martedì, Aprile 23, 2024

Lectio Biblica: Esodo (incontro del 15 gennaio 2019)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

DALLA PASQUA ALLA LODE

(Es 12, 1 -15, 21)

 

Testi liberamente tratti da:

Fretheim T.E., Esodo, Torino, Claudiana, 2004;

 

Indice:

1)Pasqua passato e presente Es 12, 1-28

2)Una notte tragica e felice Es 12, 29-36

3)Libertà e fede Es 12, 37-51

4)Il corpo e la memoria Es 13, 1-16

5)Provvidenza e programmazione Es 13, 17-22

6)L’attraversamento del mar Rosso Es 14, 1-31

7)Una vittoria cosmica Es 15, 1-21

4)PROVVIDENZA E PROGRAMMAZIONE ES 13,17-22

 

Partenza degli Israeliti, inizia l’Esodo.

Questa sezione è costituita fondamentalmente dal racconto riguardante il momento iniziale della partenza del popolo dall’Egitto.

Il punto focale è nella guida divina.

Mettiamo in evidenza alcuni aspetti.

a) il narratore pone all’inizio del racconto una riflessione di Dio (Dio pensava…). Questa forma indiretta mette un accento su Dio quale soggetto e guida, per quanto egli utilizzi agenti non divini (nube) con i quali e attraverso i quali, fungere da guida. Dio si preoccupava che Israele non prendesse la strada più trafficata, limitando al massimo le possibilità di incontrare forze ostili lungo il percorso.

La preoccupazione divina era in realtà, che il popolo potesse cambiare opinione (come sembra avvenire in 14,11), se costretto ad affrontare una battaglia, anche se esso era in qualche misura equipaggiato.

b) la preoccupazione divina è importante? Si, in quanto dimostra che Dio deve tenere presenti forze socio-politiche prevalenti, così come deve considerare il comportamento emotivo degli uomini, nel tracciare sulla carta un percorso verso futuro. Ci si potrebbe aspettare invece, che Dio con tutta la sua potenza guidi il popolo in ogni pericolo.

Ma la situazione umana va sempre rispettata, quindi essa incide sulle decisioni divine.

c) questo dimostra che per Dio e anche per il popolo la pianificazione farà la differenza. La provvidenza divina non è dunque mai in contrapposizione a un’attenta pianificazione. (attualizzare).

d) tuttavia Mosè non è il solo strumento che Dio utilizza come guida: c’è anche una colonna di nuvole di giorno. e una colonna di fuoco di notte. Si tratta probabilmente di un’unica colonna, che appare diversa durante il giorno e durante la notte, nella quale   era presente Dio stesso. Questa accompagnerà costantemente Israele nelle peregrinazioni del deserto. Essa anticipa l’attività rivelatoria di Dio e la presenza di Dio fra il popolo nel tabernacolo.

Nell’Antico Testamento nuvola e fuoco sono collegati alla presenza divina. La natura di questo fenomeno non è chiara, per quanto in genere, si ipotizzi la presenza di un braciere acceso alla testa della carovana. E’ chiaro che simili fenomeni empirici non fossero necessari per portare a compimento il compito della guida divina.

Ma il contesto del deserto e la situazione del popolo erano tali, che una tangibile assicurazione della presenza divina, fosse ritenuta necessaria. Tali fenomeni imprimono il dato della presenza di Dio in tutti i sensi delle persone, non solo nelle loro menti e nel loro spirito: l’intera persona sperimenta la presenza di Dio – e la sezione contiene una notizia alquanto strana per il lettore moderno. Mosè portò le ossa di Giuseppe nel viaggio dell’esodo. Giuseppe aveva fatto un accordo con la sua famiglia, desiderava che le sue ossa fossero riportate nella Terra promessa, e seppellite nel luogo in cui c’era la tomba di famiglia.  Il soggiorno di Israele in Egitto era iniziato con un conflitto tra i figli Giacobbe, con il risultato che Giuseppe era stato condotto in Egitto. Giuseppe divenne la persona nella quale, tramite la quale Dio conservò in vita il resto di Israele. Portando le sue ossa fuori dall’Egitto si pone fine alla fase egiziana della vita di Israele e si mette a disposizione un simbolo/segno: quello che era iniziato con Giuseppe ora è stato realizzato in modo meraviglioso: Israele è stato conservato in vita dall’attività provvidenziale di Dio.

