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sabato, Ottobre 5, 2024

Scuola, una volta su due la parola gay in classe è usata come insulto. Anche dai professori

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).


A scuola più delle metà delle volte la parola gay è utilizzata come un insulto. Non lo fanno soltanto i bulli: talvolta anche i professori usano espressioni omofobe e non aiutano i giovani omosessuali, bisessuali o trans a sentirsi accettati. Lo hanno raccontato 1.117 studenti italiani tra i 13 e i 20 anni che hanno risposto al questionario online del Centro Risorse Lgbti con l’Associazione “Progetto Alice”, parte di uno studio europeo in partnership con la Columbia University di New York e l’organizzazione statunitense Gay, Lesbian & Straight Education Network. La ricerca è stata presentata venerdì a Torino in occasione dell’incontro annuale della rete Ready che raggruppa amministratori pubblici impegnati contro le discriminazioni dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Alla domanda “Quanto spesso senti la parola ‘gay’ usata in modo dispregiativo?” nel corso dell’ultimo anno di studi, il 22,5% risponde frequentemente e il 36,6% dice spesso, il 26,3 afferma di averla sentita qualche volta e meno del 15% risponde raramente o mai. Il 58,8% afferma di aver sentito altri commenti omofobi a scuola, il 24,8% ne ha sentiti soltanto qualche volta. La percentuale di chi ha sentito poche volte o mai frasi discriminatorie e insulti è sotto il 19%.

Questi comportamenti non vengono fatti dalla maggior parte degli alunni delle scuole: il 46% degli intervistati risponde che i commenti omofobi sono pronunciati da pochi studenti, il 37% afferma che sono soltanto alcuni a pronunciarli. Sorprende invece che anche gli insegnanti si lascino andare a certe espressioni. Il 3,1 degli studenti che hanno partecipato alla ricerca afferma che i docenti fanno commenti omofobici spesso e il 17,2 risponde che li fanno qualche volta. “Le scuole dovrebbero lavorare di più su questo ambito – riassume Valeria Roberti, project manager del Cento Risorse Lgbti – Il clima non sembra positivo e non è l’ambiente migliore per fare coming out”. Dai commenti che hanno scritto liberamente emergono le difficoltà con gli insegnanti: “Non ho però avuto il coraggio di dirlo a nessun professore perché sono sicuro che mi discriminerebbero”, ha ricordato uno di loro, mentre a una ragazza è capitato “di sentire commenti poco carini sulla comunità Lgbt da parte di un insegnante”: “Mi ha anche minacciato di dire ai miei genitori che sono lesbica (anche se io non avevo mai detto di esserlo, lo suppose da solo)”.

Ci sono poi quei docenti che, forse senza volerlo, denigrano: “A volte il professore di storia e filosofia ha fatto alcuni commenti omofobi/transfobici, sempre in modo molto leggero e come ‘scherzo’”. In generale “emerge che il ruolo dei docenti non è discriminatorio, ma è silente”, continua Roberti. D’altronde poche scuole dimostrano una sensibilità verso questi temi. Soltanto il 26% degli intervistati afferma che la loro scuola ha un regolamento contro i bulli, molestie e offese, il 15% risponde che non c’è e il 59% non sa se ci sia. In rarissimi casi questi regolamenti hanno riferimenti alle discriminazioni dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Spesso l’iniziativa è lasciata agli studenti, come i corsi sulle tematiche Lgbt alle cogestioni: “C’è stata molta partecipazione. È stato uno dei corsi più attivi – ricorda un partecipante al questionario – Purtroppo siamo solo noi studenti a parlare di queste tematiche e mai i professori”. “Ora che inizierò il liceo spero che le cose possano andare ancora meglio ma soprattutto di essere accettato e magari trovare qualche gruppo Lgbt della scuola”, si augura un giovane studente trans (Ftm) delle scuole medie che è riuscito a fare coming out con la sua prof d’italiano.

(Andrea Giambartolomei, Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2017)

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