La formulazione al positivo, insieme all’uso dell’onnicomprensivo verbo “onorare”, significa che non viene richiesto un comportamento specifico, si tratta piuttosto di un comandamento non circoscritto temporalmente, che invita i  figli a rispettare i genitori.

– E’ stato dimostrato che il comandamento è rivolto più verso di adulti che verso i figli/bambini . Forse si hanno in mente, in particolare, quei casi in cui genitori anziani sono maltrattati quando le loro capacità lavorative e o mentali siano profondamente regredite. Ma questa lettura dimostra anche come “l’obbedienza” non costituisca il centro di quel che significa onorare. Questa comprensione del comandamento è diventata estremamente complessa in un tempo di crescente longevità, quando le pensioni sociali minime, le case per anziani, le cure mediche per gli anziani hanno assunto un grande peso nella vita. Le autorità governative a vari livelli sono state spesso investite della responsabilità implicita in questo comandamento; gli anziani ancor giovani in particolare, devono esaminare con molta attenzione in quale misura essi o l’autorità governativa al loro posto, sta trattando le caratteristiche sopra indicate dell’”onore”. Si tratta di un espansione legittima  perché tali autorità sono state incaricate di assumere un ruolo “genitoriale” in molte situazioni.

Non uccidere

Esodo 20,13

Alcuni spunti di riflessione

I restanti comandamenti hanno a che fare con i rapporti tra persone socialmente uguali.

Questo comandamento è venuto sempre più alla ribalta, soprattutto per la crescita di considerazione, nel corso degli anni, soprattutto nei tempi più recenti, di coloro i quali si interessano di guerra, pena di morte, suicidio, eutanasia, autodifesa e aborto.

Per questo ci si deve confrontare non solo con il suo significato, ma anche con le sue possibili interpretazioni.

– Il significato del verbo uccidere (rasah) è stato occasione di molte discussioni. Alla luce di alcuni testi ( ad esempio I Re,21,19) si è pensato che il verbo significasse  “assassinare”, anche se esso  spesso viene usato in relazione a un’ uccisione non intenzionale, oppure all’esecuzione di una persona riconosciuta colpevole.

 -Non ricorre mai( nei testi sacri), per indicare l’uccisione nel corso di una guerra.

 Gli studiosi hanno cercato dunque, alcuni significati più specifici ad esempio pensando alle faide di sangue, alla violenza illegittima contro un israelita, al farsi giustizia da soli. Ma hanno concluso che, probabilmente, il suo significato si modificava nel corso degli anni, alla luce delle mutevoli circostanze storiche. Anche se questo è difficile da dimostrare.

– Forse il comandamento viene presentato meglio in altri passi (Nm 35,20,21) nei quali si definisce “uccidere” come ogni atto di violenza contro una persona, determinato dall’odio, dall’ira, dal dolo ,dall’inganno, dal vantaggio personale, in qualunque circostanza e con qualunque metodo, che potrebbe portare alla morte (anche se non c’era l’intenzione di uccidere).

” Assassinare” dunque non coglie a sufficienza questo significato della parola. Il  più generico” uccidere” aiuta meglio la comunità di fede forzandola a continue riflessioni sul significato del comandamento , ricordando a tutti che nel togliere la vita a un altro, per qualunque motivo, si agisce al posto di Dio.

 La motivazione profonda del comandamento, è che, la vita appartiene a Dio. L’intenzione divina della creazione, è che, nessuna vita sia tolta. La vita allora non è qualcosa di cui qualcuno possa disporre a piacimento; nessuno è Dio. Appartiene soltanto a  Dio determinare che cosa vada fatto con la vita.

Gli esseri umani non devono mai uccidere sulla base della loro autorità: essi sono soltanto agenti di Dio.

 L’uso limitato della pena capitale in Israele, come viene specificato in alcune leggi date da Dio, riguardava la violazione dell’ordine creato (Es 21.12 17;22,18 20).  L’uccidere  diventava un aspetto del ricondurre il mondo sotto Dio.

 Argomenti similari ( cioè  ad esempio ripristinare l’ordine cosmico) furono utilizzati nell’antico Israele per spiegare l’intervento divino in alcune guerre.

