LEGGE E ALLEANZA
(Es 19,1-24,18)
Testi liberamente tratti da:
Fretheim T.E., Esodo, Torino, Claudiana, 2004;
Letture bibliche. Introduzione al libro dell’Esodo, a cura della comuni, Viottoli, foglio di comunità Anno XXI n°2/2018.
1.Introduzione
2.Su ali d’aquila
3.Teofania
4.I dieci comandamenti
5.Il codice dell’alleanza
6.Alleanza e vocazione
Introduzione
Una delle principali caratteristiche della legge veterotestamentaria è di essere inserita in una narrazione ( cioè nel racconto della storia di un popolo).
Mentre la legge e la narrazione avevano avuto senza dubbio vita separata per anni, ora la prima è stata inserita nella seconda. La legge non ha vita indipendente dalla narrazione, non è neanche presentata in un capitolo singolo all’interno del racconto, ma è intrecciata con esso in tutto il suo corso.
Dalla ricerca biblica storica attuale si ricava che questa integrazione di legge e narrazione è un fenomeno unico nel Medio Oriente antico. Le leggi lì sono raccolte in codici civili o penali, come lo sono anche le leggi greche e romane.
Qual è il significato di questa collocazione letteraria sia per la legge sia per la narrazione?
I seguenti 10 fattori devono essere tenuti in considerazione:
1)Dio è il soggetto, e nella legge e nella narrazione. Dio è il dottore della legge ed è il protagonista della narrazione. Dio viene presentato come colui che parla e opera sia nella legge sia nella narrazione. La legge dà corpo alla parola di Dio, in quanto discorso, la narrazione riempie la parola di Dio in quanto evento- La narrazione permette una più piena rappresentazione di quel Dio che sta dietro la legge, mentre la legge sviluppa le immagini di Dio emergenti dalla narrazione.
2) La legge viene riconosciuta più chiaramente come dono della bontà di Dio quando viene collegata strettamente alla narrazione. La legge diventa un’altra parte della più ampia storia della bontà e della misericordia di Dio. Dalla narrazione risulta chiaro come la legge abbia il suo fondamento in una volontà divina personale e benevola. La narrazione rafforza l’intenzione divina presente nella legge: “Mai lasciare il popolo senza un’indicazione di quel che significa essere una comunità di fede, senza una direzione nella quale un credente possa camminare, senza una qualche istruzione riguardo alla vita di fede.”
La narrazione chiarisce il progetto di Dio e cioè che la legge è data affinché venisse a noi sempre del bene e ci conservasse in vita.
La volontà divina espressa nella legge intende estendersi a tutti quegli aspetti della vita che hanno già esperito la volontà salvifica descritta nella narrazione.
La narrazione aiuta a far vedere che la legge è fondamentalmente un dono, non un peso.
3) La narrazione permette di conservare la dimensione personale della legge. L’esperienza ha dimostrato quanto sia facile per la legge diventare un argomento impersonale che si manifesta in particolare con uno sfibrante legalismo. Può diventare, come già avvenuto, una legge fine a né stessa, senza alcun collegamento con un qualche specifico legislatore, dissociata dalla volontà dinamica di colui che sta dietro le sue formulazioni.
Nella narrativa ci si confronta con colui che dà la legge, una persona vivente che interagisce personalmente con il popolo, in ogni momento del suo viaggio. La narrazione rivela un rapporto vivente e pulsante tra Dio e il popolo. E’ lo stesso Dio che dona la legge e la dona come parte di un rapporto interpersonale già esistente. Così la legge deve essere compresa in termini personali e inter-relazionali.
4) Questa è integrazione mantiene strettamente collegate l’una all’altra l’azione divina e la risposta umana. La legge è simile alla liturgia (rito, canto, danza) nell’ essere così incastonata nella narrazione. Per questo è compresa come una forma diversa con cui il popolo risponde a quanto Dio ha operato in suo favore.
Nello stesso tempo la narrazione mantiene l’azione di Dio in primo piano specialmente negli avvenimenti dell’esodo. Lo si vede, per esempio, nell’incipit della legge (20,2) “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto”,
L’obbedienza alla legge allora non è vista come una risposta alla legge in quanto legge. L’obbedienza è fondamentalmente una risposta a Dio, a tutto ciò che Dio ha operato.
L’obbedienza è un modo di rendere giustizia a questo rapporto nel quale Israele già si trova a vivere.
