mercoledì, Dicembre 18, 2024

La Turchia libera i migranti E l’Europa comincia a tremare (Carlo Lania)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Frontiere aperte per 72 ore. Centinaia di profughi in marcia verso le frontiere. Subito blindate da Grecia e Bulgaria

 

Per i governi europei l’allarme scatta nella notte tra giovedì e venerdì quando, al termine di un consiglio di sicurezza straordinario, Recep Tayyip Erdogan decide che la Turchia non fermerà più i migranti che vogliono lasciare il Paese. «Non siamo più in grado di trattenere i profughi», annuncia un portavoce del governo. Una decisione che nelle intenzioni di Ankara dovrebbe durare solo 72 ore, che però sono più che sufficienti per popolare di incubi la notte di molti leader del Vecchio continente.

L’apertura delle frontiere è una ritorsione per l’uccisione di 33 soldati turchi avvenuta poche ore prima a Idlib, in Siria, colpiti dagli aerei di Bashar al Assad con il via libera della Russia. Un tentativo disperato, con cui Erdogan cerca di deviare l’attenzione di un’opinione pubblica interna stanca di vedere la Turchia sempre più isolata a livello internazionale, oltre che dei quasi quattro milioni di profughi presenti da anni nel Paese. Ma la decisione di aprire le porte ai migranti – più volte minacciata in passato da Ankara – è però anche un modo per tornare a ricattare l’Unione europea, che ha preso di mira la Turchia anche per le trivellazioni nel Mediterraneo.

La reazione dell’Europa alle minacce è immediata e, ovviamente, non tiene conto delle sorti dei migranti che intanto, fin da ieri mattina, hanno preso a marciare incolonnati verso i confini europei e ad affollare le stazioni degli autobus comprando biglietti per le linee dirette al confine. Come è successo a Istanbul, dove nella notte decine e decine di profughi hanno acquistato biglietti per i pullman diretti a Edirne, città vicina sia al confine greco che a quello bulgaro.

E proprio la Grecia è stata la prima a muoversi, preoccupata da un ulteriore aumento degli arrivi e con le isole dell’Egeo già sovraffollate all’inverosimile di profughi costretti a vivere in condizioni disperate. E lo fa con durezza annunciando un rafforzamento dei confini con la Turchia: «Non tollereremo ingressi illegali nel Paese», dice il premier Kyriakos Mitsotakis annunciando l’aumento delle pattuglie composte da poliziotti e militari lungo il fiume Evros e il confine terrestre con la Turchia, nel nord del Paese. Ma anche l’uso massiccio di filo spinato per rendere ancora più difficili i tentativi di attraversamento.

Nel frattempo non si va certo per il sottile per convincere chi non è desiderato a restarsene dall’altra parte della frontiera dove, non distante dalla città di Orestiada, nel corso della giornata si è creato un accampamento con 500 profughi. Gas lacrimogeni vengono usati dalla polizia che carica un gruppo di migranti, tra i quali anche donne e bambini, che approfittando dell’improvvisa sparizione delle guardie di frontiera turche nel pomeriggio prova ad attraversare il valico di Edirne-Pazarkule. «La Grecia non ha alcuna responsabilità per i tragici aventi in Siria e non sconterà le conseguenze delle decisioni prese dagli altri», annuncia Mitsotakis. Stessa linea inflessibile adottata anche dalla Bulgaria, altro paese confinante con la Turchia. «Siamo preoccupati dal fatto che le guardie di frontiera turche sono state ritirate», dice il premier Bjko Borisov che autorizzato l’invio di mille soldati lungo i 300 chilometri di confine con la Turchia. Misura che, come spiega il ministro della Difesa Krassimir Karakachanov, servono «per non far entrare neanche un singolo immigrato irregolare nel territorio bulgaro».

Come sempre, anche questa volta Erdogan alterna il bastone alla carota. E così l’apertura della frontiere viene fatta seguire da dichiarazioni più rassicuranti come quelle con cui una nota del ministero degli Esteri assicura che la politica di Ankara nei confronti dei migranti non cambierà. Parole che servono a tranquillizzare l’Unione europea dalla quale la Turchia ha già preso sei miliardi di euro per impedire ai profughi di partire e dalla quale vorrebbe come minimo un altro miliardo. Le prime reazioni di Bruxelles sono improntate al rigore: «Dal nostro punto di vista, l’accordo sui migranti del 2016 è sempre valido e ci aspettiamo pertanto dalla Turchia che rispetti i suoi impegni», annuncia un portavoce della Commissione europea. ma poi è tutto un susseguirsi di telefonate con esponenti del governo turco utili a cercare rassicurazioni promettendo un maggiore impegno nella ricerca di una soluzione al dramma siriano. «Ho parlato con il ministro degli Esteri turco, Mevlud Cavusoglu. La de-escalation resta la chiave per affrontare con efficacia le sfide sul terreno. La sofferenza umana e la perdita di vite devono finire» », annuncia a metà pomeriggio Joseph Borrell, rappresentante della politica Estera dell’Ue. «Ho ricevuto rassicurazioni sul fatto che la Turchia resta impegnata nell’accordo Ue-Turchia».

 

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