 Ma oggi tutto questo può ancora valere visto il  proliferare degli arsenali nucleari? Essi stessi costituiscono una minaccia all’ordine del mondo di Dio senza paralleli nella storia umana ! Questo dovrebbe suscitare nuove riflessioni sulla guerra e sulla pace e quindi dare un nuovo significato alla parola “uccidere”.

 E’ necessaria un’attenzione sia ai limiti, sia all’estensione del significato del comandamento. Essa deve andare  al di là della sua formulazione originale, per comprendere le nuove situazioni di vita ,ma  deve tener sempre presenti le intenzioni creazionali di Dio. Anche Gesù applica una rilettura (Matteo 5 21-26) della parola uccidere; egli estende il comandamento oltre la violenza fisica, per includere l’abuso verbale e le altre manifestazioni di ira. Soprattutto egli esprime la preoccupazione che si dia massima priorità alla riconciliazione fra le  persone !Tema della non violenza

Non commettere adulterio

Esodo 20,14

Alcuni spunti di riflessione

Questo è un altro comandamento designato a proteggere la famiglia. L’atteggiamento di Israele nei confronti dell’ adulterio non è unico nel contesto del Medio Oriente Antico.

L’espressione adulterio/“grande peccato” viene utilizzata in Israele e altrove.

 Inoltre è necessario sottolineare l ’impiego della parola adulterio, per indicare l’idolatria, che altro non è se non   “l’infedeltà di Israele nei confronti di Dio”.

Questo dimostra la serietà con la quale è considerata la relazione adulterina a livello umano.

 Il problema della mancanza di fedeltà colpisce l’integrità stessa del matrimonio. La serietà di una tale violazione di relazione si vede nella prescrizione della condanna a morte, anche per il re.

L’adulterio è un crimine contro le persone ma anche un peccato contro Dio stesso. Esso viola le intenzioni creazionali di Dio che lega strettamente il ruolo positivo della sessualità con l’impegno e la fedeltà.

Il comandamento coinvolge tanto gli uomini quanto le donne e riguarda i coniugati e i fidanzati. Tuttavia a questo riguardo la legge tratta l’adulterio dell’uomo e della donna su due livelli. Gli uomini commettono adulterio soltanto con un’altra donna sposata ma una donna lo commette con qualsiasi uomo: ciò accade a causa del carattere patriarcale della società israelitica!

Il comandamento ha che fare con l’adulterio ovvero con l’infedeltà coniugale e non già con la fornicazione. Nello  stesso tempo almeno alcuni aspetti di quest’ultima sono stati considerati come reati morali e potrebbero essere ritenuti un’ estensione del comandamento ad altri reati sessuali.

 Una qualunque attualizzazione del comandamento deve includere anche altri costumi sessuali indotti da comportamenti mutati nel tempo. Spesso la soluzione di questi problemi non presenta contorni nettamente definiti . Molestie sessuali stupri pornografia sono certamente espressione di violenza contro l’altra persona; non devono essere considerati reati di secondo livello solo perché non sono presenti in termini espliciti nelle leggi di Israele.

 L’estensione del comandamento operata dallo stesso Gesù prende in considerazione proprio  questo punto (Mt 5,27 28).Inserire il testo

 Altre questioni come l’omosessualità  e i rapporti sessuali prematrimoniali sono più complesse.

 Ancora una volta una tale valutazione deve avvenire fondamentalmente nel contesto di una teologia della creazione in riferimento ad argomenti biblici e non biblici. Questo comandamento infatti insiste che i temi della sessualità non sono contingenti  finalizzati al buon ordine del mondo di Dio. Dal punto di vista positivo, questo comporta un’attenta cura per i corretti rapporti uomo/ donna in tutti gli aspetti della vita quotidiana.

 Rispetto, onore, integrità dovrebbero informare sia l’atteggiamento sia il comportamento verso i membri dell’altro sesso .