5)L’ATTRAVERSAMENTO DEL MAR ROSSO ES 14,1-31

Il racconto dell’ attraversamento del Mar Rosso è un testo di considerevole complessità .

Il lettore vi si inoltra  con nelle orecchie il ritornello che Dio conduce Israele fuori dell’Egitto. Si abbandona quel paese con sulle labbra canti di gioia per l’intervento di Dio. Ma ciò che viene descritto è più il racconto di una celebrazione, che quello di un avvenimento storico.

Il capitolo 14 serve per creare un anello di congiunzione tra la Pasqua e l’attraversamento del Mar Rosso, i due aspetti dell’unica azione liberatoria divina .

Quel che noi abbiamo alla fine è un quadro “impressionistico” dell’attraversamento del Mar Rosso, che non intende essere ben delineato in ogni singolo particolare e nel quale, il prima e il dopo si intrecciano,  Pasqua e liberazione sono un tutt’uno .

Quello che importa è la visione d’insieme.

 In una prospettiva teologica, i due avvenimenti  (Pasqua e liberazione), legano strettamente l’una all’altra, redenzione e creazione.

Il tema della creazione, come abbiamo visto più volte, occupa una posizione centrale per l’intero Esodo.

 L’attraversamento del Mar Rosso infatti esalta la dimensione cosmica dell’azione divina, portando l’obiettivo creazionale  al suo punto culminante.

E’soltanto al momento dell’attraversamento delle acque, che le forze del caos sono sconfitte una volta per tutte e il mondo è ancorato di nuovo ad un solido ormeggio.

In riferimento alla tradizione cristiana si possono altresì mettere insieme Croce e Resurrezione. Non è un caso infatti che Esodo 15, compaia in molti lezionari in parallelo ai testi pasquali.

 La vittoria di Dio al momento dell’ attraversamento del Mar Rosso non è semplicemente un avvenimento dal significato circoscritto alla sconfitta di un nemico storico, per quanto importante possa essere stato. Si tratta invece di una vittoria cosmica. Senza  di essa la Pasqua è semplicemente una vittoria parziale e la liberazione di Israele dalle forze anticreazionali soltanto un fatto di una certa rilevanza.

Questo argomento(l’ attraversamento del mar Rosso) è collegato alla spesso discussa identificazione dell’espressione yam sup, tradizionalmente tradotta con Mar Rosso (letteralmente in realtà significa” mare delle canne” o meglio “mare della fine”). Per svariate ragioni, (non ultima l’assenza di canne nel Mar Rosso) è  diventato un luogo comune identificare il “mare delle canne” con uno dei piccoli corsi d’acqua nella regione del delta del Nilo. E tuttavia mentre tale espressione viene utilizzata nell’Antico Testamento con questo significato, essa fa riferimento anche chiaramente proprio al Mar Rosso.

Ci può dunque essere un conflitto tra storia e celebrazione? Come se ne esce?

Mentre può essere vero che l’attraversamento avvenne storicamente nella regione del delta, il  contesto è decisivo per mantenere la traduzione Mar Rosso : una così grande quantità di acqua serve come mezzo per veicolare il carico cosmico della vittoria di Dio.

Per chiarezza dividiamo ora il racconto in due parti:

PREPARAZIONE DIVINA E UMANA vv1,18

ATTRAVERSO IL MARE IN TERRA ASCIUTTA vv19,31

A) Il narratore utilizza 18 versetti per preparare l’avvenimento dell’attraversamento del Mar Rosso.

Innanzitutto procediamo a  una più attenta analisi dei principali protagonisti : Dio, faraone, Israele, Mosè .

DIO: la narrazione sottolinea il ruolo di stratega di Dio. Dio dice a Mosè di condurre Israele verso il mare, nelle vicinanze di certi luoghi di ubicazione sconosciuta. Questo comporta non un ritorno in Egitto ma una diversa strada sul lato desertico della frontiera. Il motivo del cambiamento dei piani ? Indurre i faraone a considerare il popolo in trappola e quindi facilmente aggredibile. Ancora una volta la pianificazione divina viene alla luce.

