mercoledì, Dicembre 18, 2024

La Dichiarazione di Colonia (gennaio 1989): un documento che va letto e riletto!

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Proprio in questi giorni ho deciso di andare a riprendere in mano un documento che, lo devo ammettere, avevo un po’ dimenticato…

Un documento che criticava aspramente e direttamente, non tanto la persona di Giovanni Paolo II, quanto un clima autoritario, fondamentalista e bigotto che si era andato creando nella Chiesa ad opera sua (e dell’allora card. Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) e un sistema che zittiva ogni voce critica e  ostacolava in ogni modo l’applicazione del Concilio Vaticano II… una sorta di “Inverno polacco” (rigido e totalitario) da cui non siamo ancora usciti anche se comincia a vedersi qualche timidissimo segno di disgelo… 

 

don Paolo Zambaldi

 

Contesto: La “Dichiarazione di Colonia”, sottoscritta da 163 professori di teologia, uomini e donne, di lingua tedesca, condensa in brevi tratti riserve e interrogativi sull’allora situazione ecclesiale riguardanti la nomina dei vescovi, l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento per i professori di teologia, la scarso riconoscimento della dignità di coscienza dei fedeli. Firmata il 6 gennaio 1989 la dichiarazione è apparsa sul “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 27 gennaio 1989 e, in versione italiana, su “il Regno-Attualità” n. 4 del 15 febbraio 1989. Altri hanno in seguito aderito alla dichiarazione.
 
TESTO:
 
Dichiarazione di Colonia (gennaio 1989)
Per una cattolicità aperta, contro una cattolicità messa sotto tutela
 
Diversi avvenimenti occorsi nella nostra chiesa cattolica ci inducono a rendere pubblica la seguente dichiarazione. Tre sono i tipi di problemi che più ci angustiano:
1. Da parte della curia romana viene ostentatamente attuato a livello mondiale il piano di occupare sedi episcopali senza tenere presenti le proposte delle chiese locali e trascurando unilateralmente i diritti da loro acquisiti.
2. In tutto il mondo viene ripetutamente negata a teologhe e teologi l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento. Questa circostanza costituisce un attacco significativo e pericoloso alla libertà della ricerca e dell’insegnamento nonché alla struttura dialogica della conoscenza teologica, la cui importanza è stata ripetutamente posta in evidenza dal concilio ecumenico Vaticano II. La concessione dell’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento viene usata indebitamente in termini di provvedimento disciplinare.
3. Stiamo assistendo al tentativo, estremamente problematico, di far valere in modo inammissibile e al di là dei limiti dovuti la competenza magisteriale, oltre che giurisdizionale, del papa.
Quanto abbiamo potuto osservare in questi tre settori ci pare abbia un valore di segno rispetto al cambiamento in atto all’interno della chiesa postconciliare in termini di:
a. una strisciante trasformazione di struttura dei rapporti di competenza giurisdizionale vigenti all’interno della gerarchia,
b. una progressiva riduzione delle chiese locali a soggetti in regime di tutela;
c. un rifiuto dell’argomentazione teologica,
d. una riduzione dell’ambito di competenza dei laici all’interno della chiesa,
e. un antagonismo proveniente dall’alto e volto ad acuire i conflitti esistenti nella chiesa mediante il ricorso a provvedimenti disciplinari.
Siamo convinti che non ci è più consentito di tacere. Riteniamo che la presente dichiarazione sia necessaria:
– in ragione della nostra responsabilità per la fede cristiana,
– in funzione dell’esercizio del nostro servizio di maestri di teologia,
– a causa del rispetto che dobbiamo alla nostra coscienza,
– e in base alla solidarietà che dobbiamo a tutti i cristiani e cristiane che abbiano avuto occasione di scandalo dai recenti processi evolutivi in atto nella nostra chiesa o che addirittura abbiano perso la loro speranza in essa.
 
