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Sud America: un giro d’orizzonte sul panorama ecumenico

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La partecipazione del movimento neopentecostale al dialogo con le forze politiche. Prosegue il calo delle Chiese «storiche»

Colombiano residente in Costa Rica, il pastore battista Harold Segura è direttore per l’America latina dell’organizzazione umanitaria World Vision – Vision mundial e ha l’incarico di animare le relazioni con le Chiese di tutto il continente. Ha partecipato come osservatore alla Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Aparecida nel 2007.

– Come giudica il panorama ecumenico latinoamericano?

«Negli ultimi cinque anni si sono registrati mutamenti significativi. C’è prima di tutto una crisi delle istituzioni ecumeniche tradizionali, come il Consiglio latinoamericano delle Chiese (Clai), proprio nel momento in cui avremmo bisogno della loro voce per la confusa situazione sociale e politica del continente, che si innesta su ingiustizie e diseguaglianze più gravi di 30 anni fa. In secondo luogo si assiste alla nascita di un “ecumenismo di destra”, cioè la convergenza tra Chiese conservatrici che riesce a unire perfino vescovi cattolici e presidenti di alleanze evangeliche nella difesa della famiglia tradizionale o nell’opposizione alla legalizzazione dell’aborto e dei diritti delle persone sessualmente diverse. Infine cresce in misura sorprendente l’ecumenismo di base, soprattutto a partire da progetti sociali, lettura biblica comunitaria, celebrazioni liturgiche comuni, lotta contro le ingiustizie e la corruzione».

– Come giudica la presenza politica degli evangelici latinoamericani?

«La presenza pubblica del movimento neopentecostale, che costituisce la componente maggioritaria del mondo evangelico latinoamericano, ha sorpreso molti, perché gli analisti collegano queste Chiese, per quanto alla lontana, al pentecostalismo classico, che rifiutava la politica. Invece questi gruppi interloquiscono con i candidati, mobilitano i loro fedeli e canalizzano molti voti. È positivo, perché assumono i temi sociali come parte del loro impegno ecclesiale, ma è preoccupante l’ingenuità con cui si inseriscono nello spazio pubblico, scontando scarsa dimestichezza con l’analisi della società e la convinzione di risolvere argomenti complessi con quattro o cinque citazioni bibliche. Così si espongono alla strumentalizzazione da parte di partiti politici più sperimentati, che sono attratti dal bacino elettorale costituito dai loro fedeli. Le Chiese protestanti storiche hanno una riflessione più solida, ma sono numericamente una minoranza, che non pesa molto nelle elezioni».

– Come mai alcune Chiese protestanti storiche, come la Chiesa metodista brasiliana, hanno ridotto il loro impegno ecumenico al punto di ritirarsi dagli organismi interconfessionali?

«Negli ultimi anni il fattore politico, prima assente, ha favorito od ostacolato il dialogo ecumenico a seconda dell’appoggio o della contrarietà a un determinato governo. Questo, per esempio, in Bolivia, dove la Chiesa metodista appoggiava l’esecutivo di Evo Morales, con la nomina del vescovo emerito Eugenio Poma come ambasciatore in Danimarca, mentre quella cattolica, in particolare con il card. Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra dal 1991 al 2013, vi si opponeva. A ciò si aggiunge la volontà di alcune Chiese di affermare l’identità denominazionale, come avvenuto in Nicaragua con la Convenzione battista, che aveva partecipato al processo rivoluzionario negli anni ‘70 e ‘80, ma poi ha subito un processo di pentecostalizzazione che l’ha allontanata dall’ecumenismo».

– Qual è in questo momento lo scenario della teologia protestante latinoamericana?

«Mi pare foriero di speranza il lavoro della Fraternità teologica latinoamericana, che vive una crisi, ma non intensa come quella di altre istituzioni, a causa di un cambiamento generazionale. I fondatori, come i peruviani Samuel Escobar, Tito Paredes, Pedro Arana e Dario Lopez, o l’ecuadoregno René Padilla, sono ancora attivi, ma colgo una dialettica con la nuova generazione di teologi, come l’argentino Nicolas Panotto, la messicana Priscila Barredo o la boliviana Eva Morales, che affrontano temi come la diversità sessuale, la giustizia sociale, il dialogo l’antropologia o la sociologia, ignorati o trattati inquadrandoli nella lettura tradizionale evangelica a partire dalle Scritture da chi li ha preceduti. I giovani, senza dimenticare la Bibbia, interpretano la realtà alla maniera della teologia della liberazione, usando maggiormente un metodo interdisciplinare. D’altro canto quarant’anni fa nel mondo evangelico il dibattito era evangelizzazione versus opere sociali, mentre oggi si discute di aborto, teologia e partecipazione politica, diversità sessuale».

 

(Mauro Castagnaro, Riforma.it, 10 gennaio 2019)

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