Non proprio ogni contesto infatti è adatto per quello che Dio ha in animo di fare.  Dio prende in considerazione diverse dinamiche delle situazioni, incluse le possibilità militari e le strategie egiziane, nel programmare il prossimo passo  del conflitto col faraone. Quella che Dio considera come una possibilità di intrappolamento non sarà, tuttavia, compiuta soltanto con manovre di tipo militare. Dio invece renderà caparbio il cuore del faraone per indurlo ad atti inconsulti, che annientandolo lo porteranno a riconoscere l’unico Dio.

Lo scopo dichiarato di Dio infatti (è da sottolineare) non contiene alcun riferimento alla liberazione di Israele.

Il punto focale è in quello che accade a Dio e al rapporto degli egiziani con Dio.

Mentre Israele è il destinatario immediato dell’azione divina, gli scopi di Dio sono più ampi.  Il suo obiettivo consiste nel portare gli egiziani, anzi l’intero mondo, a riconoscere che il Dio di Israele è il signore di tutta la terra. (L’avevamo già visto con le piaghe!)

L’espressione ebraica “ per acquistare gloria” appartiene alla stessa radice di uno dei verbi utilizzati per indicare l’indurimento del cuore del faraone. Il punto focale del gioco di parole è che la sconfitta dell’oppressore  porterà pubblico onore a Dio:(” Perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra” 9,16). Senza lode, la vittoria di Dio non sarebbe conosciuta dinanzi al mondo.

IL FARAONE : il faraone e il suo esercito si impegnano in una frenetica preparazione e in un inseguimento furioso degli Israeliti fuggitivi. Ogni carro ( si contano 14 riferimenti nei capitoli 14-15!) e ogni cavallo/cavaliere (12 riferimenti )dell’intero esercito egiziano è gettato nella mischia. L’Egitto impegna il meglio del suo esercito nell’inseguimento, una manovra militare non di poco conto dal punto di vista dell’Egitto. Eppure dato l’annunciato coinvolgimento di Dio, il lettore sa che tutto ciò alla fine si risolverà a servizio  della missione di Dio nel mondo. Infatti Dio si serve dell’ostinazione umana contro se stessa, chiudendo ad altre possibilità.

EBREI:  gli israeliti temono per la propria vita, schiacciati fra il piano divino da un lato, e i propositi del faraone dall’altro. Essi conoscono meglio le intenzioni del faraone di quelle di Dio. La loro risposta viene descritta con parole che richiamano il periodo di schiavitù: essi gridano al Signore tramite Mosè e la loro voce assume la forma di un lamento. Essi accusano Mosè di secondi fini : li ha condotti nel deserto per farli morire.

Per la prima volta veniamo a conoscenza di una precedente lamentela rivolta contro Mosè: essi avevano chiesto di rimanere in schiavitù, in quanto preferivano servire gli egiziani (5,21;6,9) Un tale servizio è preferibile a una vita posta fra due mortali pericoli. In questi momenti il nemico sembra essere troppo vicino e Dio troppo lontano, anche subito dopo aver vissuto un’esperienza piena di  grazia.

Questo è la prima di tante simili” mormorazioni” come sono state definite alle quali Israele  spesso si lascerà andare nel deserto.

Comunque il desiderio di stare in Egitto e ora di ritornarvi sono reazioni tipiche di persone provate da un lungo periodo di oppressione. Questo popolo avvilito è appena stato sottratto alla schiavitù, non merita una parola di condanna nè da parte dei commentatori, nè da parte di Mosè, il quale comprende la situazione e rivolge loro una parola profondamente evangelica. Come nei salmi di lamento, Mosè si rivolge al popolo ferito, rendendo chiaro il progetto divino.

L’uso del lamento a questo punto, sottolinea come Israele non sia in grado di liberarsi da sè: tutto dipende in modo assoluto da Dio.

