venerdì, Novembre 22, 2024

LGBT araba spiegano cosa significa essere queer nel mondo musulmano

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
“Sei gay. Non è una malattia. Non sei contro la religione o l’Islam. Non sei contrario alla tua cultura, allo stato o alla tua famiglia”
Cosa significa essere queer in Medio Oriente e in Nord Africa? In un video recentemente pubblicato da Human Rights Watch e Fondazione Araba per le libertà e l’uguaglianza, alcune persone gay o trasgender, provenienti da queste regioni, hanno raccontato gli ostacoli e le discriminazioni subite a causa della propria sessualità.

Dove non è esplicitamente una legge a condannare l’omosessualità – in Arabia Saudita o in Yemen, per esempio, si può addirittura rischiare la pena di morte, mentre altrove, come in Algeria, la pena prevista è la detenzione – è lo stigma sociale a isolare e discriminare le persone queer nei Paesi a maggioranza islamica.

All’intolleranza, loro rispondono raccontandosi, raccontando la propria storia, cercando – soprattutto attraverso la rete – di raggiungere altre persone e superare le frontiere. Il titolo del video è emblematico. “No longer alone”, “mai più soli”: la comunità LGBT sta cercando di sviluppare movimenti nazionali e regionali per combattere l’omofobia e la transfobia. Con ottimismo, perché qualche passo in avanti già è stato fatto.

Chi nascondendo il volto, chi puntando gli occhi nella telecamera, come il cantante della band indie rock libanese Mashrou’ Leila, Hamed Sinno. Proprio durante un loro concerto al Cairo, alcuni spettatori hanno sventolato la bandiera arcobaleno, subendo una pesantissima repressione dalla polizia nei giorni successivi, culminata con l’arresto di un ragazzo, condannato a sei anni di carcere per aver “promosso dissolutezza”.

Storie di calvari e di accettazione. “Sono passato dal pensare al suicidio al dirlo ai miei genitori e all’accettarmi. I cambiamenti richiedono tempo, non arrivano facilmente e bisogna essere pazienti. Ma non sei solo, sei con noi. Incontrerai molte persone, eterosessuali, omosessuali, bisessuali, che saranno dalla tua parte. Non sei solo”, è il messaggio di Omar, un ragazzo iracheno.

Rima, una ragazza bisessuale libanese, ribadisce: “Figure religiose, governo, i tuoi genitori: tutti vogliono avere voce in capitolo su ciò che fai tra le tue gambe. Voglio dirti che non sono affari loro e che il tuo corpo, i tuoi desideri e le tue idee sono solo tuoi. Se non gli piace quello che sei, hanno torto”.

“Sono un umano come tutti gli altri e ho dei diritti. Difenderò questi diritti”, è la dichiarazione di Ahmed, un uomo gay libico.

Molti stati arabi hanno ereditato leggi contro l’omosessualità dai codici coloniali francesi o britannici. In Giordania e Bahrain sono stati approvati nuovi codici dopo l’indipendenza, ma in molti altri Paesi sono stati mantenuti quelli di epoca coloniale.

In altri casi, le leggi contro le relazioni omosessuali o le persone transgender derivano da una particolare interpretazione della sharia, anche se non c’è uniformità all’interno della regione. Generalmente, però, tra le pratiche sessuali bandite dalla legge islamica c’è il sesso fuori dal matrimonio (zina), l’adulterio e le relazioni omosessuali.

In Algeria, Marocco, Oman, Tunisia, Siria, Yemen e parte della Palestina (Gaza), le leggi proibiscono esplicitamente atti sessuali tra persone dello stesso sesso, senza distinzioni di genere. Anche in Mauritania non sono legali rapporti omosessuali. Il sesso tra uomini è punito con la morte per lapidazione pubblica, mentre le donne incorrono in una pena attenuata.

In Kuwait, in Sudan e in parte degli Emirati Arabi Uniti (Dubai), ci si riferisce solo agli uomini, ai quali è vietato compiere “liwat” (sodomia). Nei codici di Libano, Siria e parte degli Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi), è proibito il sesso “innaturale” vagamente definito. Leggi che fungono da pezze d’appoggio per criminalizzare le relazioni omosessuali.

Terreno più insidioso sono invece le leggi di “moralità”, che perseguono comportamenti vagamente definiti “indecenti” o “immorali”. Proprio questi articoli vengono utilizzati per reprimere rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso. E’ il caso dell’Egitto, in cui una legge che vieta la “dissolutezza” – inizialmente nata per criminalizzare il lavoro sessuale – è stata utilizzata dalle autorità per arrestare centinaia di persone omosessuali fin dagli anni ’90.

Come se non bastasse, in Kuwait e negli Emirati Arabi Uniti viene anche esplicitamente condannata la non conformità di genere. Ai due Paesi si è recentemente e tristemente aggiunto anche l’Oman, introducendo una clausola retrograda nel suo nuovo codice penale che punisce ogni uomo che “sembra vestirsi con abiti femminili”.

Al rischio di essere emarginati dall’omofobia, la campagna di Human Rights Watch risponde alzando la voce. Mai più soli, e mai più in silenzio.
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