Nomine episcopali: il discutibile ruolo dei nunzi
 
I. Per quanto concerne le nuove nomine episcopali fatte da Roma in tutto il mondo e, in particolare, in Austria, nella Svizzera e qui a Colonia dichiariamo quanto segue:
1. Vi sono diritti acquisiti per tradizione e persino codificati che regolano la capacità di intervento delle chiese locali e che hanno caratterizzato sinora la storia della chiesa: appartengono alla vita della chiesa nella sua molteplicità.
2. Quando alcune nomine di vescovi o interventi analoghi (rilevabili nell’America latina, nello Sri Lanka, nella Spagna, nei Paesi Bassi, nella Svizzera e qui a Colonia) siano dovuti sovente ad analisi erronee o a sospetti, sì da presentarsi come misure disciplinari a carico delle chiese locali, è l’autonomia di queste ultime ad essere indebitamente coartata. L’apertura della chiesa cattolica alla collegialità tra papa e vescovi — che pur è stata uno degli avvenimenti centrali del concilio Vaticano II — viene soffocata attraverso un nuovo centralismo romano.
L’esercizio del potere che si manifesta nelle recenti nomine di vescovi contraddice la fraternità del Vangelo, le positive esperienze fatte nel processo di attuazione dei diritti di libertà nonché la collegialità dei vescovi.
La prassi attuale ostacola il processo ecumenico in punti essenziali.
Per quanto concerne poi il «caso di Colonia», riteniamo sia semplicemente scandaloso cambiare in corso di procedura il regolamento che disciplina l’elezione del vescovo. In tal modo è stata gravemente ferita la coscienza d’una correttezza procedurale.
L’autorevolezza e la dignità del papato richiedono una certa sensibilità nel rapporto con il potere e con istituti giuridici già convalidati.
La scelta dei candidati all’episcopato esprime in modo adeguato la molteplicità che configura la chiesa; la procedura di nomina non è una scelta privata del papa.
Il ruolo delle nunziature diviene oggi sempre più dubbio. Nonostante si siano accorciate le vie che consentono la comunicazione e la reciproca consultazione, la nunziatura si espone sempre più all’odiosità di un servizio informativo: attraverso una cernita unilaterale delle informazioni, essa crea sovente le deviazioni di cui è appunto alla ricerca.
In questi ultimi tempi l’obbedienza al papa, dichiarata e richiesta da parte dei vescovi e dei cardinali, acquista sempre più sovente l’aspetto di un’obbedienza cieca. L’obbedienza della chiesa al Vangelo comporta la disponibilità a un dissenso costruttivo (cf. Codex iuris canonici, can. 212, § 3). Invitiamo pertanto i vescovi a ricordarsi dell’esempio di Paolo che, pur mantenendo l’unità con Pietro, nella questione dell’evangelizzazione dei gentili afferma: «mi opposi a lui a viso aperto» (Gal 2,11).
 
Cattedre di teologia: per la libertà di ricerca
 
II. Per quanto concerne poi la assegnazione della cattedre di teologia e l’attribuzione della autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento, dichiariamo quanto segue:
Vanno rispettate la competenza e l’autorità del vescovo della chiesa locale — fondate su ragioni teologiche e in parte anche sancite da regimi concordatari — in materia di attribuzione o ritiro della autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento. I vescovi non sono organi esecutori del papa. L’attuale prassi viola nei rapporti intraecclesiali il principio della sussidiarietà in materia di manifesta competenza del vescovo locale in termini sia di dogmatica che di morale e costituisce una situazione intollerabile. Un’intromissione romana nell’attribuzione o nel rifiuto della autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento senza previa consultazione della chiesa locale o addirittura contro l’esplicita convinzione del vescovo locale rischia di minare ambiti di competenza affermatisi e positivamente consolidatisi.
Le obiezioni contro l’attribuzione della autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento e, tanto più, le decisioni in materia vanno debitamente motivate e provate in conformità alle norme in vigore nel mondo accademico. L’arbitrarietà in questo settore pone in discussione l’esistenza delle facoltà di teologia cattolica nelle università statali.
Non tutti gli insegnamenti della chiesa sono caratterizzati sul piano teologico dallo stesso grado di certezza e dalla stessa importanza. Ci opponiamo a una prassi che, nell’attribuzione o nel rifiuto della autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento, viola questa dottrina dei gradi di certezza teologica e della contestuale «gerarchia delle verità».
Determinati problemi inerenti a settori particolari e specifici della dogmatica e dell’etica non possono venir arbitrariamente montati quali criteri di individuazione della fede, mentre invece ad atteggiamenti morali direttamente connessi alla pratica della fede (ad esempio l’opposizione alla tortura, alla segregazione razziale o allo sfruttamento) non viene attribuita — a quanto pare — la stessa importanza teologica in termini di ricerca della verità.
Il diritto delle facoltà e degli istituti universitari a integrare i propri organici ricorrendo alla scelta di nuovi docenti non può essere completamente minato mediante un esercizio arbitrario della potestà d’attribuire o rifiutare l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento. Il fatto che nelle università la scelta dei docenti di teologia venga fatta in base a criteri estranei alla scienza e sotto la pressione dei problemi sovramenzionati comporta uno scadimento della dignità della teologia nell’ambito universitario.
 
