L’affermava come un’evidenza. La tradizione del suo popolo lo raccomanda senza ambiguità. Mon étranger c’est mon Dieu. Il Dio è uno straniero oppure lo straniero è lui stesso un dio. Non sapevano della via della seta cinese o delle vicende dell’Aquarius sulla via della Spagna. Seduto come un patriarca su una sedia di ferro il vecchio Lawali non aveva dubbi in proposito. Lo straniero, il suo straniero, è il suo dio. Un’ovvietà per la quale non c’è bisogno di spiegazione.
… C’è poi una signora di Niamey che lo ricorda con un certo rammarico. Qui nel Niger, mormora con un sospiro, ogni straniero è un re. Si tratta dello stesso concetto elaborato dalla sapienza con altre parole. Sarà anche vero ma intanto Agadez e il nord del Niger sono zone di caccia riservata. In Algeria prima si ruba il lavoro dei migranti, poi i loro averi e infine li si deporta nel deserto più vicino. La solidarietà africana non ha limiti e per questo le stesse frontiere cercano di migrare altrove. Un’analoga storia si sviluppa in Europa, in America, in Asia e persino nell’Oceania, che pure di mare e di isole se ne intende. Guerra dichiarata a chiunque si azzardi a prendere sul serio la propria missione divina. Portare contenitori di speranza senza etichette o data di scadenza. L’altro mondo vuole una migrazione concordata, sicura, ordinata e se possibile scelta. Intanto fomenta un’economia, una politica e una guerra permanente che tutto sono meno che ordinati. Impresa impossibile ordinare quanto prima si distrugge, rapina e sfrutta.