venerdì, Aprile 26, 2024

Ripensaci Francesco!

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

«Sono felice di poter visitare, tra pochi giorni, il vostro Paese, terra che cerca di essere un modello di convivenza, di fratellanza umana e di incontro tra diverse civiltà e culture, dove molti trovano un posto sicuro per lavorare e vivere liberamente, nel rispetto delle diversità»

Papa Francesco, dal videomessaggio inviato al popolo degli Emirati Arabi Uniti a pochi giorni dal viaggio apostolico che si terrà dal 3 al 5 febbraio prossimi.

 

Vediamo allora cosa sono realmente questi Emirati, questo “faro di civiltà” ?

 

EMIRATI ARABI UNITI

Capo di stato: sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan

Capo di governo: sceicco Mohammed bin Rashed Al Maktoum

Le autorità hanno continuato a imporre arbitrariamente restrizioni alle libertà d’espressione e d’associazione, applicando leggi penali sulla diffamazione e l’antiterrorismo, allo scopo di detenere, perseguire, condannare e incarcerare persone critiche verso il governo e un noto difensore dei diritti umani. Decine di persone, compresi prigionieri di coscienza, che erano state condannate al termine di processi iniqui, sono rimaste in carcere. Le autorità hanno trattenuto i detenuti in condizioni equiparabili a tortura e non hanno provveduto a indagare le accuse di tortura emerse negli anni precedenti. Le donne sono rimaste discriminate nella legge e nella prassi. I lavoratori migranti sono rimasti esposti a sfruttamento e abusi. I tribunali hanno continuato a emettere condanne a morte; c’è stata un’esecuzione.

CONTESTO

Gli Emirati Arabi Uniti (United Arab Emirates – Uae) hanno continuato a far parte della coalizione internazionale a guida saudita impegnata nel conflitto armato nello Yemen (cfr. Yemen). Come l’Arabia Saudita, anche gli Uae hanno addestrato, finanziato e supportato truppe militari schierate nello Yemen, alcune delle quali erano sotto il loro diretto comando. Queste forze hanno messo in atto prassi detentive arbitrarie e illegali, come ad Aden, dove hanno perpetrato una campagna di detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate (cfr. Yemen). Gli Uae hanno interrotto i rapporti diplomatici con il Qatar, allineandosi con l’Arabia Saudita, il Bahrein e l’Egitto (cfr. Qatar).

A settembre, il Comitato Cerd delle Nazioni Unite ha esortato ancora una volta gli Uae a creare un ente nazionale sui diritti umani, in linea con i Princìpi di Parigi. Le autorità hanno respinto le richieste e le raccomandazioni degli organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani o non hanno intrapreso alcuna iniziativa in merito, anche riguardo a quelle avanzate congiuntamente dalle procedure speciali, dall’Alto commissario per i diritti umani e dal Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria.

A giugno, un tribunale belga ha giudicato colpevoli in contumacia otto donne della famiglia Al Nahyan, che governa Abu Dhabi, del reato di tratta di esseri umani e del trattamento degradante di almeno 23 lavoratrici domestiche.

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E ASSOCIAZIONE NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Le autorità hanno continuato a imporre arbitrariamente restrizioni alle libertà d’espressione e d’associazione, applicando il codice penale e le leggi antiterrorismo e relative ai reati informatici, che criminalizzavano l’espressione di opinioni critiche non violente verso le politiche o i funzionari dello stato. Almeno 13 persone sono state arrestate o processate sulla base di queste motivazioni. A Dubai, due uomini sono stati arrestati per “essersi vestiti con un abbigliamento femminile”, in violazione del loro diritto alla libertà d’espressione.

A marzo, il governo ha annunciato la creazione di una procura federale per i reati tecnologici e informatici, che aveva il mandato d’indagare e perseguire reati che includevano il pacifico esercizio della libertà d’espressione. Ad agosto, le autorità di Dubai hanno imposto una sospensione della durata di un mese alla testata giornalistica online Arabian Business, per aver pubblicato “informazioni false” riguardanti il fallimento di alcuni progetti edilizi.

A marzo, le autorità hanno arrestato il noto difensore dei diritti umani Ahmed Mansoor, che a fine anno non aveva ancora potuto accedere a un avvocato. Era trattenuto in isolamento e, ad eccezione di due visite dei familiari, in incommunicado, in violazione del divieto di tortura e altro maltrattamento.

Sempre a marzo, la corte d’appello federale della capitale, Abu Dhabi, ha confermato la condanna a 10 anni di carcere nei confronti del dottor Nasser Bin Ghaith, un prigioniero di coscienza. Era stato arbitrariamente detenuto nel 2015 e aveva dichiarato durante il suo processo di essere stato torturato. Ad aprile ha iniziato uno sciopero della fame, per protestare contro il fatto che non gli era stato permesso di leggere il verdetto della corte d’appello né di incontrare il suo avvocato.