Non rubare

Esodo 20,15

Mentre alcuni commentatori hanno suggerito che questo comandamento abbia di mira il rapimento di bambini (vedi 21,16) è probabile che si riferisca al furto in generale. Comunque, Israele considera la proprietà come un’estensione “del proprio io” del suo proprietario, così che il furto di una proprietà è un crimine contro la persona, non soltanto contro la sua ricchezza (come chiunque sia stato vittima di un furto con scasso conosce bene).

 Il furto della proprietà di Israele viene considerato dunque un torto ;vale a dire la parte offesa deve essere completamente risarcita.

Per tentare di frenare questo comportamento, veniva imposto in casi particolari ,un risarcimento superiore al valore di ciò che era stato sottratto, per quanto questo difficilmente avrebbe funzionato da deterrente per i benestanti (rubano in qualche modo anche i ricchi!).

 Questo comandamento viene infine esteso (Deut.25,16) fino a includere qualunque forma di disonestà.

 Il furto è un attacco alla dignità della persona umana e al suo lavoro. Dio ha dato dignità all’uomo affidandoli del lavoro da compiere , dal quale egli si aspetta di ricevere parte dei frutti della sua fatica. Questo è un dato centrale nelle intenzioni creazionali di Dio per il genere umano. Il furto è il rifiuto di accettare tutto questo e quindi l’umanità sia del ladro, sia della vittima, viene sminuita. Inoltre gli esseri umani fanno uso dei doni dati loro da Dio nel e mediante il loro lavoro. Per il ladro non tenere in considerazione questi doni e le benedizioni che essi portano, significa trattare con spregio quello che Dio ha dato.

 Viene infine, sottolineato l’aspetto positivo di questo comandamento nell’ indicare che ogni persona (e per estensione la società , il governo e l’amministrazione pubblica) è responsabile della conservazione e della prosperità della proprietà del prossimo, anche se questo prossimo è un nemico.

 Questo comandamento non è però una base per la santificazione della proprietà privata in quanto tale o di un particolare sistema economico. Non proibisce ,per dire, strutture che possono comprendere la proprietà comunitaria. Fondamentale per una retta comprensione è che il popolo di Dio non possiede proprietà per diritto naturale, ma soltanto per la grazia di Dio.

 Queste considerazioni sollevano temi di fondo circa l’opulenza della società moderna. L’attaccamento ai beni materiali, uno stile di vita spensierato e la degenerazione della vita sociale, il tutto di fronte a fame e penuria incredibilmente diffuse, pongono il problema del furto in termini del tutto diversi. I profeti inveivano contro Israele proprio su questo aspetto. Questa ricchezza a spese di chi è stata raggiunta ? Non costituisce spesso furto, per esempio, un salario o un sostentamento inadeguati? Ma le distanze geografiche sono tali per cui raramente possiamo conoscere i nomi delle vittime e guardarle negli occhi. Di fronte alla complessità della società moderna (liberismo, capitalismo, limitazioni gravi ai diritti del lavoro, rapina delle risorse, neocolonialismo) è necessario riformulare concettualmente l’idea di furto.

Non attestare il falso contro il tuo prossimo

Esodo 20,16

Il punto focale originale di questo comandamento era la falsa testimonianza nei procedimenti giudiziari.

 Le pene per questo reato erano severe, comprensibili alla luce delle sue pesanti conseguenze. Ciò  non soltanto per l’attacco contro un’altra persona e la sua reputazione, ma per il discredito attuato contro le strutture giudiziarie di una comunità, basate su un rapporto di fiducia.

L’estensione del comandamento alla menzogna più In generale, avviene presto e include qualunque parola ingannevole calunniosa futile o vuota nei confronti di altre persone, che ne mini la reputazione o che li ponga comunque in cattiva luce. Questo comprenderebbe non solo lo sforzo deliberato per ingannare, ma anche la parola casuale e le chiacchiere che spesso danneggiano la reputazione o la stima in cui una persona viene tenuta. Con questo si riconosce una preoccupazione, oltre che per i singoli individui, anche  per il benessere della comunità che dipende dalla fiducia reciproca.

L’allargamento del significato di questo comandamento operato da Gesù ( Mt5,33-37)inserire testo è in linea con questo sviluppo veterotestamentario.