Le parole di Mosè per consolarli sono significative:

“Non abbiate paura”  questa prima parola è quella detta in genere da Dio delle teofanie o a quelli  che gemono. Una parola rassicurante : le loro peggiori paure non si concreteranno. Dio è presente e all’opera a loro vantaggio. E’ una parola che risuona anche in tempi posteriori per un Israele sofferente e  giunge fino ai pastori che stavano nei campi col gregge. Per il popolo di Dio che si trova in una situazione di continua sofferenza, questa è una parola che conforta .

“State fermi” il popolo non deve fuggire ma prendere posizioni ed essere pronto;  non deve combattere come potrebbe suggerire la parola di Dio, ne utilizzare il proprio armamento.. Piuttosto deve tenersi  saldo alla salvezza ,che Dio, per sua iniziativa opererà a loro vantaggio.

“State tranquilli” non si tratta di una parola che richiede al popolo di non muovere un muscolo, non si tratta di un’ esortazione alla passività come se un angelo ora venisse a trasportarli attraverso le acque. Si tratta di una parola che esige silenzio. Quel che il popolo potrebbe dire infatti, sia nel lamento sia nel grido di guerra, non condizionerà quanto sta per accadere .

MOSE’.  Gli viene dato un posto centrale in quanto agente dell’azione salvifica di Dio. Il che è attestato dalla tradizione  successiva.

La salvezza non è però meno opera di Dio per il fatto che questi si serva di esseri umani (o entità non-umane, ad esempio il vento)come strumenti mediante i quali operare.

Esaminiamo due espressioni significative al riguardo:

SALVEZZA. Parola molto carica di significato teologico è qui collegata in modo particolare con la liberazione dagli egiziani; così le dimensioni socio politiche del termine sono presenti.

Tuttavia il carattere cosmico dell’avvenimento comporta che le sue conseguenze siano più estese. Dato l’effetto pervasivo dell’oppressione, la salvezza inciderà non soltanto  su quello che gli ebrei sono come esseri umani, ma sull’intero mondo di cui essi sono una parte. La salvezza è nel contempo personale, comunitaria e universale .

Dio salva ognuno e tutti.

IL SIGNORE COMBATTERA’ PER VOI. l’immagine di Dio come guerriero e condottiero in battaglia è un tema presente sia nella narrazione, sia nel canto di trionfo. Per quanto questo non sia un tema particolarmente rilevante nell’Antico Testamento nel suo insieme, nel presente contesto esso svolge un ruolo appropriato. Dio effettivamente “lotterà” contro il potere dell’esercito nemico.

B)ATTRAVERSO IL MARE E  LA TERRA ASCIUTTA

Vv19-31

Il Faraone e il suo esercito sono lanciati in un furioso inseguimento. Il popolo sta aspettando con ansia gli eventi; Mosè è  in piedi pronto all’azione; Dio ha deciso che cosa fare. Lo scenario è pronto per la vittoria divina sulle forze del caos.

La combinazione di varie fonti, presenta un caleidoscopio di immagini: messaggeri divini, colonne di fuoco e di nuvole, alternanza di luce e tenebre, un forte vento proveniente da est, il mare aperto in due, mura d’acqua che si alzano e si abbassano, un sentiero asciutto in forma di canyon attraverso il mare, carri impantanati, una mano umana, sola, stesa due volte e la costa disseminata di cadaveri. E’ sufficiente per far venire l’acquolina in bocca a un produttore cinematografico.

 C’è una spiegazione “naturale” di tutto ciò?

Il movimento delle maree nella regione del Delta potrebbe essere un fattore. Si potrebbe allora parlare di una insolita confluenza di possibilità naturali e storiche di cui Dio si avvantaggia.

Oppure la base storica potrebbe consistere nella fuga di un gruppo israelita dal controllo egiziano, un avvenimento ricordato come così eccezionale, per cui soltanto una presenza accentuata di Dio poteva spiegarlo in modo adeguato.

Ma ancora una volta la narrazione propone un quadro impressionistico. Cercare di separare i particolari in forma letterale, o ipotizzare che Israele ritenesse i dettagli corrispondenti con precisione alla realtà, è come ritoccare i quadri di Renoir per farli apparire come fotografie.