5)Questa integrazione dimostra come la teologia della creazione costituisca un tema prevalente nel libro dell’esodo. La legge dà corpo a questa sottolineatura integrando così l’ordine cosmico e l’ordine sociale. L’opera di Dio come creatore viene spesso correlata troppo strettamente all’inizio di tutte le cose. Oppure un tale linguaggio viene impiegato per accrescere la continua opera divina di benedizione che si manifesta, per esempio, nella fertilità umana e nella crescita delle greggi e dei campi. Non altrettanto spesso l’azione del Creatore viene messa in relazione con argomenti riguardanti la società, ma si deve sottolineare che gran parte della legge tratta aspetti della sfera sociale alla luce del rapporto di simbiosi fra gli ordini cosmico e sociale. La legge è un mezzo mediante il quale l’ordine portato da Dio nel caos a livello cosmico, viene riprodotto nella sfera sociale, per cui la volontà di Dio viene fatta in terra, come è fatta nel cielo.
Gli egiziani hanno rappresentato un caso esemplare del sovvertimento della giustizia, dell’ordine mondiale di Dio, creando ingiustizia oppressione e caos sociale. La legge viene data al popolo di Dio come un veicolo con il quale, e mediante il quale, l’Egitto non si ripeta più.
6) La legge è un’esegesi dell’azione divina nella narrazione. Come Dio ha manifestato amore per il popolo ancora schiavo, così Israele deve comportarsi nei confronti di popoli in situazioni simili. Siate misericordiosi come misericordioso è il vostro Dio. La forma che la legge assume deve essere sempre misurata con il modello fondante dell’azione di Dio presente nella narrazione.
7) La motivazione data per l’obbedienza alla legge è contenuta nella narrazione. Voi eravate schiavi nel paese d’Egitto quindi dovete modellare la vostra vita nei confronti dei più svantaggiati nei modi che manifestino nello stesso tempo passione e giustizia. La motivazione di fondo per obbedire alla legge è tratta dall’esperienza storica, non da un’argomentazione etica astratta. La legge non deve essere intesa come qualcosa a cui obbedire solo perché lo pretende Dio, la legge non è un’imposizione da parte di Dio, avulsa dalla specifica storia di Israele o dalla comune esperienza riguardo la vita; la legge deve essere obbedita perché essa può essere considerata al servizio della vita e del benessere, deve essere obbedita perché contribuisce alla saggezza e alla comprensione e dunque può essere riconosciuta come tale anche da coloro che non appartengono alla comunità di fede. Questo ci porta al prossimo punto.
8) Per la legge essere parte della storia significa che essa non è estranea o isolata dalla vita. Essa è parte integrante della vita in almeno due modi:
-
A) in quanto emerge dall’interno della matrice/essenza della stessa
Questo ha due punti significativi: da una parte c’è che la legge non è semplicemente argomento di rivelazioni speciali; le narrazioni del deserto hanno parlato di leggi che emergono dalla saggezza dell’esperienza umana comune.
Dall’altra le leggi non sono date semplicemente come un corpus giuridico come quelle del Sinai. Nel deserto Dio dà ad Israele particolari ordini collegati alle situazioni della narrazione specifica. L’obbedienza era già una parte del rapporto di Israele prima del Sinai e questo rende testimonianza del fatto che esiste una volontà di Dio legata a situazioni specifiche, del tutto separata dalla rivelazione del Sinai. Il popolo di Dio dovrà così essere attento alla volontà di Dio anche per le situazioni della vita non contemplate in un corpo giuridico.
-
B) in quanto è intrecciata all’interno stesso della struttura della vita.
Anche questo ha due punti significativi:
Da una parte il fatto che la legge sia così particolarmente collocata in un contesto pieno di promesse e di azioni divine di liberazione, significa che ad essa viene impedito di essere compresa solo in termini legalistici. Con ciò si rende chiaro che la legge non è un mezzo mediante il quale uno viene reso membro di una comunità di fede.
La legge è data a coloro che sono già liberati.
Dall’altra il fatto che gli ordini siano collocati in diversi momenti di una storia che continua, significa che la legge non deve essere vista come eternamente data, in una particolare forma, non è immutabile tanto da non dover cambiare mai nella sua forma o nel suo contenuto. Le leggi sono strettamente legate al tempo.
La legge interseca sempre la vita come essa è, piena di situazioni contingenti e di cambiamenti, con le sue complessità e le sue ambiguità.
Si muove con il tempo tenendo presenti l’esperienza e le intuizioni umane mentre rimane costante nel suo scopo: la miglior vita possibile per il maggior numero di persone possibile.
