mercoledì, Dicembre 18, 2024

Venezuela, petrolio, democrazia: pesi e misure

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Lo scenario internazionale mette in scena un copione già visto: improvvisamente appare un “dittatore” (in questo caso, Maduro) che sta opprimendo il suo popolo (quello venezuelano) e il cui “regime” bisogna abbattere in nome della democrazia. Ecco come colpire e affondare questa narrativa.

Di per sé già la cosa puzza, soprattutto se andiamo a vedere come è finita nei casi precedenti (Iraq e Libia per citare gli ultimi).

Ma il caso Venezuela è un buon esempio per osservare alcune altre cose che sfuggono all’analisi mediatica e, spesso, anche a quella politica: ambedue le analisi sono infatti dedite alla “distazione di massa” più che a una corretta e ponderata informazione.

Democrazia?

La contestazione al Presidente Maduro è in primo luogo basata sulla presunta mancanza di democrazia.

Ci mettiamo alla ricerca e scopriamo, con un certo stupore, che non esiste un ente internazionale che “certifichi”, in qualche modo e in base a qualche criterio, se un’elezione è democratica o meno, o quanto lo è. Se ce lo potessimo permettere proporremmo di fondare un “osservatorio internazionale sulla democrazia nel mondo”  che cerchi criteri abbastanza oggettivi e faccia dei rapporti; in questo caotico mondo potrebbe essere utile.

Sul Venezuela, e limitandosi alle ultime due elezioni, dati alla mano potremmo dire due semplici cose: Maduro è stato eletto in una competizione elettorale a cui hanno partecipato altri tre candidati di opposizione e ha votato il 46% della popolazione. Ha vinto con oltre il 67% dei voti espressi, quindi con più 30% dei voti teorici; Trump è stato eletto con meno consensi (il 45% di un’affluenza del 55%). Alle elezioni parlamentari del 2015 ha invece vinto l’opposizione conquistando la famosa maggioranza parlamentare. Domanda: qualcuno ricorda un “regime dittatoriale” in cui ha mai vinto l’opposizione alle elezioni? Inoltre, la commissione elettorale è sempre la stessa: è partigiana quando vince il governo e “onesta” quando vince l’opposizione?

Mi sono preso la briga di prendere l’elenco dei 15 principali paesi possessori di riserve petrolifere e dare un occhio ai loro sistemi istituzionali: tre sono monarchie assolute, una è una monarchia parlamentare, ci sono un paio di paesi africani dove in uno il presidente è da vent’anni membro della stessa famiglia, in un altro alle ultime “elezioni” il partito del presidente-dittatore ha preso il 97% dei voti (sic). A qualcuno dei monarchi, dittatori o presidenti dinastici è stata mossa accuse di poca democrazia? Qualcuno ha proposto di eleggere al posto del monarca qualche oppositore?

Petrolio?

Non ho scelto a caso i paesi con le massime riserve di petrolio. Il Venezuela è in testa, con il 25% circa delle riserve. Ma si può consultare un’altra tabella, quella dei produttori di petrolio, dove invece sono in testa gli USA. Curiosamente quelli che per primi hanno riconosciuto Guaidó.

Passiamo dunque a guardare un’altra tabella a dir poco curiosa, quella del prezzo del petrolio negli ultimi anni. Un grafico di crescita che sembra copiato dalle montagne russe e che necessita di alcune spiegazioni: la prima caduta verticale del prezzo del petrolio corrisponde alla famosa crisi della bolla finaziaria. La seconda, quella che sta rovinando da quattro anni l’economia del Venezuela, dipende dalle decisioni dell’OPEC di far scendere artificialmente il prezzo del petrolio. Perché? Secondo analisti di differenti tendenze, è per contrastare i progressi nel mercato della vendita dello shale oil, un tipo di petrolio estratto grazie alle tecniche di fracking. Il fracking permette di estrarre del petrolio che non sarebbe estraibile con i sistemi tradizionali ma è molto più caro del sistema classico: se mantieni il prezzo del barile sotto i $60, il fracking non è più conveniente. Chi è il primo produttore mondiale di shale oil? Gli Stati Uniti, naturalmente. Chi ci ha rimesso di più economicamente nel tenere bassi i prezzi del petrolio? Venezuela e Iran (un altro “stato canaglia”). Così sembra che all’OPEC (dove comanda l’Arabia Saudita, secondo paese per riserve) abbiano fatto una mossa che faceva fuori il primo e il terzo paese per riserve e il primo produttore nel mondo. Quest’ultimo (USA)  poteva forse pensare (il paese o forse, meglio, le potenze finanziarie e speculative che lo manovrano) che il modo migliore di risolvere il problema fosse mettere le mani su un quarto delle riserve di greggio disponibili (Venezuela).