Insegnamento morale: il ruolo della coscienza
 
III. Per quanto concerne infine il tentativo di far valere in modo indebito la competenza del magistero pontificio, dichiariamo quanto segue.
In recenti allocuzioni indirizzate a teologi e a vescovi il papa ha ribadito la contestualità esistente tra la dottrina in vigore in materia di regolazione delle nascite e alcune verità fondamentali della fede (quali la santità di Dio e la salvezza mediante Gesù Cristo) senza fare peraltro alcun riferimento ai gradi di certezza e alla diversità d’importanza delle affermazioni del magistero; tale contestualità vi viene anzi definita in modo tale che quanti critichino l’insegnamento pontificio sulla regolazione delle nascite si debbano confrontare con l’accusa di «attaccare le strutture portanti e fondamentali della dottrina della chiesa», anzi, addirittura di incorrere, nell’appellarsi alla dignità della coscienza individuale, nell’errore di «negare validità alla croce di Cristo», di voler «rendere nullo l’arcano di Dio» e di misconoscere la «dignità dell’uomo».
I concetti di verità fondamentale e di rivelazione divina vengono usati dal papa per sostenere una dottrina estremamente specifica che non può essere fondata né ricorrendo alla sacra Scrittura né rifacendosi alle tradizioni della chiesa (cf. allocuzioni del 15 ottobre e del 12 novembre 1988).
La contestualità esistente tra le verità — cui il papa si riferisce — non significa però che esse siano tutte uguali o dotate di pari importanza. Il concilio Vaticano II afferma ad esempio nel Decreto sull’ecumenismo (n. 11): «Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (EV 1/536).
Analogamente vanno rispettati i diversi gradi di certezza delle affermazioni teologiche e il limite della conoscenza teologica in questioni attinenti l’antropologia medica.
Il magistero pontificio ha anzi riconosciuto alla teologia la dignità di verificare gli argomenti cui esso debba ricorrere nella affermazioni e nelle norme di carattere teologico. Questa dignità non può essere violata mediante un divieto della libertà di pensiero e di parola. Una valutazione scientifica deve poter fruire dell’argomentazione e della comunicazione.
La coscienza individuale non è un surrogato del magistero pontificio, come invece potrebbe sembrare sulla base delle allocuzioni citate. Il magistero è anzi vincolato — nella sua interpretazione della verità — anche alla coscienza individuale dei credenti. Neutralizzare la tensione tra dottrina e coscienza significa negare la dignità della coscienza.
A parere di molte persone appartenenti alla chiesa, la norma sancita dall’enciclica Humanae vitae del 1968 in materia di regolazione delle nascite rappresenta semplicemente un orientamento che non sostituisce la responsabilità della coscienza dei fedeli. Molti vescovi — tra cui l’espiscopato tedesco nella Dichiarazione di Königstein del 1968 —e moralisti ritengono che tale posizione venga sostenuta a ragione da numerosi cristiani e cristiane poiché sono convinti che la dignità della coscienza non consista solo nell’obbedienza, ma anche e soprattutto nella responsabilità. Un papa che nei suoi interventi si richiama sempre più di frequente alla responsabilità dei cristiani e delle cristiane nell’ambito dell’agire intramondano, non dovrebbe trascurare sistematicamente questa istanza in un punto talmente serio.
Ci rincresce peraltro che il magistero pontificio si sia così insistentemente fissato su quest’ambito di problemi.
 
Al servizio della chiesa anche nella critica
 
La chiesa è a servizio di Gesù Cristo. Deve pertanto resistere alla continua tentazione di abusare del suo vangelo di giustizia, di misericordia e di fedeltà, ricorrendo a dubbie forme di dominio a salvaguardia del proprio potere. Essa viene intesa dal concilio come il popolo itinerante di Dio e come relazione di vita esistente tra i fedeli (communio) —non è quindi una città assediata e costretta a innalzare ancor più i propri bastioni, difendendosi con forza contro quanto le è interno ed esterno.
In ragione della nostra comune testimonianza condividiamo molte delle preoccupazioni che i pastori della chiesa nutrono per la presenza della chiesa nel mondo contemporaneo. La difesa delle chiese povere, la liberazione delle chiese abbienti dai loro lacci e la promozione dell’unità della chiesa sono finalità che comprendiamo e per cui ci impegniamo. I teologi che sono al servizio della chiesa hanno però al contempo il dovere di esprimere pubblicamente la propria critica quando l’autorità ecclesiastica faccia un uso erroneo del potere conferitole, contraddicendo di riflesso le finalità che la caratterizzano, compromettendo i progressi compiuti in favore della ecumene e revocando l’apertura operata dal concilio.
Il papa reclama la funzione dell’unità. Ha pertanto la mansione di conciliare le parti in situazione di conflitto: è quanto ha fatto, in modo peraltro eccessivo, nel caso di Marcel Lefebvre e dei suoi seguaci, nonostante che essi avessero posto fondamentalmente in questione il magistero. Non ha invece la mansione di acuire conflitti di importanza secondaria eludendo ogni tentativo di dialogo né di dirimerli unilateralmente ricorrendo agli strumenti del magistero e neppure di farne un elemento di discriminazione. Se il papa interviene in ambiti estranei alla sua funzione non può esigere obbedienza nel nome della cattolicità. In tal caso deve aspettarsi di venir contestato.
 
