sabato, Aprile 20, 2024

Gideon Levy: l’esercito israeliano ha preso prima le sue gambe, poi la sua vita

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il tiratore scelto dell’esercito israeliano non poteva colpire la parte inferiore del corpo della sua vittima, Ibrahim Abu Thuraya. Il ventinovenne, che  lavorava lavando le macchine e viveva nel campo profughi di Shati a Gaza City, ha perso entrambe le gambe  durante un attacco aereo israeliano nell’ “operazione Cast Lead” del 2008. Usava  una sedia a rotelle per muoversi. Venerdì l’esercito ha terminato il lavoro: un tiratore scelto ha puntato alla sua testa e l’ha ucciso.

Le immagini sono orribili: Abu Thuraya sulla sua sedia a rotelle, spinto da amici, protesta contro la dichiarazione degli Stati Uniti che riconosce Gerusalemme come capitale di Israele; Abu Thuraya è a terra, striscia verso la recinzione dietro la quale è imprigionata la Striscia di Gaza; Abu Thuraya sventola una bandiera palestinese; Abu Thuraya alza entrambe le braccia in segno di vittoria; Abu Thuraya, portato dai suoi amici, sanguina a morte; Il corpo di Abu Thuraya è steso su una barella: The End.
Si può presumere che il soldato abbia compreso che stava sparando a una persona su una sedia a rotelle, a meno che non stesse sparando indiscriminatamente alla folla dei manifestanti.
Abu Thuraya non rappresentava un pericolo per nessuno: quale  pericolo poteva costituire un doppio amputato su una sedia a rotelle, imprigionato dietro una recinzione? Quanta malvagità  e insensibilità.
Abu Thuraya non è stato il primo, né sarà l’ultimo palestinese con disabilità a essere ucciso dai soldati delle Forze di Difesa Israeliane – i soldati più morali del mondo.
L’uccisione del giovane disabile è passato quasi senza menzione in Israele. È stato uno dei tre manifestanti uccisi venerdì, solo un altro giorno banale.
Si può facilmente immaginare cosa succederebbe se i palestinesi avessero ucciso un israeliano su una sedia a rotelle.
Che furore sarebbe scoppiato, inchiostro infinito versato sulla loro crudeltà e barbaria. Quanti arresti sarebbero risultati, quanto sangue sarebbe fluito in rappresaglia.
Ma quando i soldati si comportano in modo barbaro, Israele tace e non mostra alcun interesse. Nessuno shock, nessuna vergogna, nessuna pietà. Le scuse o l’espressione di rimpianti o rimorsi sono materia di fantasia. Anche l’idea di ritenere  responsabili i militari  di questo omicidio criminale, è considerata delirante.
Abu Thuraya era un uomo morto una volta che ha osato prendere parte alla protesta del suo popolo e il suo omicidio non interessa a nessuno, dal momento che era un palestinese.
La striscia di Gaza è stata chiusa ai giornalisti israeliani per 11 anni, quindi si può solo immaginare la vita di Shati prima della sua morte: come sia guarito dalle ferite in assenza di servizi di riabilitazione decenti nella Striscia assediata  e senza nessuna possibilità di ottenere protesi. Poteva solo muoversi su una vecchia sedia a rotelle non elettrica nei vicoli sabbiosi del suo accampamento;  ha continuato a lavare le auto nonostante la sua disabilità, ha continuato a lottare con i suoi amici nonostante la sua disabilità.
Nessun israeliano può immaginare la vita in quella gabbia, la più grande del mondo,  chiamata Striscia di Gaza. Fa parte di un esperimento di massa senza fine sugli esseri umani.
Si dovrebbero vedere i giovani disperati che si sono avvicinati alla recinzione nella manifestazione di venerdì, armati di pietre che non potevano arrivare da nessuna parte e che lanciavano attraverso le fessure nella recinzione  dietro la quale sono intrappolati.
Questi giovani non hanno speranza per le loro vite. Abu Thuraya aveva ancora meno speranza.
C’è qualcosa di patetico ma di dignitoso nella foto dove  alza la bandiera palestinese, pure nella  sua doppia detenzione: la sedia a rotelle e il  suo paese assediato.
La storia di Abu Thuraya è un riflesso accurato della sua gente. Poco dopo essere stato fotografato, la sua vita tormentata si è conclusa. Quando la gente grida ogni settimana: “Netanyahu a Maasiyahu [prigione]” qualcuno dovrebbe finalmente iniziare a parlare de L’Aia.
(Sintesi personale ad opera di BoccheScucite tratta da Gideon Levy, Haaretz, articolo in lingua inglese )

Supporta Don Paolo Zambaldi con una donazione con PayPal.

Ultimi post

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Dalla stessa categoria