A Natale Dio si fa uomo e a Pasqua l’uomo con la resurrezione si riappropria della propria dimensione, ri-assumendo la responsabilità di testimoniare il divino nel mondo, ri-accendendo, cioè, quella scintilla che distingue la sua “animalità” dagli altri viventi.
L’altro/a non è più solo compagno/a di branco, ma partecipa di un sistema alla cui costruzione entrambi sono chiamati a partecipare per imporre alla natura la dimensione dell’amore.
Per farlo è necessario morire come individui e risorgere come persone, cioè in una nuova dimensione in cui i rapporti naturali, familiari ed etnici, diventano sociali e politici.
In questo “quotidiano”, fatto di scelte di vita e di gesti condizionati dal bisogno di ciascuno/a di garantirsi sopravvivenza e sviluppo, deve generarsi un comportamento ispirato al comandamento dell’amore.
Al suo interno, l’altro diventa “prossimo” anche se fa scelte diverse, opposte e in concorrenza con le nostre.
Vivere questa “prossimità” all’insegna dell’amore significa non gravare di odio e di disprezzo gli inevitabili dissensi e i probabili conflitti scaturiti dalle diversità di opinione e dai contrasti di interessi.
E’ questa la misura dell’autenticità della nostra fedeltà alla professione di fede. Le dispute teologiche, frutto della pretesa di attingere all’inconoscibile o della presunzione di essere signori del mondo, ci illudono e ci distraggono dall’essenziale, dal reciproco riconoscimento del diritto a non essere “giudicati” per le idee, e ad essere “valutati” per i fatti, cioè per l’amore che nutriamo per l’altro, con il suo bagaglio di idee e il suo carico di comportamenti.
Rispettare questo diritto è la premessa per avviarsi sulla via dell’amore predicato da Gesù come condizione per seguirlo.
La ricorrenza della Pasqua è l’occasione per interrogarci se stiamo veramente camminando su questa difficile strada e verificare quanta ne abbiamo percorsa.