Questa vita del popolo in continuo cambiamento implica la necessità di leggi sempre nuove.
In altre parole questa combinazione mantiene un’importante tensione tra la tendenza verso l’assolutezza e la certezza della legge da una parte e la contingenza e l’incertezza dell’esistenza storica dall’altra.
La legge in sé e di per né tende a promuovere il mito della certezza così che si conosca esattamente quale sia la volontà di Dio in ogni ambito della vita, mentre l’esistenza storica specialmente quando viene vista nella prospettiva delle narrazioni del Deserto, è piena di aspetti contingenti in cui niente nella barca della vita sembra essere fissato in via definitiva.
La legge fornisce una bussola per orientarsi nel deserto ma gli aspetti contingenti della vita del deserto impediscono alla legge di assolutizzarsi una volta per tutte nella forma e nel contenuto
9) L’integrazione di legge e narrazione significa che l’obbedienza alla legge diventa un’altra forma di testimonianza a Dio e a quello che gli ha fatto. Mediante l’obbedienza alla legge il popolo, confermando la propria vita a quella delle vie di Dio, dimostra così dinanzi agli altri la natura del suo Dio. Da qui rinarrare la storia e obbedire alla legge costituiscono due diverse, ma correlate, forme di testimonianza a Dio e alla sua opera.
10) La tradizione ha dato il nome di Torah, sia al genere legale, sia quello narrativo. La forza di tale aspetto consiste nel fatto che il Pentateuco è istruzione sia nelle sue leggi, sia nei suoi racconti.
Da una parte i racconti servono per istruire, provvedere consigli, esigere un certo tipo di condotta. Non si può ascoltare un racconto senza riconoscere che esso fornisce norme che modellano la propria vita,
dall’altra alle leggi viene impressa una certa forza narrativa nell’essere un riflesso dell’opera propria di Dio esse rinarrano il racconto di una forma diversa.
2 Su ali d’aquila
Esodo 19,1-8
Il resto degli avvenimenti del libro dell’Esodo (più Levitico e Numeri) avvengono sul monte Sinai.
Il popolo di Dio rimase 11 mesi ai piedi di questo monte Si tratta di un periodo carico di non piccole conseguenze per il futuro di Israele.
Esodo 19 infatti è un capitolo molto complesso, quasi certamente di natura composita, al quale tutte le maggiori fonti del Pentateuco hanno dato il loro contributo. Nello stesso tempo la redazione finale presenta una prospettiva ragionevolmente coerente.
I versetti 4-6 hanno un valore centrale in quanto vi sono contenuti 3 elementi importanti:
1) Israele è per Dio il tesoro particolare fra tutti i popoli
2) esso è un regno (popolo) di sacerdoti
3) è una nazione santa
I significati delle tre espressioni sono correlati, ma distinti. Una delle chiavi per la loro più corretta comprensione è l’espressione: “Tutta la terra è mia!”
Dunque il significato più pieno delle tre definizioni di Israele può essere colto con questa traduzione: “Dal momento che tutta la terra è mia, e così anche voi, voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Questa traduzione suggerisce il riferimento a una missione che comprende il disegno di Dio per il mondo intero. A Israele viene affidata la missione di essere popolo di Dio a vantaggio del mondo intero, che appartiene a Dio.
Israele è chiamato dunque ad essere:
1) il tesoro particolare di Dio, un gruppo speciale di persone fra tutte le nazioni che sono proprietà di Dio e perciò un popolo che Dio può chiamare a essere il portatore di questo disegno.
2)un regno di sacerdoti vale a dire una nazione che serve, anziché una nazione che comanda. Come nazione dovrà dedicarsi a una funzione mediatrice fra Dio e gli altri regni, dovrà muoversi tra le nazioni come un sacerdote fa in una comunità religiosa, inoltre tutto il popolo di Dio, e non soltanto il clero deve essere impegnato a estendere per tutto il mondo la conoscenza di YHWH. Qui c’è un duro colpo a ogni forma di clericalismo che vorrebbe reclamare uno status particolare nell’economia divina.
3) una nazione Santa vale a dire un popolo separato (santo=separato) non soltanto da altri popoli/ nazioni, ma per uno scopo particolare. Israele deve incarnare il disegno di Dio nel mondo. Il parlare di nazione, anziché di congregazione/ comunità, indica che il discorso di Dio fa riferimento a tutti gli aspetti della vita di Israele relativi al compimento di questo disegno, non semplicemente a quelli di tipo religioso.