Questo comandamento richiede un impegno alla verità in tutti i rapporti personali .Ancor più, esso richiede che ciascuno utilizzi le parole in modo costruttivo così da parlare degli altri al fine di favorirne e incrementarne il benessere.

Non desiderare le cose altrui

Esodo 20,17

La parola” casa “ può includere quanto appartiene al proprio prossimo, ma dal momento che tutto l’elenco a seguire è costituito da esseri viventi, potrebbe riferirsi  genericamente a beni materiali.

 L’elenco di persone e animali può essere considerato un comandamento  che si riferisce a ciò che ha maggior valore.

Il problema interpretativo di fondo è quello di determinare che cosa comporti il verbo hamad (“desiderare”,” concupire”).

 Per molti esegeti è risultato problematico che questo sia l’unico comandamento apparentemente riferito a un’ offesa presente solo nel cuore /mente.

 Dal momento che la proprietà (nel senso di” voler possedere”)  è talvolta implicita nel verbo stesso ,non è insolito concludere che il desiderio si riferisse all’origine, non semplicemente a un impulso della volontà, ma anche all’azione che conduce al possesso di ciò che si desidera.

 Alla fine il verbo è stato impiegato per gli impulsi soggettivi e nel migliore dei casi  si può arrivare a dire che il desiderio spesso conduce all’azione.

Di conseguenza il comandamento è con molta probabilità riferito solo agli atteggiamenti del cuore/ mente che più o meno sottilmente, conducono al cattivo uso di quello che non ci appartiene.

 Fa riferimento allo spirito del singolo, che è il presupposto interiore per la violazione degli altri comandamenti . Senza desiderio la mancata osservanza di essi probabilmente non avverrebbe. Il comandamento  rivela quanto siano impegnative queste parole di Dio.

 La vera obbedienza comporta non soltanto di evitare certe azioni, ma anche quelle intenzioni o atteggiamenti verso gli altri con i quali si è in rapporto, che  forse sono indicati in modo più preciso con parole quali invidia, concupiscenza e desiderio smodato. Il desiderio trova il modo di covare lo scontento e conduce facilmente all’abuso e al reato ;si tratta di una fonte basilare  di disordine e turbamento nei rapporti interpersonali. Esso manifesta una profonda disaffezione verso ciò che è stato dato.

 Questa comprensione si avvicina a quella di Gesù in Mt17:21 (inserisci testo) l’espressione “ma io vi dico” di Gesù, non è affatto un’interpretazione troppo radicale del comandamento ma un  farne emergere il significato (forse dimenticato) in riferimento al desiderio quale radice di ogni disobbedienza.

 La forza di questo comandamento per una società dei consumi è stata espressa da Harrelson(1980,pag 153):” La nostra è un’epoca in cui l’appetito per avere sempre di più sembra quasi impossibile da mitigare. Troviamo sempre più difficoltà nel mantenere un qualche senso di equilibrio nell’uso del cibo; nei gadget per la casa ,per l’ufficio o  per l’auto; nel vestirsi, nei ricevimenti fatti perché ci si possa far vedere; nei beni o nell’ attrezzatura per il divertimento.” Dobbiamo imparare come operare la distinzione tra il desiderare quel che è sano buono e benefico per le persone e per la natura, e quello che nutre semplicemente il nostro appetito più di quanto abbiamo bisogno.

 Questo comandamento dimostra che il linguaggio della norma o della regolazione o anche della legge non è del tutto appropriato per i comandamenti.

 Il desiderio non può essere regolato, presidiato ma va lasciato soltanto all’obbedienza. Il linguaggio dell’educazione è più appropriato:  un atteggiamento della mente /cuore si può educare non imporre con divieti.

 Si potrebbe anche dire che questo comandamento rende importante la presenza garante di Dio: soltanto Dio infatti può conoscere il cuore, può scorgere la presenza o l’assenza di obbedienza nello spirito umano. Nei comandamenti si ha a che fare fondamentalmente con il proprio rapporto con Dio. Oppure, per dirla con altre parole, il peccato contro il proprio prossimo non si riferisce soltanto a un aspetto interpersonale. Coinvolge anche Dio .

