Alexis de Tocqueville (Parigi, 29 luglio 1805 – Cannes, 16 aprile 1859) non deve essere soltanto annoverato uno dei padri della sociologia (assieme a Emile Durkheim), ma soprattutto alligna tra i più fini studiosi del pensiero liberale. Nato in una famiglia legittimista e realista, si avvicina ben presto a un’ideologia liberale grazie alla lettura dei grandi nomi dell’Illuminismo francese e, dopo la laurea in legge, viaggia in Italia. Tuttavia il pensatore francese non è passato alla storia per la registrazione delle sue impressioni di viaggio nel Belpaese, quanto per l’osservazione di quella che all’epoca era considerata la summa della democrazia, cioè gli StatiUniti.
Il suo viaggio americano è la sintesi di un momento difficile per Tocqueville: in Francia arriva al trono Luigi Filippo d’Orléans, fratello di quel Carlo X che aveva addirittura ripristinato l’uso medioevale del toccomagico. Il filosofo decide dunque di partire per l’America per studiarne il sistema carcerario (non bisogna dimenticare che era comunque un magistrato e riteneva la macchina giudiziaria francese inadeguata efarraginosa). La sua esperienza americana produsse, tra il 1835 e il 1840, il celebre saggio La democrazia in America. L’occasione del viaggio negli Stati Uniti fu forse soltanto un pretesto per confrontarsi a distanza con i guasti della società francese e per proporre dei correttivi basandosi sull’ordinamento americano. Che cosa aveva colpito il pensatore d’oltralpe nella sua ricognizione d’oltremanica?
Se, come sintetizza Hegel, lo Stato rappresenta l’ingresso di Dio nel mondo, la democrazia, sintetizza Tocqueville, rappresenta l’eguaglianza delle condizioni, oltre al governo e al potere devoluto al popolo. Eguaglianza è la parola chiave: non esistono privilegi per i più ricchi e per la Chiesa, come nella Francia Ancien régime. Il filosofo francese non può fare a meno di rilevare un pericolo: l’insorgere dell’individualismo, poiché questo processo comporta una riduzione della coesione sociale e spinge il singolo a sottrarsi al dominio della maggioranza. Per ovviare a questo problema è necessario istituire dei corpi intermedi (associazioni civili e politiche, etc.) per evitare l’insorgere di quello che lo studioso chiamava l’impero morale dellamaggioranza, con lo scopo di accrescere i legami tra i singoli. La celebre pursuit of happiness (ricerca della felicità), come recita il preambolo alla Costituzione USA, può avvenire soltanto in un paese siffatto.
La disamina del filosofo francese passa all’indagine di due aspetti essenziali nella società americana: la partecipazione e la religione. Per quanto riguarda il primo aspetto, il pensatore osserva come la vastità del territorio degli Stati Uniti favorisca una rete di partecipazione diffusa e consapevole, favorita anche dalla mancanza di barriere censitarie.
Menzione particolare merita la questione religiosa. Gli Stati Uniti, nel XVII secolo, nascono come luogo di accoglienza e tolleranza nei confronti dei puritani inglesi, che stavano sfuggendo dalle persecuzioni di Giacomo I; bisogna inoltre ricordare come uno principi costituzionali cardine della Costituzione americana è racchiuso nel Primo Emendamento, che impone la separazione tra Stato e Chiesa:
Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.
Tocqueville vuole esattamente questo modello: uno stato in cui non esista una religione prevalente (egli stesso si dichiara ateo), ma anzi, uno stato in cui governo temporale e spirituale siano completamente staccati per favorire il pluralismo (non siamo lontani al Libera Chiesa in libero Stato di Camillo Benso, conte di Cavour).
L’Italia dovrebbe imparare qualcosa da Alexis de Tocqueville in materia di diritti civili e libertà religiosa, in quanto sta diventando sempre di più uno stato etico, ma, al contempo, il filosofo francese stenterebbe a riconoscere l’America di Trump, e anzi la scambierebbe per la Francia Ancien régime. Perché libertà è partecipazione.
Andrea Di Carlo per MIfacciodiCultura