Chiarito questo:
A)E’ importante interpretare queste parole all’interno del più ampio contesto dei capitoli 1 -18 . Si è detto che l’elezione di Israele come popolo di Dio sia avvenuta al Sinai.
Ci sono però una serie di testi che rendono questa interpretazione inaccettabile. Israele è stato identificato da Dio come “mio figlio il primogenito” oppure “mio popolo” durante tutto il corso della narrazione e questo uso si ritrova in tutte le varie fonti. Questo fatto suggerisce una particolare sottolineatura dello status di Israele quale popolo di Dio già nel corso del soggiorno in Egitto. Non c’è elezione di Israele nel libro dell’Esodo; l’elezione è presupposta. L’’alleanza al Sinai non fonda dunque il rapporto fra Israele e Dio.
B)Infatti il ricorrente riferimento al Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe e le promesse di Dio nei loro confronti, presuppongono che questo popolo sia già il popolo di Dio, l’erede delle promesse fatte ai loro antenati. Dio ricorda l’alleanza con i padri che è stata stipulata non soltanto con Abramo ma anche con “la tua discendenza dopo di te”…
Dio ha fatto una promessa assunto un obbligo nei confronti non solo di Abramo ma anche di Israele in Egitto. Questo conferma che per l’Esodo l’alleanza del Sinai è una particolare alleanza sì, ma all’interno del contesto dell’alleanza con Abramo. Essa ha un carattere fondamentalmente di promessa
Torniamo ai versetti 4-6.
– Dio ricapitola brevemente quel che è stato fatto a favore di Israele liberandolo dall’Egitto e portandolo su ali d’aquila al Sinai, dove egli ha la propria particolare dimora. Dio ha trovato Israele “in una terra deserta, in una solitudine piena di urli e di desolazione/. Egli lo circondò/ se ne prese cura/ lo custodì come la pupilla dei suoi occhi/ come un’aquila che desta la sua nidiata/ svolazza sopra i suoi piccini/ spiega le sue ali/ li prende e li porta sulle penne” Deut 32,10-12.
Questa è una splendida immagine di Dio visto come una madre che si prende cura dei suoi piccoli nel tempo in cui sono particolarmente vulnerabili. Essi possono trovare rifugio dai pericoli della vita all’ombra delle sue ali. Inoltre si tratta di una descrizione di una crescita e di una maturazione, di un tempo di prova.
Questa è un’immagine di Dio che è comune nei salmi. Dio è colui le cui ali sono sempre disponibili come rifugio in tempo di attacchi, come riparo dagli elementi distruttivi dell’ambiente e come amorevole cura in ogni occasione. Questo Dio è stato pienamente coinvolto nella vita di Israele dall’uscita dall’Egitto attraverso il deserto e fino a questo punto della sua vita.,
– Dopo aver richiamato tutto quel che Dio ha fatto a beneficio di Israele viene espresso un” dunque”: “Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandamenti!” Quando i figli chiedono ai loro genitori perché devono osservare i comandamenti, il motivo viene espresso ricordando quel che Dio che ha operato per loro. L’osservanza dei comandamenti è quindi una preoccupazione che deriva da un rapporto precedentemente stabilito da Dio.
Il versetto 8” Se ubbidite alla mia voce e osservate il mio patto”
-
A) In primo luogo si deve notare che l’argomento viene presentato in termini personalistici. Ho fatto, li ho portati, tornate a me, darete ascolto alla mia voce, osserverete il mio patto, sarete il mio tesoro particolare, sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Quel che viene richiesto Israele è proposto in un linguaggio che parla più di impegno personale verso Dio stesso, che verso particolari comandamenti…
-
B) In un secondo luogo obbedire alla voce di Dio è un impegno già espresso in Esodo 15,26. Abbiamo visto come l’esigenza dell’obbedienza non sia semplicemente connessa alla legge rivelata al Sinai ma come emerga anche in rapporto a varie situazioni nella vita di Israele.
-
C) In terzo luogo quanto suddetto può valere anche per “e osservate il mio patto”. Non è un dire sconosciuto, è parte integrante del patto stipulato con Abramo. In quest’ ultimo contesto il riferimento è alla circoncisione. Però si capisce con chiarezza come l’’obbedienza in ultima istanza vada estesa anche a tutti quei comandamenti divini che di volta in volta saranno dati. Abramo aveva accettato e compreso il patto. Per la prima volta, quale comunità, Israele risponde a Dio come fece Abramo. Osservare il patto è obbedire alla voce di Dio.
