Il dibattito seguito alla decisione di nominare Giovanni XXIII patrono dell’Esercito Italiano stimola una riflessione più profonda su alcune questioni: guerra giusta, pace, esercito, cappellani militari…
L’intervento di don G.Praticò non fa che confermare l’ambiguità con la quale la Chiesa istituzionale concilia Vangelo e violenza, missionarietà e potere, presbiterato e carriera militare…
(don Paolo Zambaldi)
“La Chiesa ordinariato militare è «Chiesa di Cristo che, sotto la presidenza del vescovo ordinario militare, con la predicazione del Vangelo e la celebrazione dell’eucaristia, offre il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza». «Da questa salvezza devono essere esclusi i fedeli che hanno scelto di servire nelle forze armate?», si domanda Praticò. «Chi siamo noi, o chi è un’associazione come Pax Christi a decidere sulla salvezza delle anime escludendone alcuni o includendone altri? Non siamo e formiamo tutti l’unico popolo di Dio?».”
Alcune precisazioni di don Giuseppe Praticò, cancelliere della diocesi di Reggio Calabria, sulla scelta dell’Ordinariato militare di nominare Giovanni XXIII patrono dell’Esercito. (Da: Roncalli patrono dell’esercito: decreto “dal senso alto e profondo”, procedura legittima, Vatican Insider News, 30/09/2017)
“A parte che la guerra è sempre criminale in sé e per sé (poiché affida alla forza la soluzione di un problema di diritto); a parte che essa è sempre mostruosamente sproporzionata (per il sacrificio che richiede, contro i risultati che ottiene, se pur li ottiene); a parte che essa è sempre una trappola per la povera gente (che paga col sangue e ne ricava i danni e le beffe); a parte che essa è sempre antiumana e anticristiana (perché si rivela una trappola bestiale e ferisce direttamente lo spirito del Cristianesimo); a parte che essa è sempre inutile strage (perché una soluzione di forza non è giusta; e sempre comunque apre la porta agli abusi e crea nuovi scontri): qual è la guerra giusta e quella ingiusta? Può bastare l’affidarsi alla cronaca pura, alle semplici date, per stabilire chi attacca per primo, chi offende e chi si difende? […]
Grandi e belle realtà la patria, il popolo, la libertà, la giustizia… Ma esse van servite con la pace: ché la guerra ammazza la patria, la quale, se non è un nome vano, è fatta di cittadini, di case; immiserisce il popolo; fa servi di dittatori o stranieri; e con la miseria eccita furto, rapacità e sfruttamento… per cui l’ingiustizia aumenta. Chi ama veramente la patria le assicura la pace, cioè la vita: come chi ama suo figlio gli assicura salute. La pace è la salute di un popolo […].
Noi crediamo però che se qualcuno, costretto a battersi, avesse coscienza chiara e sicura di trasgredire il comandamento di Dio, e perciò si rifiutasse, non sarebbe solo una rivolta all’ordine temporale, sarebbe una fedeltà all’ordine eterno.Quando l’ordine temporale non obbedisce all’ordine eterno “è meglio obbedire a Dio che agli uomini”. Perché c’è anche il mito del dovere che può schiacciare l’uomo, ed è ben doloroso che proprio noi cristiani, difensori nati della persona umana, ce ne facciamo i divulgatori. Il bene è lo spazio vitale del dovere. Dove comincia l’errore o l’iniquità, cessa la santità del dovere, la sua obbligatorietà, e incomincia un altro dovere: il dovere di disobbedire all’uomo per rimanere fedeli a Dio[…].
Non è giunto ormai il momento, per la teologia, di individuare, di smascherare, di colpire tutte quelle forme mentali, quelle tacite acquiescenze, quelle attività criminose che preparano da lontano ma sicuramente le guerre? Non è giunta l’ora di denunciare energicamente tutte quelle storture blasfeme che tentano di trascinare Dio nei labirinti dell’agguato umano? E perché tanto pochi sono gli insegnamenti sopra il delitto di Caino moltiplicato all’infinito, quando tutto lo spirito e la lettera del Cristianesimo è pace, carità, primato dello spirito sulla materia, e soprattutto quando il Vangelo ha lanciato per primo il più realistico, attuale, evidente, dei moniti: “Chi di spada ferisce, di spada perisce”? […].
Se siamo un mondo senza pace, la colpa non è di questi e di quelli, ma di tutti. Se dopo venti secoli di Vangelo siamo un mondo senza pace, i cristiani devono avere la loro parte di colpa.
Tutti abbiamo peccato ogni giorno contro la pace.[…]. Se la colpa di un mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare, l’opera della pace non può essere che un’opera comune, nella quale i cristiani devono avere un compito precipuo, come precipua è la loro responsabilità.
Ogni sforzo verso la pace ha una sua validità: chiunque vi si provi dev’essere guardato con fiducia e benevolenza. Il politico può far delle cernite, porre delle pregiudiziali: il cristiano mai. Il cristiano non può rifiutare che il male, per comporre universalmente ogni cosa buona […].
Noi cristiani crediamo in una rivoluzione che preferisce il morire al far morire. Siamo persuasi che solo su questi principi si può fondare la pacifica convivenza dei popoli, noi accettiamo la stoltezza cristiana a costo di parere fuori della storia, che altrimenti continuerà a essere una catena di violenze […] e proponiamo:
di renderne pubblica testimonianza;
di accettare solo quei mezzi di fare la pace che non negano la pace, sia nei rapporti di nazione e di razza, che nei rapporti di classe e di religione, condannando egualmente qualsiasi strumento di ingiustizia e di sopraffazione anche se si presenta sotto il nome di dovere;
di creare un movimento di resistenza cristiana alla guerra, rifiutando l’obbedienza a quegli ordini, leggi o costituzioni che contrastano con la coscienza di chi deve preferire il comandamento di Dio a quello dell’uomo!
Se la guerra è un peccato, nessuno ha il diritto di dichiararla, neanche un’assemblea popolare. Se la guerra è un peccato, nessuno ha il diritto di comandare ad altri uomini di uccidere i fratelli. Rifiutarsi a questo comando non è solo sollevare un’obiezione, ma rivendicare ciò che è di Dio, limitando ciò che è di Cesare.
Mettendoci sul piano del Vangelo e della Chiesa, non rinunciamo a difendere la giustizia, né confondiamo il bene col male prendendo una attitudine rassegnata o neutrale. La “pecora” che non intende farsi “lupo” non dà ragione al lupo; lasciarsi mangiare è l’unica maniera di resistere al lupo come pecora e di vincerlo. Questo è un atto di fede tremendo. Ne abbiamo così piena consapevolezza che la prima testimonianza che domandiamo a Dio di poter dare è proprio questa: credere che la pace non si può fare senza questa fede, che è venuta l’ora di questa fede.”
don Primo Mazzolari, Tu non uccidere, 1955.