A giugno, il procuratore generale degli Uae ha annunciato che chiunque avesse espresso simpatie verso il Qatar avrebbe rischiato fino a 15 anni di carcere e il pagamento di sanzioni amministrative. A luglio, Ghanim Abdallah Matar è stato arrestato per aver postato online un video in cui esprimeva simpatie verso il popolo del Qatar.

La Corte suprema federale ha confermato la condanna a tre anni di carcere, l’ammenda di 500.000 diram degli Uae (136.135 dollari Usa) e il provvedimento d’espulsione nei confronti del giornalista giordano e prigioniero di coscienza Tayseer al-Najjar, detenuto da dicembre 2015 per alcuni post pubblicati su Facebook, giudicati “lesivi della reputazione e del prestigio dello stato degli Emirati”.

Il difensore dei diritti umani e prigioniero di coscienza dottor Mohammad al-Roken è rimasto in carcere, a scontare una condanna a 10 anni di reclusione, che gli era stata comminata in seguito a un procedimento iniquo di massa nel 2013, noto come il processo ai “94 degli Uae”. A maggio è stato insignito del premio internazionale per i diritti umani Ludovic Trarieux.

TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Sono stati frequentemente segnalati casi di tortura e altro maltrattamento, compresa la negazione di cure mediche ai reclusi. Le autorità non hanno provveduto a indagare le accuse di tortura avanzate dai detenuti.

A maggio, detenuti del carcere di al-Razeen di Abu Dhabi, tra cui Imran al-Radwan, hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le perquisizioni corporali forzate, le presunte molestie sessuali e altri maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie.

SISTEMA GIUDIZIARIO NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Le autorità si sono rifiutate di rilasciare almeno cinque prigionieri al completamento della pena, tra cui Osama al-Najjar, un prigioniero di coscienza arrestato nel 2014. Le autorità del carcere di al-Razeen, dove erano trattenuti i condannati del procedimento contro i “94 degli Uae”, hanno regolarmente vessato i familiari dei reclusi e impedito loro di visitare i congiunti in carcere.

DIRITTI DELLE DONNE NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Le donne hanno continuato a essere discriminate nella legge e nella prassi, soprattutto in relazione a questioni come matrimonio e divorzio, eredità e custodia dei figli. Le don­ne non erano tutelate in modo adeguato contro la violenza sessuale e la violenza all’interno della famiglia.

DIRITTI DEI LAVORATORI – LAVORATORI MIGRANTI

I lavoratori migranti, che costituiscono la stragrande maggioranza della forza lavoro del settore privato, hanno continuato a essere vittime di sfruttamento e abusi. Sono rimasti vin­colati al loro datore di lavoro in virtù del sistema di lavoro tramite sponsor kafala e sono stati loro negati i diritti contrattuali collettivi. I sindacati continuavano a essere vietati e i lavoratori migranti che intraprendevano un’azione di sciopero rischiavano l’espul­sione e il divieto di tornare negli Uae per un anno.

A settembre, è entrata in vigore la legge n. 10 del 2017, che poneva un limite all’orario di lavoro e prevedeva un riposo settimanale e 30 giorni di ferie annuali retribuite, oltre che il diritto di trattenere i propri documenti personali. La legge sembrava mettere i lavoratori nella condizione di chiudere un contratto, in caso di violazione da parte del datore di lavoro di uno dei termini contrattuali, e stabiliva che eventuali controversie sarebbero state di competenza di tribunali specializzati oltre che delle corti di giustizia. Tuttavia, i lavoratori continuavano a rischiare che il datore di lavoro potesse accusarli di reati dalla formulazione ampia e vaga, come “incapacità di mantenere i segreti del proprio datore di lavoro”, reato punibile con un’ammenda fino a 100.000 dimar degli Uae (27.225 dollari Usa) o con una condanna a sei mesi di reclusione.

A settembre, il Comitato Cerd ha espresso preoccupazione per l’assenza di un organo di vigilanza e di misure applicative in grado di tutelare i lavoratori migranti, oltre che per le difficoltà che questi continuavano ad affrontare nell’accesso alla giustizia, considerando ad esempio la loro riluttanza a sporgere denuncia per paura di ripercussioni negative.

PENA DI MORTE NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

I tribunali hanno emesso nuove condanne a morte; il 23 novembre c’è stata un’esecuzione.

Amnesty International, Rapporto annuale 2017-2018

 

Non è mai troppo tardi… Papa Francesco, ripensaci!

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