-
D) Il verso 8 deve essere messo in relazione con quel che Dio ha detto nei versi 4-6 senza alcun riferimento ai comandamenti del Sinai. Se obbedire alla voce di Dio e mantenere l’alleanza è un aspetto più ampio, più profondo dell’obbedienza ai comandamenti del Sinai, allora il versetto 8 è un impegno all’ obbedienza nei confronti di qualunque parola che Dio comanderà nel corso della storia di Israele e non solo.
3 Teofania
Esodo 19,9-20,21
Approfondiamo solo un aspetto della manifestazione di Dio.
Il problema centrale di questo passo infatti è quello di vedere Dio.
“Guardare” è lo stesso verbo ricorrente nella formula “voi non potete guardare Dio e vivere”. Questo non significa che Dio non possa essere visto. Piuttosto che lo possa, ma che chi lo fa non può continuare a vivere. Né la pena è così severa? Il problema non è una preoccupazione per Dio, come se la trascendenza o sovranità divine fossero compromesse o violate. Il problema è “il bene del popolo”, cioè il preservarlo in vita.
Il non vedere Dio fa riferimento a una idea fondante della creazione che ha come scopo il preservare la libertà e la vita umane. Questo perché una presenza piena di Dio sarebbe considerata coercitiva: una presenza divina troppo diretta annullerebbe l’esistenza umana, come una fiamma uccide una farfalla. Dio deve tenere distante da né il popolo, non deve distruggerlo con la sua potenza. La visione di Dio deve essere di natura tale per cui l’incredulità rimanga una possibilità. Dio non annichilisce, non s’impone, non costringe. Quello che chiede è un’adesione volontaria dell’uomo con tutti i limiti che questo comporta. I capi come Mosè costituiscono una parziale eccezione a tutto questo perché hanno una funzione mediatrice che permette di comunicare la parola di Dio al popolo.
4 I dieci comandamenti
Esodo 20,1-17
L’Antico Testamento presenta più decaloghi o formulazioni simili al decalogo. Ad esempio essi compaiono in Deuteronomio e Levitico.
Temi fondamentali:
1- Le differenze che si riscontrano col Deuteronomio, dimostrano che i comandamenti non erano tramandati in una formulazione da mantenere inalterata nel tempo. E’ probabile che essi fossero tutti molto brevi e al negativo. Nel corso del tempo sono stati ampliati o adattati alla luce di particolari bisogni della comunità.
2- La forma esortativa delle espansioni, suggerisce che il culto di Israele costituiva il contesto vitale primario per i comandamenti. La loro raccolta in questa forma semplice, diretta, facile da memorizzare, tuttavia, stimolava la loro applicazione al di fuori del Santuario e li manteneva vivi nella comunità. La loro citazione da parte dei Profeti testimonia della loro generale familiarità e importanza.
3- l’indirizzo è alle singole persone, ma il contenuto non è circoscritto al benessere privato. Il punto focale infatti sta nel proteggere lo stato di benessere della comunità. E solo in questa prospettiva il singolo individuo riveste un ruolo rilevante.
4- Risulta importante il fatto che 8 comandamenti siano formulati al negativo: schiudono la vita anziché soffocarla. Vale a dire mettono a fuoco la dimensione interrelazionale e non già i singoli comportamenti.
-Nello stesso tempo le formulazioni al negativo indicano che la preoccupazione primaria non è quella di creare una comunità umana, bensì di proteggerla da comportamenti distruttivi.
-Comunque essi contengono implicitamente il loro rispettivo risvolto positivo
5-I due comandamenti al positivo lasciano intravedere come la formulazione positiva sia appropriata per tutte le 10 parole. Per esempio il non dire falsa testimonianza invita a parlare bene del prossimo, il non uccidere invita a sforzarsi per preservare la vita, il non usare il nome di Dio invano raccomanda la lode a Dio
Per una comunità di fede in condizioni spirituali buone, infatti, non è sufficiente semplicemente evitare i crimini
6- I limiti oggettivi che essi impongono includono più aspetti: comprendono infatti i rapporti con Dio, con il prossimo e con la natura. Tuttavia quest’ultima in particolare è meno presente di quanto oggi noi vorremmo che fosse
Anche i mutamenti nelle tendenze e negli orizzonti della vita sociale (ruolo della donna, trasformazione della società, affermazione di diritti, sviluppo della scienza) hanno ridotto la loro capacità di includere oggi molti fatti.
Quindi è della massima importanza che questi comandamenti non siano compresi come limitati definitivamente nel loro obiettivo o come principi etici non negoziabili.