Detto ciò analizziamo brevemente i temi dell’attraversamento.

a)gli avvenimenti presso il mare prendono il via con un’ iniziativa divina; il messaggero di Dio nella colonna di nuvola, prende posizione fra il popolo d’Israele e gli egiziani. Così Dio opera  mediante gli elementi naturali della nuvola e delle tenebre.

La conseguenza di tutto questo è che Israele e gli egiziani sono separati gli uni degli altri, da tenebre più pesanti del solito nel corso della notte.

 b)gli avvenimenti si susseguono: Dio agisce in e mediante un agente umano ,Mosè, che stende il suo braccio /bastone sul mare, e un elemento naturale, un forte vento orientale che soffia tutta la notte( si noti il tempo che impiega: non si tratta di uno schiocco divino delle dita). Gli agenti che creano il sentiero nelle acque hanno allora una triplice forma,-divina, umana e non umana – che operano in armonia l’una con l’altra.

Così come è avvenuto in tutto il corso della narrazione dell’esodo, per portare a compimento il suo disegno Dio non opera da solo, ma attraverso poteri umani e non umani.

c) il risultato è un atto di creazione. La terra asciutta appare in mezzo al caos, proprio come in Genesi(1,9-10) con la separazione delle acque.

 L’azione creatrice divina nella sfera della natura serve da veicolo per la creazione di un popolo libero.( si noti anche il linguaggio della nascita, una strada attraverso le acque!) .

L’azione creativa nella natura mette in moto l’azione creativa nella storia. Quel che accade nella natura crea nuove possibilità per Dio nell’ambito della storia e l’azione di Dio come creatore produce la salvezza di un popolo.

d) questo atto creativo richiede una duplice risposta umana.

Da una parte sotto una coltre di tenebre il popolo d’Israele cammina attraverso le acque, su terra asciutta .Il popolo di Israele  non è dunque passivo; camminare attraverso un simile canyon marino è un atto di fede.

Dall’altra Gli egiziani inseguono Israele con carri e tutto il resto fin dentro il mare. Essi perseguono nella loro ostinazione, nonostante le possibilità di ripensamento offerte da Dio. Non rinunciano ad affermare la loro presunta superiorità.

e) come il giorno irrompe per Israele, la notte cala sugli egiziani. Dio esclude la partecipazione degli egiziani alla nuova creazione. La terra asciutta si trasforma in una palude. I più rinomati ed efficienti uomini e mezzi dell’esercito egiziano si impantanano negli effetti della loro azione anticreazionale. Terrorizzati essi comprendono immediatamente di essere finiti e comprendono altresì che fra gli Israeliti opera una potenza a vantaggio della creazione, potenza che può ritorcersi contro di loro.

Essi fanno una pubblica confessione sul Dio d’Israele: YHWH combatte con loro. Gli egiziani adesso conoscono che YHWH è Dio di tutta la terra.

Mosè stende il suo braccio/ bastone sul mare ancora una volta e le mura di Gerico fatte d’acqua cadono giù, la terra asciutta scompare. Gli egiziani iniziano la fuga al sopraggiungere le onde. Essi affondano in mezzo al caos che essi stessi hanno generato. Nessuno di loro rimane vivo. Quando viene il giorno, il mare è calmo, la spiaggia disseminata di cadaveri.

Ma Israele camminò attraverso il mare su terra asciutta e si trovò al sicuro sulla spiaggia opposta. Dio è il vincitore. Israele è libero. L’ordine della creazione ancora una volta ristabilito.  Quando il popolo vede la grande opera  che Dio ha compiuto, risponde molti modi: essi onorano YHWH; credono in YHWH; prestano fede a Mosè servo di YHWH; intonano un canto di lode a Dio per la vita e per le benedizioni di cui in questo giorno sono stati colmati.

In qualche modo è sconvolgente il fatto che lo stesso linguaggio di fede venga impiegato tanto per Mosè quanto per Dio. Colui che serve come strumento della parola e dell’azione di Dio, riceve fiducia come colui che veramente rappresenta, anzi incarna: quel Dio nel cui nome parla.