Cosa comporta questo brusco calo del prezzo del 2015? Comporta che il governo bolivariano ha la metà di soldi in mano. Come aggravante già subisce embarghi più o meno ufficiali sui macchinari che servono per estrarre il petrolio (il petrolio venezuelano è di un tipo particolarmente difficile da estrarre) e quindi diminuisce anche la produzione.

Di conseguenza il sistema di sussidi sociali, il sistema sanitario e  educativo che sono alla base della società bolivariana entrano in crisi perché hanno la metà dei soldi e questa crisi, oltre ad altre manovre speculative sul cibo e sui generi di prima necessità, produce malcontento sociale su cui la destra soffia, alimentandolo e generando situazioni di insicurezza sociale, attacchi violenti e disordini che aumentano il clima di violenza presente nel paese.

Col senno di poi possiamo criticare il governo Maduro per non aver saputo prevedere questo disastro e non aver trovato in tempo le contromisure. Nel frattempo qualcuno dice qualcosina all’Arabia Saudita che, oltre ad essere una retrograda monarchia assoluta e un paese guerrafondaio che ha generato ad arte una guerra civile in Yemen,  viola sistematicamente i diritti umani e il cui illuminato sovrano ha permesso alle donne di andare allo stadio a vedere la finale di supercoppa italiana, purché accompagnate da un uomo?

Il parlamento europeo ha appoggiato il capo dell’opposizione saudita? No, perché il capo dell’opposizione saudita non c’è. L’ultimo di cui si è sentito parlare è stato decapitato parecchi anni fa.

Se un paese viola le leggi internazionali stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite, sottoscritta da tutti, esiste la Corte Internazionale di Giustizia che è un ente preposto a giudicare questi casi. In quella carta sono ben scritti i principi di non-ingerenza negli affari interni e quello di divieto di violazione della sovranità nazionale. Lo sanno bene le forze armate israeliane che passano il tempo a fare incursioni in Siria per attaccare postazioni iraniane (le quali sono state installate in quel paese col permesso del governo locale); da quest’anno lo dichiarano apertamente, mentre prima smentivano che fosse successo. C’è stata una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dopo l’ultima violazione?

Potremmo in base a questi dati e queste semplici osservazioni dichiarare che ci sono due pesi e due misure che la comunità internazionale usa quando si tratta di giudicare i paesi.

Esistono evidentemente altri poteri che regolano la comunità internazionale; personalmente sono incline a pensare che siano sempre meno geopolitici e sempre più legati a aspetti della speculazione finanziaria che sfuggono all’analisi e che a volte sono aleatori scontri tra bande che non vediamo, e che non vedremo mai.

Ma quello che può fare ognuno è disipnotizzarsi dalle armi di distrazione di massa.  Quest’articolo l’ho scritto mettendomi a un computer, studiando su internet, mandando qualche mail a qualche amico che ne sa più di me; ma soprattutto ponendomi domande e cercando risposte plausibili.

Forse è più facile sedersi in poltrona e bersi tutto quello che dicono… ma pensare, studiare e fare relazioni lo trovo più divertente, e più utile a me stesso e agli altri.

 

2 febbraio 2019, Olivier Turquet (Caporedattore, Pressenza Italia)
Fonte: https://www.pressenza.com/it/2019/02/venezuela-petrolio-democrazia-pesi-e-misure/ – 01 febbraio 2019

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