Intervista. Il regista  Robyn Spencer e la docente Stanley Nelson  analizzano il movimento.
Nel 2016, in occasione del 50° anniversario della fondazione del  Black Panther Party, sono state organizzate negli Stati Uniti decine di  iniziative per approfondire e celebrare la storia delle Pantere Nere.
Da segnalare anche l’uscita del pluripremiato documentario I am not your negro di Raoul Peck, regista anche de Il giovane Karl Marx.
Negli scorsi mesi ho incontrato a New York il regista e produttore Stanley Nelson, autore del documentario “The Black Panthers: Vanguard of the Revolution” e la professoressa Robyn Spencer, esperta di storia del movimento  afro-americano e promotrice dell’Intersectional Black Panther Party  History Project (IPHP).
Spencer, insieme alle storiche A. LeBlanc-Ernest, T. Matthews e M.  Phillips, sta portando avanti un progetto educativo sul ruolo delle  donne e sull’identità di genere all’interno delle Black Panthers.
Cosa rimane oggi delle Black Panthers nella memoria storica degli afro-americani?
S.N.: Anche se il partito non esiste più, credo che le Black Panthers  rappresentino ancora una fonte d’ispirazione per le persone,  specialmente per i giovani che hanno creato un proprio movimento, come  il Black Lives Matter.
R.S.: Le Panthers rappresentano, nella memoria storica,  un’organizzazione di resistenza militante e un momento di unione degli  afro-americani della classe operaia negli Stati Uniti. Strinsero  alleanze internazionali per sfidare l’imperialismo americano. Le Pantere  per molti rappresentano una storia di ribellione, poiché reagirono  contro tutto ciò che opprimeva i poveri ed i lavoratori. La loro eredità  è presente e radicata in diverse comunità e nella società americana in  senso più ampio. Penso ad esempio al breakfast program, ai  programmi per la salute e alle criticità del sistema carcerario. Diversi  membri sono ancora oggi incarcerati come prigionieri politici. Sebbene  l’esperienza delle Pantere si sia conclusa negli anni ’80, possiamo  considerarle un’organizzazione vivente perché i problemi che hanno  affrontato sono ancora presenti.
Il movimento femminista influenzò la politica delle Panthers?
S.N.: Credo che nel 1966 esistesse già un movimento femminista ma le  Pantere furono influenzate anche da molte rivoluzioni improvvise che  scoppiarono in America, a Cuba, in Cile e in altri Paesi dove le donne  rappresentavano una gran parte di quei movimenti. Le Pantere tentarono  in molti modi di raggiungere la parità tra uomo e donna all’interno del  partito.
R.S.: All’interno del Black Panther Party si svolgevano dibattiti sul  ruolo delle donne. Il femminismo giocò un ruolo importante anche se le  donne Panthers non si definivano necessariamente femministe, stavano  combattendo per una rivoluzione in senso più ampio e consideravano la  loro emancipazione come parte di questa lotta. C’era una forza che  cercava di rimetterle al loro posto e stavano cercando di combatterla.  In quel momento le donne erano in grado di conquistare il potere  all’interno del partito, sia come persone che come organizzatrici, ma  sicuramente dovettero affrontare il sessismo e la misoginia anche dentro  al movimento. Alcune donne vennero attaccate, fisicamente e  sessualmente, all’interno dell’organizzazione; penso comunque che in un  contesto più ampio sentissero di poter vincere la lotta per “passare in  testa”. Le Panthers permisero alle donne di avere più spazio e di  influenzare le politiche e le attività all’interno dell’organizzazione.
Quante persone le Panthers riuscirono a coinvolgere nelle loro attività?
S.N.: Probabilmente erano tra le cinque e le diecimila unità ma credo  che le Pantere coinvolgessero molte più persone perché incitavano  l’intera comunità afro-americana. Tutti conoscevano le Pantere Nere,  erano appoggiate anche dalla comunità dei bianchi di sinistra, dal  movimento studentesco e dal movimento delle donne. Una cosa che  mostriamo nel film sono gli asiatici americani che portavano cartelli  scritti in giapponese, cinese, o i latinos in spagnolo, a supporto delle  Pantere Nere.
R.S.: Il Black Panther Party aveva una base principale di circa  5/6mila membri negli Stati Uniti che svolgeva un lavoro politico  quotidiano efficace. Avevano molti altri sostenitori nel Paese, persone  che si offrivano volontarie, che sostenevano e beneficiavano dei loro  programmi comunitari, persone che leggevano il loro giornale, uno  strumento incredibilmente influente. Negli altri Paesi c’era chi voleva  emulare in qualche modo le Panthers. La loro influenza era quindi molto  più grande del loro numero effettivo di membri, ma anche in termini  numerici fecero un buon lavoro nel portare persone all’interno del  movimento che era in realtà un posto piuttosto pericoloso.