Le firme
 
Hanno sottoscritto:
 
Annen (Chur), Anzenbacher (Mainz), Artadi (Fribourg), Auer (Tübingen), Bachl (Salzburg), Bakker (Amsterdam), Bauer (Graz), Baumann (Reutlingen), Baumeister (Mainz), Baumgartner (Fribourg), Baumgartner (Regensburg), Becker (Mainz), Bernasconi (Genestrerio), Biesinger (Salzburg), Bitter (Bonn), Blank (Saarbrücken), Böckle (Bonn), Brantschen (Fribourg), Brieskora (München), Broer (Siegen), Brosseder (Köln), Brox (Regensburg), Bucher (Eichstätt), Busse (Duisburg), Cornélis (Nijmegen), Dautzenberg (Giessen), Deissler (Freiburg Denzler (Bamberg), Domann (Luzern), Döring (München), Eicher (Paderbon), Eid (Bamberg), Emeis (Osnabrück), Feifel (München), Feidman (Münster), Feneberg (Weingarten), Friedler (Freiburg), Friedli (Fribourg), Fries (München), Fuchs (Bamberg), Füglister (Salzburg), Garijo Guetnbe (Münster), Gasser (Chur), Goergen (München), Gollinger (Heidelberg), Görg (München), Grasmück (Bamberg), Grainacher (Tübingen), Gross (Tübingen), Gruber (Craz), Gründel (München), Haag (Luzern), Haarsma (Nijmegen), Hainz (Frankfurt), Halkes (Nijmegen), Halter (Chur), Hasenhüttl (Saarbrücken), Häring (Gars am Inn), Haring (Nijmegen), Heinzmann (München), Hengsbach (Frankfurt), Hoffmann (Frankfurt), Hoffmann (Bamberg), Hoffmann (Freiburg), Holderegger (Fribourg), Huizing (Nijmegen), Hunold (Tübingen), Hübner (Eichstätt), Hünermann (Tübingen), Imbach (Fribourg), Irsigler (Bamberg), Jendorff (Giessen), Kaczynski (München), Karrer (Fribourg), Keel (Fribourg), Keller (München), Kessler (Frankfurt), Kirchhofer (Chur), Klauck (Würzburg), Knobloch (Mainz), Kollmann (Dortmund), Korff (Münster), Köhler (Tübingen), König (Graz), Küng (Tübingen), Lang (Paderborn), Langer (Wien), Lengsfeld (Münster), Logister (Tilburg), Löning (Münster), Maisch (Freiburg), Merks (Tilburg), Mette (Paderborn), Metz (Münster), Meyer (Luzern), Mieth (Tübingen), Missalla (Essen), Molinski (Wuppertal), Müller (Luzern), Neuner (München), Nikolasch (Salzburg), Nocke (Duisburg), Oberlinner (Freiburg), Ohlig (Saarbrükken), Ollig (Frankfurt), Pesch (Mainz), Pfürtner (Marburg), Poulssen (Tilburg), Raske (Frankfurt), Rauh (Augsburg), Reifenberg (Bamberg), Reiterer (Salzburg), Richter (Münster), Rolfes (Kassel), Rolinck (Münster), Rombold (Linz), Schelbert (Fribourg), Schenke (Mainz), Schillebeeckx (Nijmegen), Schilling (Manchen), Schladoth (Münster), Schleinzer (Salzburg), Schlemmer (Passau), Schlater (Siegen), Schmid (Weingarten), Schmeed (Gars am Inn), Schneider (Mainz), Scholl (Heidelberg), Schulz (Passau), Schweizer (Tübingen), Sebott (Frankfurt), Seeliger (Siegen), Seidl (München), Selvatico (Fribourg), Siller (Frankfurt), Simonis (Würzburg), Spichtig (Chur), Stachel (Mainz), Steinkamp (Münster), Stendebach (Saarbrücken), Stenger (Innsbruck), Teichtweier (Würzburg), Türk (Niirnberg), Van Damme (Fribourg), Venetz (Fribourg), Vergauwen (Fribourg), Volz (Speyer), Walf (Nijmegen), Weger (München), Weimar (Münster), Werbick (Siegen), Wermelinger (Fribourg), Wiederholer (Liederbach), Wiederkehr (Luzern), Wieland (Tübingen), Willems (Nijmegen), Wohlmuth (Bonn), Zeller (Mainz), Zenger (Münster), Zerfass (Würzburg), Zinke (Weingarten), Zirker (Duisburg), Zwergel (Kassel).

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