7-Il canone dei dieci comandamenti è dunque un canone aperto: la nostra riflessione deve prenderne atto, le 10 parole che abbiamo, sono solo un indispensabile punto d’inizio per un obiettivo etico sempre nuovo.
8-C’è anche da notare che i comandamenti sono in forma apodittica (relativamente conosciuta nel mondo antico), dichiarazioni semplici e si riferiscono ad aspetti centrali della vita di una comunità… Non viene specificata alcuna conseguenza giuridica per la loro violazione… La loro obbligatorietà non è condizionata dal loro essere rafforzabili, l’appello all’obbedienza ha una motivazione più profonda. Questi sono i comandamenti del “Signore, il tuo Dio”. L’appello al singolo “tu “e non alla comunità di Israele, rafforza l’importanza della motivazione interna, piuttosto che quella della pressione sociale o della coercizione esterna.
9- Essi servono per mantenere l’ordine nel mondo, restringendo il campo d’azione delle forze del disordine, così che la creazione non si trasformi in caos. L’obbedienza a questi comandamenti da parte di tutti, significherebbe che il disegno di Dio si è realizzato.
Il legame con la creazione, che è anche Torah, dimostra che i comandamenti non sono un’imposizione eteronoma di un gruppo di norme: osservarle significa infatti raggiungere lo scopo per il quale si è stati creati.
10- Da una prospettiva neotestamentaria i cristiani non sono esentati da tali esigenze.
Infatti Matteo dichiara che i comandamenti non devono essere alleggeriti in nessun caso, ma spinti al livello più profondo dello spirito umano. Il comandamento dell’amore non pone i comandamenti da parte, ma li incorpora e li estende nella loro portata illimitata…
La polemica neotestamentaria contro la legge quale mezzo di salvezza non è diretta contro l’antico Testamento ma contro interpretazioni erronee della legge del corso del primo secolo e che continuano a presentarsi anche oggi
Io sono il signore Dio tuo
Esodo 20.1-2
Diversamente dalle altre leggi il decalogo era una parola diretta di Dio, a Israele.
Questo dimostra l’alta considerazione in cui è stato tenuto dalla comunità. Non c’era nessuno che mettesse in dubbio che fosse stato dato da Dio.
Questa introduzione è di straordinaria importanza (riconosciuta anche dal giudaismo che ne ha fatta la prima parola).
-Da una parte essa mantiene la legge orientata in termini personali; l’obbedienza è un argomento di rapporto con YHWH, non con un Dio in generale e non il rispetto della legge in quanto legge. Io sono il Signore, il tuo Dio. Questa è in verità una promessa che YHWH sarà il loro Dio. L’obbedienza è concepita relazionalmente.
– Dall’altra parte questo Dio identifica se stesso in rapporto a una storia particolare.
– Quelli cui viene data la legge infatti, costituiscono già il popolo di Dio, quindi la legge non viene intesa come un mezzo di salvezza, ma come un’istruzione riguardante la forma che una tale vita redenta deve assumere negli affari quotidiani di ciascuno.
Non avere altri dèi davanti a me
Esodo 20,3
Quale sia la forma nella quale si traduce l’espressione qui resa con” davanti a me”, essa esprime l’esigenza di essere assolutamente fedeli nei confronti di YHWH, rifiutando tutti gli altri dei.
La formulazione di Deuteronomio 6,5 è una variante positiva di questo comandamento: “Tu amerai dunque il Signore tuo Dio, con tutto il cuore”. Per usare un’ espressione più esplicita ,questo significa temere, amare e fidarsi di Dio sopra ogni cosa. Questo comandamento è allora alla base di tutti gli altri, che da questo colgono cosa significhi la fedeltà verso Dio nei vari aspetti del rapporto.
In questo senso il primo comandamento è il più importante di tutti.
Talvolta si è ipotizzato che questo comandamento con il suo riferimento agli “altri dei” dimostrasse una forma di monolatria, parola che denota una fede o un culto in un solo Dio, senza negare l’esistenza di altri dei. Se questo comandamento lasci intravedere un monoteismo teoretico- c’è un solo Dio- è un importante questione storica, ma oltrepassa in larga misura il senso del comandamento.
La sua forza risiede in modo decisivo nel fatto storico che molti israeliti si dedicavano al culto degli altri dei.Da qui la necessità di questa affermazione che chiarisce un rapporto preferenziale (Dio ha scelto il suo popolo,il popolo il suo Dio) più che un’ affermazione teologica.(c’è un solo Dio).