Le Black Panthers nacquero quando il Movimento per i Diritti  Civili concluse la sua esperienza e la brutalità della polizia aumentò.  Quali furono gli aspetti più rivoluzionari delle Pantere?
S.N.: Le Pantere avevano il fine di difendere se stesse e la comunità  dalla polizia. Credo che bisogna riflettere sul fatto che la brutalità  della polizia di cui stiamo parlando esisteva fin dai tempi dei  cacciatori di schiavi. Non si tratta di niente di nuovo, è qualcosa con  cui ebbero a che fare fin dai movimenti per i diritti civili. Il  rapporto tra afro-americani e polizia è un rapporto che si è  solidificato molto tempo fa, centinaia di anni fa e direi che è rimasto  piuttosto invariato. Le Pantere che abbiamo intervistato nel  documentario si sono assicurate che parlassimo anche con la polizia, con  l’FBI e con i relativi informatori che presero parte alla loro storia.
R.S.: Le Panthers furono rivoluzionarie in diversi modi. Penso al  modo in cui sfidarono le fondamenta della società statunitense.  Criticavano il capitalismo e si unirono alla gente della nuova sinistra  legata alle idee socialiste. Quindi, ad esempio, i loro programmi  comunitari non erano mirati esclusivamente a fornire assistenza  gratuita. Guardavano all’esempio cubano e la loro sfida, concretamente  rivoluzionaria, era costruire un modello alternativo, senza scopo di  lucro e in opposizione alle corporation, in termini di servizi  sociali. Attraverso il loro giornale inoltre misero i lettori in  condizione di comprendere le connessioni tra ciò che accadeva  nell’America nera ed i movimenti di liberazione in Africa e in America  Latina.
In termini di aggregazione, quanto furono determinanti per le Panthers il fascino estetico e la propaganda?
S.N.: Credo che facessero parte del movimento e nel documentario  parliamo di questi aspetti perché le Pantere erano ciò che apparivano,  erano abili nel controllare la loro immagine, immagine dalla quale la  gente era attratta.
R.S.: Le Panthers ebbero un forte impatto visivo, sia  nell’abbigliamento che nel modo di intendere il linguaggio politico, che  ancora fa parte della nostra lingua. Diedero alle persone coraggio e un  nuovo modello concettuale, qualcosa di cui avrebbero potuto avvalersi  nella lotta. Ripenso ai loro discorsi, al tono audace e beffardo contro  il potere. Non era solo la loro arte ad essere fenomenale, le loro opere  parlavano alla gente. Il lavoro culturale che svolsero ha avuto  sicuramente un impatto al di fuori delle mura dell’organizzazione.
Che relazione c’era tra religione e politica?
R.S.: Inizialmente non abbracciarono la religione. Più avanti nella  loro storia, negli anni ’70, fecero uno sforzo per raggiungere i  credenti. Quando iniziarono i loro programmi per la colazione verso la  fine dei ’60, erano spesso ospitati nelle chiese dai pastori  progressisti. Si trattava di un’alleanza strategica con i leader  religiosi, che aprivano le loro porte alle Panthers interessate a fare  un lavoro di comunità e un servizio sociale. Il messaggio spirituale  doveva essere collegato alla loro politica radicale.
Quali furono gli errori commessi dalle Pantere? La loro esperienza si concluse solo a causa della repressione dell’FBI?
S.N.: Penso che le Pantere abbiano commesso diversi errori, il primo  fra tutti è il fatto che nessuno fosse preparato agli attacchi dell’FBI.  L’organizzazione era governata rigidamente da regole, controllata da  vertici molto potenti e strutturata dall’alto verso il basso. Inoltre  non avevano un metodo per mediare i problemi all’interno del gruppo,  perciò andavano fuori controllo non appena questi si presentavano. Come  si vede nel film credo che le Pantere siano state distrutte  dall’esterno, da J. Edgar Hoover, dall’FBI e dalla polizia locale ma al  tempo stesso sono state distrutte dall’interno, dai sentimenti  individuali nella leadership delle Pantere.
R.S.: Il ruolo dell’FBI nella scomparsa delle Panthers fu  indiscutibile ma anche il modo in cui le Pantere gestirono i conflitti e  gli informatori interni fu determinante. La repressione ebbe un impatto  sul modo in cui le Pantere scelsero di interagire tra loro. Ci furono  diversi errori politici, alcuni dei quali derivavano dal marxismo o dal  centralismo democratico, altri dal modo in cui il potere opera nelle  organizzazioni.
(Fabrizio Rostelli, il manifesto                          NEW YORK, 12.05.2018)
