“Sei gay. Non è una malattia. Non sei contro la religione o l’Islam. Non  sei contrario alla tua cultura, allo stato o alla tua famiglia”. 
Cosa  significa essere queer in Medio Oriente e in Nord Africa? In un video  recentemente pubblicato da Human Rights Watch e Fondazione Araba per le  libertà e l’uguaglianza, alcune persone gay o trasgender, provenienti da  queste regioni, hanno raccontato gli ostacoli e le discriminazioni  subite a causa della propria sessualità.
Dove non è  esplicitamente una legge a condannare l’omosessualità – in Arabia  Saudita o in Yemen, per esempio, si può addirittura rischiare la pena di  morte, mentre altrove, come in Algeria, la pena prevista è la  detenzione – è lo stigma sociale a isolare e discriminare le persone  queer nei Paesi a maggioranza islamica.
All’intolleranza, loro  rispondono raccontandosi, raccontando la propria storia, cercando –  soprattutto attraverso la rete – di raggiungere altre persone e superare  le frontiere. Il titolo del video è emblematico. “No longer alone”,  “mai più soli”: la comunità LGBT sta cercando di sviluppare movimenti  nazionali e regionali per combattere l’omofobia e la transfobia. Con  ottimismo, perché qualche passo in avanti già è stato fatto.
Chi  nascondendo il volto, chi puntando gli occhi nella telecamera, come il  cantante della band indie rock libanese Mashrou’ Leila, Hamed Sinno. Proprio durante un loro concerto al Cairo, alcuni spettatori hanno  sventolato la bandiera arcobaleno, subendo una pesantissima repressione  dalla polizia nei giorni successivi, culminata con l’arresto di un  ragazzo, condannato a sei anni di carcere per aver “promosso  dissolutezza”.
Storie di calvari e di accettazione. “Sono passato  dal pensare al suicidio al dirlo ai miei genitori e all’accettarmi. I  cambiamenti richiedono tempo, non arrivano facilmente e bisogna essere  pazienti. Ma non sei solo, sei con noi. Incontrerai molte persone,  eterosessuali, omosessuali, bisessuali, che saranno dalla tua parte. Non  sei solo”, è il messaggio di Omar, un ragazzo iracheno.
Rima,  una ragazza bisessuale libanese, ribadisce: “Figure religiose, governo, i  tuoi genitori: tutti vogliono avere voce in capitolo su ciò che fai tra  le tue gambe. Voglio dirti che non sono affari loro e che il tuo corpo,  i tuoi desideri e le tue idee sono solo tuoi. Se non gli piace quello  che sei, hanno torto”.
“Sono un umano come tutti gli altri e ho  dei diritti. Difenderò questi diritti”, è la dichiarazione di Ahmed, un  uomo gay libico.
Molti stati arabi hanno ereditato leggi contro  l’omosessualità dai codici coloniali francesi o britannici. In Giordania  e Bahrain sono stati approvati nuovi codici dopo l’indipendenza, ma in  molti altri Paesi sono stati mantenuti quelli di epoca coloniale.
In  altri casi, le leggi contro le relazioni omosessuali o le persone  transgender derivano da una particolare interpretazione della sharia,  anche se non c’è uniformità all’interno della regione. Generalmente,  però, tra le pratiche sessuali bandite dalla legge islamica c’è il sesso  fuori dal matrimonio (zina), l’adulterio e le relazioni omosessuali.
In  Algeria, Marocco, Oman, Tunisia, Siria, Yemen e parte della Palestina  (Gaza), le leggi proibiscono esplicitamente atti sessuali tra persone  dello stesso sesso, senza distinzioni di genere. Anche in Mauritania non  sono legali rapporti omosessuali. Il sesso tra uomini è punito con la  morte per lapidazione pubblica, mentre le donne incorrono in una pena  attenuata.
In Kuwait, in Sudan e in parte degli Emirati Arabi  Uniti (Dubai), ci si riferisce solo agli uomini, ai quali è vietato  compiere “liwat” (sodomia). Nei codici di Libano, Siria e parte degli  Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi), è proibito il sesso “innaturale”  vagamente definito. Leggi che fungono da pezze d’appoggio per  criminalizzare le relazioni omosessuali.
Terreno più insidioso  sono invece le leggi di “moralità”, che perseguono comportamenti  vagamente definiti “indecenti” o “immorali”. Proprio questi articoli  vengono utilizzati per reprimere rapporti consensuali tra persone dello  stesso sesso. E’ il caso dell’Egitto, in cui una legge che vieta la  “dissolutezza” – inizialmente nata per criminalizzare il lavoro sessuale  – è stata utilizzata dalle autorità per arrestare centinaia di persone  omosessuali fin dagli anni ’90.
Come se non bastasse, in Kuwait e  negli Emirati Arabi Uniti viene anche esplicitamente condannata la non  conformità di genere. Ai due Paesi si è recentemente e tristemente  aggiunto anche l’Oman, introducendo una clausola retrograda nel suo  nuovo codice penale che punisce ogni uomo che “sembra vestirsi con abiti  femminili”.
Al rischio di essere emarginati dall’omofobia, la  campagna di Human Rights Watch risponde alzando la voce. Mai più soli, e  mai più in silenzio.