Questo mette in risalto la straordinaria importanza della guida, nel rapporto tra Dio e popolo. Ma solo Dio viene onorato, a lui è reso culto e a lui Israele eleva canti di lode .

Senza una tale risposta, le grandi opere di Dio sarebbero state senza una voce nel mondo.

Lo scopo di Dio di sentire il suo nome proclamato su tutta la terra sarebbe stato accantonato.

6)UNA VITTORIA COSMICA ES 15,1-21

Questa sezione è costituita da due brani unici di lode e ringraziamento a Dio per la liberazione dagli egiziani, il cui orizzonte è storico e cosmico in un tempo.

E’ importante non trascurare entrambe le dimensioni di questa vittoria.

Dopo qualche argomento introduttivo, prenderemo  in considerazione il tema del ringraziamento ed esporremo le implicazioni della pervasiva teologia della creazione presente nel canto.

I due canti di lode (Mosè e il popolo:v 1-18; Maria v 21)sono preceduti da riferimenti quasi identici all’ azione salvifica di Dio a favore di Israele.

-Dal punto di vista strutturale viene ripreso il ruolo dato le donne all’inizio dell’Esodo.

-In termini di storia della tradizione, il Cantico di Maria probabilmente fu composto prima e il Cantico di Mosè ne costituisce un ‘espansione; ma entrambi sono stati riconosciuti come parti della poetica più antica della Bibbia ebraica.

– Circa la redazione attuale tuttavia, il canto di Maria funziona come un antifona, tesa a sottolineare il ringraziamento espresso dal popolo nella sua totalità .

Abbiamo notato che :

-il complesso di Esodo 15, 1-15 è strutturato secondo uno schema che comprende angoscia, lamento, parola e azione divina .

-questo è un momento nuovo per entrambi; mai  come ora Dio ha rivelato la sua natura di liberatore. Si ha una corrispondenza di situazioni : dalla propria esperienza della sofferenza, Dio ha risposto all’esperienza di oppressione di Israele e Israele  dall’interno del desiderio della propria libertà, risponde all’ esperienza di Dio in quanto liberatore.

-Se tuttavia, fosse mancata una risposta da parte dell’uomo, quanto Dio aveva operato, non sarebbe stato conosciuto. Sarebbe stato come un sasso che cade nel mare.

Questa risposta è data dal popolo. Come si manifesta?

a)esso crede in Lui

b)si fida del suo servitore Mosè

c)canta le lodi di YHWH

d) si impegna nel rituale( Pasqua, pane azzimo, riscatto dei primogeniti)

e) rimarrà fedele a quello che Dio ha fatto.

Questa risposta umana all’intervento divino ha inoltre un carattere pluridimensionale.

La risposta  infatti è diretta a:

  • Dio: fede, fiducia, ringraziamento.

  • Alla guida: fiducia in Mosè.

  • Alle generazioni future di Israele: ripetere la narrazione e riappropriarsi del suo potere salvifico all’interno dei vari aspetti del culto e dell’impegno religioso.

  • al mondo più ampio: testimonianza con azioni di lode.  Il canto di ringraziamento costituisce lode a Dio che ha liberato Israele dalla schiavitù e lo ha stabilito nella  sua terra.

 In quanto lode esso funge da adorazione e da testimonianza su Dio dinanzi a tutto il mondo.

La lode però non ha la sua radice in una autosufficienza divina, non significa ricevere una specie di applauso celestiale a scena aperta da parte di un popolo eternamente grato. Si rende onore a Dio non in risposta a un comando, ma in quanto è conveniente è giusto fare così.

Anzi lode e ringraziamento sono in ultima analisi un argomento di testimonianza davanti al mondo. Lo scopo di tutta l’opera di Dio rimane quello che è stato espresso in 9,16:”Perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra”.

Quel che egli ha operato riverbera per tutta la terra richiamando l’attenzione all’identità di questo Dio e a tutto quello che Dio significa per il mondo.

La lode aumenta l’attrattività di Dio. Le persone al di fuori della comunità di fede possono essere condotte a questo Dio quando esse ascoltano tutto quello che è avvenuto.

