lunedì, Novembre 18, 2024

Suore di frontiera: testimonianze di religiose in aiuto dei migranti in carovana

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

39594 KANSAS CITY-ADISTA. Che le religiose statunitensi siano sempre state molto attive nel campo dell’assistenza alle persone più bisognose e svantaggiate, negli ambiti più disparati della vita e della società, è sempre apparso evidente. Che da anni offrano il loro aiuto ai migranti al confine meridionale degli Stati Uniti è cosa nota, ma ora, nella congiuntura della carovana che, attraverso il Messico, porta migliaia di migranti dal Centroamerica al confine con gli Stati Uniti, non stupisce affatto che le religiose siano ancora di più in prima linea. Di questa presenza preziosa dà conto il Global Sisters Report, la piattaforma online del settimanale National Catholic Report che racconta il mondo delle religiose statunitensi e, in questo specifico frangente, raccoglie le testimonianze, una sorta di diario, del lavoro che svolgono nei loro centri di prima accoglienza al confine con il Messico o nelle zone limitrofe.

Suor Pat Erickson, che lavora presso l’Humanitarian Respite Center a McCallen, Texas, gestito da Catholic Charities (una sorta di Caritas locale), racconta che «Ogni pomeriggio arrivano da noi circa 300 persone dopo aver compiuto le procedure (presso gli uffici dell’Immigrazione e doganali) ed essere state rilasciate. Quando arrivano qui, fanno un colloquio, ricevono abiti puliti, fanno una doccia e un pasto caldo. Si organizza la prosecuzione del loro viaggio verso i loro “sponsor”, famiglia o amici, che hanno acquistato biglietti per loro». Quando ripartono, «ricevono una borsa con acqua, cibo e vestiti, e vengono trasferiti alla stazione dei bus», dove alcuni volontari li seguono nell’aiutarli a comprendere le tappe del viaggio, i cambi, il tutto in un clima «efficiente e rispettoso». Analogo scenario quello descritto da suor Marcelline Koch da El Paso, dove lavora presso l’Annunciation House: una struttura «che recentemente ha affittato due motel adiacenti per fornire sistemazioni sufficienti». Una tenda nel parcheggio costituisce lo spazio in cui viene dispensato il cibo. «Arrivano volontari a portare pasti; alcuni si fermano, altri no, ma la gente è incredibilmente generosa. Arrivano abiti ogni giorno da suddividere e preparare per le famiglie che arrivano dai centri di detenzione. Spesso non si può camminare per terra perché il pavimento è coperto di abiti donati. Alcuni giorni arrivano 30 persone, altri 70 o 80; alcuni hanno bisogno di trattenersi solo un giorno, altri due, tre, cinque.

Jean Stokan, coordinatrice dell’immigrazione della sezione giustizia delle Sisters of Mercy, ha raccontato la difficoltà di alcuni casi: «Dopo aver accolto una donna guatemalteca e suo figlio qualche giorno prima, e dopo che la sua famiglia le aveva inviato un biglietto per il bus, l’ho portata alla stazione a prendere l’autobus per Palm Beach (Florida). Solo quando le ho chiesto di firmare il biglietto ha confessato di non saper leggere né scrivere, per lo meno in spagnolo. Parlava solo un dialetto indigeno, e a malapena comprendeva lo spagnolo. Il viaggio sarebbe durato due giorni, in cui avrebbe dovuto effettuare sette cambi. È scoppiata a piangere, e alla fine sono riuscita a metterla in contatto con altre persone che facevano almeno una parte dello stesso viaggio, ma queste persone hanno bisogno di molte preghiere».

«Anche nei momenti più bui abbiamo diritto di attenderci una luce»: suor Sheila Karpan, delle Sisters of Charity di Leavensworth, ricorda le parole di Hannah Arendt quando racconta del sollievo e del sorriso delle 40-80 persone che arrivano ogni giorno a El Paso. E di luci se ne incontrano: «abbiamo incontrato due gruppi di avventisti e almeno un gruppo di una parrocchia cattolica che preparavano pasti caldi ogni settimana, servendo un centinaio di persone. Un gruppo della Abuundant Living Faith Church ha portato snack, hula-hoops e palloni per i bambini. Vi sono volontari che vengono almeno tre volte alla settimana per aiutare a trasportare, trasferire, organizzare colazioni e pranzi per i viaggiatori di ogni giorno. Una madre ha portato i suoi quattro figli adolescenti perché aiutassero, ed erano felici di farlo; una giovane mamma con due bambini piccoli ha invitato due librai a raccontare storie ai piccoli e poi ha servito loro dolcetti. Le persone lasciano i centri riposate, nutrite e con abiti puliti. Portano con sé piccole borse o zaini, i loro unici averi. Ma soprattutto, se ne vanno con la sensazione di avere ricevuto buona assistenza e rispetto, e di aver intravisto la luce».

(nell’immagine: Scultura di Raoul Hunter che ritrae Mère Émilie Gamelin, stazione della metro di Montréal)

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