Non farti scultura, né immagine alcuna
Esodo 20, 4-6
La proibizione delle immagini pone Israele al di fuori delle prassi religiose comuni delle culture vicine, ma il suo significato esatto non è affatto chiaro.
Per quali ragioni furono proibite le immagini?
a-Forse le innumerevoli presenze di immagini nelle religioni vicine, in particolare fra i cananei, conferì, nella tradizione, importanza a questo comandamento. Il potere ammaliante di quelle religioni era considerevole e le immagini erano parte integrante del culto idolatrico.
b- Ma perché vennero proibite le immagini di YHWH? Perché a tale proposito si può parlare di idolatria? La risposta più convenzionale è : ciò comprometterebbe la trascendenza di Dio.
“YHWH infatti è al di sopra e al di là di una qualunque cosa presente (dunque anche delle statue) in tutta la creazione.”
-Ma sembra più probabile che tale proibizione nasca da una preoccupazione di proteggere la vicinanza di Dio che non la sua trascendenza. Diversamente dalle immagini plastiche che sono statiche, immobili ,sorde, mute, che non hanno sentimenti e non pensano e assicurano la presenza del dio in un punto temporale, il Dio di Israele può parlare, provare sentimenti e agire sia nella natura sia nella storia.
Adorare immagini significa negare alcuni elementi fondamentali della vera natura di Dio e nello stesso tempo della sua relazione al mondo.
d- Perciò Israele si rivolge alle immagini verbali, in quanto esse hanno la capacità di veicolare la vicinanza di Dio al contrario delle immagini plastiche. Ciò concorda con l’annuncio del Nuovo Testamento che Gesù Cristo è “l’immagine del Dio invisibile”; colui che ha rivelato Dio nel modo più pieno era addirittura una persona umana vivente, attiva.
Non pronunciare il nome del Signore Dio tuo, invano.
Esodo 20,7
Questa proibizione riguarda fondamentalmente la nomea di Dio,vale a dire si preoccupa di proteggere il nome di Dio dall’ uso strumentale dello stesso e del suo disegno per il mondo. Esso presuppone lo stretto rapporto fra nome e reputazione. Il buon nome di Dio è tanto importante per lui quanto il nome di una qualunque persona che lo porta. Il nome è una cosa preziosa: il modo in cui le persone parlano degli altri- come le chiacchiere o altri discorsi vani e pericolosi- incideranno sulla loro reputazione nella società.
L’aspetto centrale in gioco per Dio dunque è la proclamazione di questo nome al mondo, è l’effetto che l’ascolto di questo nome avrà sul popolo: verrà attratto dal nome, respinto o rimarrà indifferente? Se questo nome è stato sporcato in qualche misura dal modo in cui è stato utilizzato dal popolo di Dio, o dalle pratiche alle quali è stato associato, allora le intenzioni divine potrebbero essere vanificate; oppure se nella proclamazione stessa del nome esso sia stato utilizzato in modo erroneo o falso( per esempio nella falsa profezia) Dio non sarà magnanimo nel proprio agire.
Le discussioni su questo comandamento troppo spesso ne hanno limitato il campo di applicazione. In particolare l’uso del nome è stato ricondotto all’ambito della magia o della divinazione oppure del falso giuramento o della profanazione. In realtà qui è in gioco molto di più: il nome di Dio viene troppo spesso associato ad asserzioni vuote, a una religione a buon mercato, oppure ancora a un’ideologia sociale o politica dell’ultima ora (es. fascismi). In questi casi esso viene trascinato in basso, allo stesso livello del contesto in cui viene utilizzato, viene messo fondamentalmente in relazione a una qualche ragione che si vuole evitare o rifiutare. Di conseguenza non si sarà incoraggiati a rivolgersi a questo Dio e quel nome non riceverà l’onore e il rispetto dovuti.
Il nome di Dio deve ricorrere solo nella preghiera. Come avviene nei salmi. “Celebrerò il nome di Dio con un canto, lo esalterò con le mie lodi” (69,30); “Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli. Ti loderò in mezzo all’assemblea.”(22,22”).
