mercoledì, Dicembre 18, 2024

Patrice Nganang, una parola dissidente contro il colonialismo

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Non occorre essere assidui frequentatori di letterature africane per ricordare il nome di Patrice Nganang, romanziere, poeta e saggista camerunense che lo scorso anno fu arrestato a Yaoundé per aver criticato il presidente dittatore del Camerun Paul Biya (da 36 anni al potere, sostenitore della fazione francofona del paese e intransigente con quella anglofona, che richiede maggiori autonomie).

NELL’EPOCA DEI SOCIAL, l’opinione pubblica internazionale si mobilitò allora rapidamente per la sua liberazione e, dopo tre settimane di detenzione, lo scrittore fu rilasciato ed espulso dal paese. Attualmente vive a NewYork (sua seconda casa già da diciotto anni), dove insegna Letterature comparate alla Stony Brook University, ribadendo e rinsaldando da un punto d’osservazione dislocato ma più che mai «a fuoco» la sua figura di intellettuale dissidente in un paese privato della libertà d’espressione.

SE SI PENSA che questi siano casi isolati e anacronistici, sarà utile ricordare tra gli altri Chris Abani, scrittore nigeriano che da oltre due decenni vive in esilio volontario negli Usa e sulla cui testa pende ancora una condanna a morte per uno scritto giovanile contro il governo del suo paese. Studioso di storia, letteratura, teatro e culture africane dell’epoca coloniale e postcoloniale, Nganang ha da poco dato alle stampe in francese Empreintes de Crabe (Le impronte del granchio), terzo e conclusivo romanzo della sua trilogia sulla storia del Camerun (il cui primo episodio Mont Plaisant, è già apparso in Italia lo scorso anno per 66thand2nd), e sarà a Roma l’8 dicembre per presentare al pubblico di Plpl la traduzione del secondo, La stagione delle prugne (ore 15, sala Vega, con Annalisa Camilli), sempre per 66thand2nd. In questo, come nel precedente, l’autore pone l’interrogativo di come sia possibile ricostruire la storia di un paese, come il Camerun, o di un continente, come l’Africa, martoriati da colonialismi prima e avviati all’indipendenza poi, ritessendo le voci spesso neglette di chi la storia l’ha più subita che determinata, o ne è stato agente inconsapevole, rimanendone spesso ai margini. Mentre in un affascinante contrappunto di storie sovrapposte Mont Plaisant ha già offerto al lettore italiano le vicende del colonialismo tedesco in Camerun e la vibrante e ricca cultura precoloniale del paese, La stagione delle prugne si focalizza su un passaggio cruciale della storia nazionale e universale e racconta la seconda guerra mondiale da un punto di vista africano, distorto, lontano e attutito. Mentre la Francia è occupata dai nazisti, De Gaulle, scappato in Inghilterra, manda a reclutare soldati in Africa per la Francia libera, arruolando contadini e pescatori per lo più illetterati, destinati poi al macello nel deserto libico contro truppe italiane e tedesche.

CON LO SBARCO di Leclerc a Douala nel 1940 e il suo arrivo nel bar-bordello di Edea, la grande Storia mondiale irrompe nella quieta storia camerunese mietendo le sue vittime, sottraendo giovani leve ai campi e alle braccia delle loro donne e madri, e mandandoli da fucilieri, scalzi e mal equipaggiati, ad attraversare un infernale deserto contro un nemico a loro ignoto e per una causa da loro ingenuamente abbracciata per le più diverse motivazioni e aspirazioni. Tra i «volontari» reclutati da Leclerc, figurano gli accoliti di un improvvisato cenacolo poetico fondato di recente da Pouka, aspirante poeta filo-francese che, oltre a rinviare ad un personaggio letterario della storia patria realmente esistito, pone l’accento sul ruolo centrale della scrittura intesa come depositaria della memoria, spazio privilegiato per una discussione morale e anche, per espressione dello stesso Nganang, come «luogo della democrazia e del rispetto delle minoranze».

 

(Francesca Giommi, il manifesto, 6 dicembre 2018)

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