venerdì, Novembre 22, 2024

Non arrendiamoci a “tacere e obbedire” (Nadia Urbinati)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Sembra che tutta la responsabilità sia dei cittadini. Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? La scienza non ha tutte certezze, quanto durerà la “temporanea” limitazione della libertà?

 

Ho letto su Facebook un messaggio molto eloquente: “Sì è vero, lo stato di diritto sta saltando; sì è vero, le nostre libertà sono decurtate al massimo. Ma si tratta di scegliere: o la vita o la libertà; e ancora più, o il sacrificio per gli altri o la nostra libertà”.  Dopo questo post, leggo il comunicato del governatore lombardo, che di fronte ai numeri dei contagi che non scendono, minaccia misure ancora più restrittive. Come mio padre si rivolgeva a me bambina, così Fontana si rivolge ai lombardi: “Amici, se non la capite con le buone bisognerà essere più aggressivi. I numeri non si riducono […]. Per ora lo chiediamo, se si dovesse andare avanti chiederemo al governo di emanare provvedimenti più rigorosi”.  Che provvedimenti saranno quelli “più rigorosi”? Che cosa c’è di “più rigoroso” dell’uscita con autocertificazione solo per i casi concessi?

Sembra di capire che la responsabilità di tutto ricada sui cittadini – abituati alla loro libertà, che reclamano il bisogno di fare un po’ di moto.  E dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? Vi è amnesia delle scelte prese in un recente passato, scelte che hanno maltrattato e indebolito il sistema sanitario pubblico?  Parliamo, per esempio, delle scelte della Regione Lombardia. Secondo i dati del Ministero della Salute (consultabili sul web) l’anno 2017 mostra questo: i ventilatori  polmonari erano 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Il rischio di collasso del sistema è già contenuto in questi numeri.

La responsabilità è l’arma che i cittadini nelle democrazie costituzionali hanno e che le norme, anche quelle che regolano un’emergenza come questa, presumono – non ci sono altre misure. Non si cono scorciatoie. Non c’è posto per la repressione militare e lo stato di polizia. In aggiunta, la nostra responsabilità non è illimitata e non può essere contrastata con la minaccia di maggiori repressioni.  Ma vi è anche un risvolto etico in questa politica della minaccia: non possiamo come cittadini accettare di portare sulle nostre spalle tutto il peso dei limiti del sistema sanitario – del resto deleghiamo le funzioni di governo, non governiamo noi direttamente. E le scelte dei governi, nazionali e regionali, devono essere contemplate nell’attribuzione dei livelli di responsabilità. E invece, non abbiamo sentito ancora una parola di autocritica.

Non dovremmo vergognarci di mettere in dubbio questa logica di un’escalation della repressione. Se la nostra libertà è il problema, allora c’è poco altro da dire.

Ci viene detto che reprimere e chiuderci in casa è una soluzione temporanea. Ma quanto durerà il “temporaneo”?  Gli scienziati non sembrano sicuri di saper dare una risposta certa – e sulle loro certezze si basano, invece, le scelte dei nostri governanti. Non conoscono ancora bene il modo in cui il virus si diffonde e come e se muta e spesso dissentono tra loro prendendosi anche a male parole in pubblico, come fanno i politici. Se la scienza sulla quale questo intero sistema di limitazione delle nostra libertà non ha certezza, perché scandalizzarsi tanto con noi profani che ci ostiniamo a cercare il sole e l’aria, e che stiamo lentamente andando in depressione? Dobbiamo per caso attendere il vaccino prima di uscire di casa? E dobbiamo sentirci in colpa per la resilienza di questo virus o subire reprimende da parte di chi ci governa per sollevare questi dubbi?

Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande.  Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un ‘vero’ in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!

Nadia Urbinati, huffingtonpost.it, 18.03.2020

Nadia Urbinati

Professor of Political Theory, Department of Political Science, Columbia University

Accademica, politologa e giornalista italiana naturalizzata statunitense. Professoressa di scienze politiche alla Columbia University di New York. Si occupa come ricercatrice del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora per diversi quotidiani nazionali italiani.

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