Ricordati del giorno del riposo per santificarlo
Esodo 20,8-11
Santificare il sabato significa tenerlo separato dagli altri 6 giorni come “un santuario del tempo”. Le persone non devono vivere come se tutto il tempo fosse loro proprietà.Il Dio di tutto il tempo, si riserva il diritto di determinare come un giorno debba o non debba essere impiegato. Questa divisione settimanale deve essere pubblicamente praticata con un tempo di riposo per tutti coloro che sono impegnati nel lavoro, inclusi i servi e gli animali. “Ricordati” è più che un atto mentale, è un’ osservanza attiva. Non c’è alcun riferimento in questo comandamento a un obbligo di culto, ma il fatto che si tratti di un “sabato per il Signore”, lascia intendere che fra gli atti di questo giorno vi sia anche la preghiera.
E’ probabile che il sabato fosse un’antica istituzione. Le connessioni con l’Antico Medio Oriente tuttavia sono incerte. Ma la sua comprensione e il suo utilizzo si sono sviluppati considerevolmente nel corso degli anni. Tali sviluppi divennero più ampi nel periodo post biblico, fino all’era moderna, con il sabato che diventò oggetto di legislazione molto dettagliata (le regole ebraiche) .Di fronte a tutto questo ogni discussione sul sabato deve tenere decisamente conto del fatto che ,questo giorno, è un dono di Dio al mondo, non un aggravio .Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
La motivazione addotta è il riposo di Dio nel settimo giorno della creazione e per questo considerato santo. Osservare il sabato è dunque un aspetto interno alla sfera della creazione, anziché della redenzione, o una legge specificamente israelitica. Non si tratta di un’obbedienza che riguardi soltanto Israele; anche animali e stranieri la devono osservare.
Il riposo di Dio è un’azione divina che pone proprio nell’ordine delle cose create un ritmo lavoro/ riposo. Soltanto quando questo ritmo viene osservato, la creazione corrisponde alle intenzioni di Dio.
E’ sufficiente prendere parte per un momento a questa corsa continua che il mondo moderno ha inaugurato, per comprendere come la mancata osservanza del sabato contribuisca a una situazione sempre più caotica. Le preoccupazioni umanitarie legate al sabato meritano una particolare attenzione. Il sabato è un’istituzione fondamentalmente egualitaria. Il riposo del sabato è per tutti: ricchi, poveri, padroni, servi, esseri umani e animali. Ciò rimanda a un tempo in cui tutte le creature erano in pace l’una con l’altra. Ciò dunque induce a una riflessione la comunità : bisogna rispettare il sabato per ricostruire quell’ordine fondato sulla fratellanza e sulla custodia della natura che Dio aveva previsto dai tempi della creazione.
I restanti comandamenti hanno a che fare con i rapporti tra le persone.
Onora tuo padre e tua madre
Esodo 20,12
Alcuni spunti di riflessione…
Nessun rapporto interpersonale è così fondamentale quanto quello tra figli e genitori.
-Si tratta di un ordine di fondo della creazione. In nessun momento della vita infatti, le persone cessano di essere figli/e dei loro genitori.
-In un punto il comandamento ha un tono contemporaneo: pone sullo stesso piano padri e madri, ché devono essere parimenti onorati. Ci sorprende, dato l’evidente carattere patriarcale della società israelita. Se il comandamento riflette le esigenze e l’ autorità divine, esercitate tramite i genitori, la donna accettata come rappresentante di Dio è un fatto veramente rilevante.
Questo peraltro è in parallelo con l’uso della figura e materna e paterna come metafore di Dio (Is 64,8).
– La formulazione al positivo, insieme all’uso dell’onnicomprensivo verbo “onorare”, significa che non viene richiesto un comportamento specifico, si tratta piuttosto di un comandamento non circoscritto temporalmente, che invita i figli a rispettare i genitori.
– E’ stato dimostrato che il comandamento è rivolto più verso di adulti che verso i figli/bambini . Forse si hanno in mente, in particolare, quei casi in cui genitori anziani sono maltrattati quando le loro capacità lavorative e o mentali siano profondamente regredite. Ma questa lettura dimostra anche come “l’obbedienza” non costituisca il centro di quel che significa onorare. Questa comprensione del comandamento è diventata estremamente complessa in un tempo di crescente longevità, quando le pensioni sociali minime, le case per anziani, le cure mediche per gli anziani hanno assunto un grande peso nella vita. Le autorità governative a vari livelli sono state spesso investite della responsabilità implicita in questo comandamento; gli anziani ancor giovani in particolare, devono esaminare con molta attenzione in quale misura essi o l’autorità governativa al loro posto, sta trattando le caratteristiche sopra indicate dell’”onore”. Si tratta di un espansione legittima perché tali autorità sono state incaricate di assumere un ruolo “genitoriale” in molte situazioni.
Non uccidere