 

Il codice dell’alleanza

Esodo 20,22-23,33

Al decalogo segue il Codice dell’Alleanza, cioè le leggi civili e penali, le regole cultuali e le norme di morale sociale.

 Nel Pentateuco si ritrovano tre tipi di codici.

Il più antico è qui in Esodo 21 -23; in Levitico 17- 27 c’è il cosiddetto “codice di santità”; infine c’è il” codice deuteronomico” Dt 12- 26.

 Questi codici trattano gli stessi argomenti -le leggi penali, civili e cultuali- ma sono tutti diversi.

Come esempio si può mettere a confronto tre leggi che riguardano gli schiavi ebrei :

1 Esodo 21.2-4.” Se compri uno schiavo ebreo egli lavorerà per 6 anni; nel VII sarà libero di andarsene senza pagare il riscatto. Se quando è diventato schiavo non era sposato, andrà via da solo ;se era sposato, sua moglie andrà con lui. Se il suo padrone gli ha dato moglie e questa gli ha partorito figli o figlie, la donna e i suoi figli resteranno proprietà del padrone e lo schiavo se ne andrà da solo.”

 2 Dt 15,12-15 “Se fra i vostri connazionali ebrei un uomo e una donna saranno costretti a vendersi a voi come schiavi, vi serviranno per sei anni e al settimo li lascerete liberi. Quando li libererete non li farete andare via a mani vuote: gli regalerete pecore e capre, grano e vino, tutte cose che dovete alla benedizione del Signore. Non dimenticate mai che siete stati schiavi in Egitto e che il Signore vostro Dio, vi ha liberati.”

3 Lv 25,39-42” Quando uno dei nostri connazionali caduti in miseria dovrà vendersi a voi come schiavo, non fatelo lavorare come schiavo, ma trattatelo come un salariato o uno straniero che abita in mezzo a voi. Egli sarà al vostro servizio fino all’anno del Giubileo. Allora egli sarà reso libero insieme con i suoi figli , rientrerà nella sua famiglia e ritornerà in possesso dei suoi terreni. In effetti gli Israeliti sono miei servi, perché li ho liberati dall’Egitto. Per questo essi non devono essere venduti come si vendono gli schiavi.”

 In Esodo lo schiavo, anche se è ebreo, viene trattato molto duramente. Quando se ne va, perde la moglie e i figli, se gli sono stati dati dal padrone. All’estremo opposto  il Levitico dichiara che non possono esserci schiavi ebrei, anche se sembra oscillare tra un trattamento da schiavo e un trattamento da uomo libero.

 Questi codici israelitici si rifanno- in certi passi letteralmente -ai codici dei popoli vicini ,con delle differenze di impostazione .

Il più antico codice che ci è pervenuto è quello babilonese di Hammurabi del 1800 avanti Cristo, che comprende tutte le leggi civili penali e cultuali. E’ il dio Marduk che lo comunica al re Hammurabi.

 Anche il codice dell’Esodo non è una legge umana ma divina. Non è Mosè il popolo o il re a istituire il codice, ma Dio.

Il codice di Hammurabi è classista molto attento ai reati verso la proprietà : è diverso se il reato è commesso da un nobile, da un commerciante o da uno schiavo. Uccidere non è tanto grave quanto rubare.

 Altro popolo confinante è quello assiro. Le sue leggi sono terribili, le pene sono tutte corporali. Impalatura , tagli, squartature.

 A nord della Palestina c’erano gli Ittiti abitanti dell’attuale Turchia. Era un popolo di mercanti : i reati sono puniti con multa.

 Il codice dell’Esodo si differenzia  da quelli dei popoli vicini, nel senso che c’è più attenzione verso la persona. Il codice non è classista, mentre i reati contro Dio e contro la purezza del seme, sono tutti i gravi.

Dunque le leggi riflettevano la struttura sociale ed economica ma anche l’atteggiamento spirituale del popolo. Nel codice dell’Esodo alcune leggi non sono seguite da una pena, ma da una motivazione. Per esempio Esodo 22,25-26:” Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo devi restituirglielo prima del tramonto del sole, perché il mantello è la sua unica coperta. Come potrebbe ripararsi dal freddo quando dorme?”

