sabato, Aprile 20, 2024

Il “talento” della libertà (Mt 25, 14-30)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).


“(…) Matteo racconta questa parabola per mettere in guardia la comunità cristiana che spesso è tiepida, a volte senza iniziativa; quando il cristiano si accontenta perché ha paura del cambiamento richiesto da nuove sfide o dalle mutate condizioni della società, somiglia al funzionario che sotterra se stesso insieme al proprio talento. Per questo perde perfino ciò che possiede: Il Regno è rischio e chi non vuole correre rischi, lo perde. L’evangelista chiede alla comunità cristiana di ogni tempo responsabilità, coraggio e soprattutto creatività. Quando ci si chiude in se stessi per paura di perdere il poco che si ha, si perde perfino quel poco, perché l’amore muore, la giustizia sparisce, la condivisione diventa egoismo. Il talento è tutto ciò che fa crescere la comunità, intanto che Gesù non è più tra di noi fisicamente, è come partito per un viaggio e ha affidato ai suoi discepoli, a noi, il compito di moltiplicare i doni che egli stesso ha consegnato a ciascuno.


Il terzo servitore non fa fruttare il talento anche perché ha un’idea sbagliata di Dio che vede come un padrone severo; né ha già dimenticato la generosità, perciò arriva a dire: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento». Un Dio così paralizza, terrorizza l’essere umano che si nasconde dietro l’osservanza pignola e meschina della legge, illudendosi che agendo in questo modo eviterà il giudizio. Quel che è peggio, il vero fallimento, è che un dio così ce lo inventiamo noi, lo costruiamo noi a nostra immagine e somiglianza per giustificare le nostre cattiverie e i nostri fallimenti, ostinandoci a non vedere il Dio Padre e Madre che continuamente si è rivelato nella storia e che Gesù è venuto a farci conoscere.


Chi ricerca il volto buono e misericordioso del Padre e si impegna a far crescere la comunità con i propri talenti, smette di essere servo e diventa signore, come ulteriore dono: «Servo buono e fedele prendi parte alla gioia del tuo padrone». Invece non c’è speranza per chi sotterra se stesso e il proprio talento: non c’è cosa peggiore che essere schiavo, e volere rimanere tale.”

(don Vitaliano Della Sala, Adista Notizie n° 36 del 21/10/2017)

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