Che cosa  infatti devono “ascoltare” i popoli del mondo per essere provocati a una risposta? (il verbo ascoltare  implica un’ estraneità rispetto all’avvenimento).

Un semplice resoconto di un gruppo di schiavi fuggito dall’Egitto indurrebbe il timor di Dio in poche persone o, addirittura, in nessuna.

Ma se questa fuga viene letta attraverso la chiave interpretativa dei disegni universali di un Dio creatore, assuntosi il compito di rimettere ordine in un mondo caotico e oppressivo, allora tutti coloro che commettono ingiustizia  dovrebbero temere e gli oppressi dovrebbero sperare nella mano di Dio.

Soltanto una simile interpretazione rende infatti chiaro quel che è accaduto realmente al mare.

E ciò non è storiograficamente accertabile.

Gli occhi della fede pretendono infatti, di penetrare in profondità nell’avvenimento stesso. Il canto  sottolinea che Dio creatore ne è l’elemento decisivo e quindi soltanto quando si accoglie questa interpretazione, si comprende pienamente quello che in effetti si è sperimentato.

Allora è l’avvenimento così interpretato a rendere la parola, una parola talmente potente da farsi strada di bocca in bocca per tutto il mondo .

Il linguaggio utilizzato è tipico di altri brani innici:  Dio è colui che annienta i nemici, sconfigge gli avversari, abbatte l’opposizione con ira. Predomina il linguaggio generico dell’operato divino: guerriero, potenza, forza, mano destra, braccio, grandezza, maestà, santità, furore terribile, azioni gloriose, cose stupefacenti, guida, redenzione, amore eterno…

E’ sempre in un ambito universale di comprensione, che devono essere interpretati riferimenti al “guerriero divino”.(15,3 In verità la metafora parla semplicemente di un” guerriero”, uomo di guerra, non di un Dio della guerra: è una differenza importante)

Per chiarirne significato ci si deve richiamare allo schema mitico, più che alle tradizioni della Guerra Santa.

Allora nell’interpretare il termine“ guerriero”(v3) si deve notare che non un solo strumento di guerra viene nominato. Alla spada che il faraone brandisce, non viene contrapposta un’altra spada; al carro di guerra che egli guida non ne viene contrapposto un altro; all’esercito che egli comanda non se ne oppone un altro. Ma  la sconfitta  è totale. E’ solo a questo punto e con la forza che assume (di cui” mano” e “braccio” sono metafore) che l’analogia  della guerra sta in piedi.

(Dato però l’automatismo con il quale noi associamo la guerra con armamenti e scontri fisici,  ci si può chiedere se la metafora del “guerriero” sia ancora utilizzabile oggi.)

Tuttavia Dio non sconfigge il nemico senza mediazioni: gli strumenti divini non sono però storici, provengono interamente dall’ordine naturale. Il vento il mare ,la piena e l’acqua, l’abisso, la terra; nella misura in cui Mosè agisce, le sue mani non imbracciano alcuna arma.

Abbiamo notato, nei capitoli precedenti, che il nemico egiziano è metastorico in quanto concentra tutte le forze caotiche del mondo.

Per utilizzare un’ espressione di Martin Luther King “(…)l’Egitto simboleggiava il male nella forma dell’oppressione umiliante ,dell’empio sfruttamento, del dominio schiacciante(…)” (1983- La forza di amare). Contro un nemico di questo genere le armi tradizionali non servono a nulla. Dio sconfigge il mostro del caos con armi appropriate al nemico, come nel ciclo delle piaghe, all’interno della sfera naturale.

Di conseguenza la luce mattutina irrompe nelle tenebre, il popolo cammina su terra asciutta.

Il giusto ordine di Dio è vendicato, una nuova creazione emerge alla luce del nuovo giorno. Questo viene chiamato redenzione, in quanto è il ristabilimento del giusto ordine creato, in un particolare tempo e luogo.

Dio riporta la creazione distrutta all’ordine iniziale in un punto particolare del mondo.

Dio regna per sempre in eterno non soltanto su Israele (o sopra le nazioni parlando storicamente) ma “in mezzo a Israele sull’intero cosmo”.

 

 

 

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