 La Bibbia delle donne, sottolinea che in questo codice ,le donne spesso non vengono considerate. Il testo “è scritto a partire dall’esperienza maschile ed è indirizzato ad un uditorio maschile. Le donne rientrano in tale struttura come eccezioni alla norma(maschile)o come casi particolari. Tre esempi di questo tipo sono quelli della figlia venduta come schiava, della violenza che provoca l’aborto e dello stupro di una vergine (…) Secondo il punto di vista sulle donne offerto da questi esempi, esse sono considerate unicamente come proprietà di padri e mariti. Nel caso della figlia venduta come schiava, sembra che i provvedimenti si prefiggano di essere più protettivi di quelli estesi agli schiavi maschi.Il loro effetto ,tuttavia, è di garantire che la schiava non possa mai sottrarsi al controllo maschile. Per quanto riguarda la donna incinta che viene fatta abortire e la vergine stuprata, è dovuto il risarcimento rispettivamente al marito e al padre , il che indica fino a che punto il corpo delle donne non fosse soltanto controllato, ma realmente posseduto, dagli uomini. Il fatto di stabilire che lo stupratore debba sposare la sua vittima evidenzia fino a che punto, nel testo, non sia tenuta in considerazione l’opinione personale della donna.”

 Dio dà un insieme di leggi che gli Israeliti sono tenuti ad osservare, ma in cambio si impegna a proteggere e a guidare il suo popolo, a portarlo nella terra che gli ha destinato, sconfiggendo tutti i nemici che troverà sulla sua strada. Promette una terra che va dal Mar Rosso fino al mar Mediterraneo e dal deserto del Sinai fino al fiume Eufrate. Questi sono i temi  dell’Alleanza in questo capitolo dell’Esodo, un do ut des ben preciso.

 C’è un altro tipo di alleanza che si ritrova in altri passi del Pentateuco anche contigui: un promettere gratuito di Dio senza richiesta di rispetto di una legge. In questo secondo caso si tratta di una concessione unilaterale incondizionata.

 Per questo la Bibbia è anche detta Testamento; già la Bibbia tradotta in greco dai Settanta ha” testamento” per il termine Alleanza (berit) inteso in questa seconda accezione: non è un Alleanza tra uguali, è un impegno unilaterale di Dio, che non chiede contropartite se non la scelta di questo Dio e l’amore verso di lui. (Mazzinghi)

Alleanza e vocazione

Esodo 24 1-17

Il capitolo è una combinazione di testi diversi, di epoche diverse: lo si vede anche perché l’alleanza tra Dio e popolo viene sancita in tre modi diversi.

 Il nucleo più antico è ai versetti 3-8 ,inserito in un testo di tradizione sacerdotale che inizia ai primi versetti 1-2 e continua il versetto 9.

Nel testo più antico per sancire l’alleanza si fa un sacrificio.

L’alleanza è siglata dall’aspersione del popolo con il sangue. “Analogamente all’importanza della comunione del sangue( famiglia, clan e tribù) per la pace e la sicurezza, quella rituale tra l’altare( Dio) e il popolo crea una comunione Vitale di salvezza.”(Schmidt pag 63)

 Invece, nel racconto che inizia al versetto 1, Mosè , Aronne e  i 70 anziani, salgono sul monte come rappresentanti del popolo, hanno la visione di Dio senza danno e sanciscono l’alleanza con un pasto alla presenza di Dio. A partire dal versetto 12 c’è un terzo racconto: Mosè lascia gli anziani e sale accompagnato solo dal suo aiutante Giosuè. L’alleanza sarà sancita dalla consegna da parte di Dio a Mosè delle tavole di pietra, su cui ha scritto gli insegnamenti e la legge per istruire gli israeliti.

Come dice Mazzinghi che nella redazione finale del Pentateuco si tiene conto anche della “ legge del maiale”, cioè non si butta via niente. Il capitolo termina con una teofania :”La nube coprì la cima del monte e il Signore si manifestò sul Sinai in tutta la sua gloria. Essa appariva agli occhi di tutto il popolo come un fuoco divorante.”

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