Oggi (13/10/2017) cadono i 100 anni dall’ultima “apparizione” di Maria a Fatima. Vi ripropongo, per riflettere assieme, un articolo apparso su Adista Segni Nuovi n° 23 del 24/06/2017 in occasione delle celebrazioni per il centenario del santuario portoghese.
don Paolo Zambaldi
Le recenti celebrazioni di Fatima ripropongono puntualmente alla coscienza del cristiano la riflessione su alcuni aspetti della propria fede. La Chiesa attribuisce grande rilievo al fatto che nelle “apparizioni” la Madonna privilegi la gente “semplice”, come i pastorelli di Fatima e la pastorella di Lourdes. Un particolare posto in risalto nelle storie di tali fenomeni, quasi che Dio continuasse ad aver timore della ”conoscenza” delle sue creature, privilegiasse la mancanza del sapere.
Un ripetersi del Mito funesto del peccato originale? Una esaltazione dell’ignoranza da ascrivere a valore e merito del credente? La Fede non mortifica la logica del pensiero che vuole l’essere umano simile al suo Creatore. Legare la “semplicità” delle Beatitudini alla mancanza d’istruzione è una mistificazione antievangelica. L’essere umano “cerca” Dio in modi diversi. Anni fa correva voce che gli scienziati di Princeton avessero trovato le prove dell’esistenza del Creatore scrutando i loro microscopi… il fisico Antonino Zichichi ne è oltremodo convinto osservando le sue “particelle”. Molti chiedono “conferme” ad eventi eccezionali. «Questa generazione perversa e spergiura aspetta segni dal cielo» (Mt 12,39), ammoniva il Maestro contro le provocazioni degli avversari. San Giacomo afferma che «senza le opere la Fede è morta» e, senza i dubbi, si potrebbe aggiungere, la Fede crea nuovi farisei.
Le apparizioni sono figlie della Storia. I fermenti politici e sociali dell’Europa a meta Ottocento e agli inizi del Novecento apparivano alle autorità ecclesiastiche come attentati alla religione, ai suoi valori. Minavano il potere della Chiesa. la Rivoluzione bolscevica del 1917 costituiva una sfida aperta al mondo religioso. Le apparizioni di Lourdes e, soprattutto, quelle di Fatima venivano a riproporre ai fedeli una devozione altrettanto politicamente orientata: una risposta alle minacce avvertite.
Le cosiddette apparizioni creano sconcerto nei credenti che nel Vangelo scoprono che la Fede è una conquista quotidiana che non si alimenta di eventi straordinari. I miracoli narrati nei sacri testi sono altra cosa dagli incantesimi di un san Gennaro e dal “fenomeno erzegovino” del sole che si dà alla danza. La stagione delle madonne piangenti fioriva, non a caso, grazie alla particolare devozione mariana di papa Wojtyla (Totus tuus) e con lui stesso, storicamente, veniva a concludersi.
Le statue che versavano lacrime di sangue costituivano un macabro fenomeno, spiritualmente destabilizzante.
La Chiesa restava chiusa in un silenzio accomodante e responsabile. Si ripiombava nella parte più oscura di un Medioevo pur ricco di stimoli e di uomini illuminati. A Medjugorje la madonna continua a lanciare messaggi di una banalità sconcertante. Il Dio onnisciente sembra riservare alla propria Madre un livello d’istruzione inadeguato alla sua autorevolezza, estraniato dal problemi reali della nostra umanità. Tutta la Chiesa dovrà fare chiarezza riguardo al fenomeno delle apparizioni, a cominciare dai santuari di Lourdes e di Fatima, luoghi storici del culto mariano.
Per rispetto della stessa immagine della Madre di Dio.
I misteriosi “segreti” di Lucia, in aperto contrasto con la logica della trasparenza evangelica, hanno esposto la lunga vicenda al ridicolo della telenovela. Giovanni XXIII, devotissimo di Maria, sminuiva palesemente ogni peripezia interpretativa di tali presunte profezie. Non si sfrutta la buona fede dei fedeli per paura di perdere i “clienti”. Dal Vangelo conosciamo e amiamo una figura diversa di Maria che nel suo Magnificat, quasi una Marianne della storia ebraica, rivela il programma di un Dio che si compromette energicamente nella storia dell’essere umano. Non si vuole far colpa alla pietà popolare: l’attenzione va rivolta a come vengono gestiti gli eventi, ridotti a vano trionfalismo se non a supermercato dello spirito e non solo «Spesso si tratta di raduni piissimi dove Dio non appare neppure come comparsa», ha scritto Francesco Merlo a proposito di Medjugorje. Le parole dirompenti e il linguaggio tagliente di Francesco non sembrano innestarsi con la dovuta efficacia in tali fenomeni. La predicazione del papa mira a preparare un ritorno alle origini della Chiesa… ad un Cristianesimo “vissuto” nella comunità, che non si esaurisca nella partecipazione a cerimonie trionfali e ai riti comandati. I suoi messaggi parlano a tutta l’umanità. Bergoglio non si limita a promuovere la spiritualità delle mitiche comunità cristiane ma entra prepotentemente anche nel campo sociale e politico. Condanna ripetutamente i mali della società, ma non ha soluzioni da offrire ai ricorrenti problemi che denuncia. I suoi pronunciamenti sembrano destinati a rimanere esortazioni moralistiche all’interno del mondo dei credenti. I ripetuti inviti alla preghiera, al rosario, non possono essere intesi come fuga dalle responsabilità personali, politiche. Più che una richiesta verso l’Alto, la preghiera è uno scavo impietoso nella propria coscienza. Gli anatemi che una volta la Chiesa scagliava (a vuoto) contro i peccati del sesso, Francesco ora li lancia contro il mondo del mercato. Ma il mercato non è un male in sé, è anche garanzia di sviluppo a favore dell’essere umano (Angus Deaton). Dei vantaggi del mercato si gode abbondantemente anche nelle stanze vaticane. Il male risiede nell’ingiusta ripartizione dei benefici dell’attività economica, nello sfruttamento del lavoro umano. Il discorso attiene al mondo della politica, alla giustizia sociale. Chi ha vissuto il post-Concilio di Ratzinger e di Wojtyla non trova una novità per i credenti l’impegno doveroso nel campo sociale che il papa ripropone. Un impegno che la Chiesa ufficiale reprimeva con durissime condanne contro quelle realtà ecclesiali e figure religiose che traducevano in militanza attiva quelle istanze. La Teologia della Liberazione non era una abdicazione ai principi evangelici, ma un affiancarsi in nome di Cristo a quanti lottavano per il proprio riscatto. In molti Paesi dove si rivendicavano i diritti degli esclusi, dello “scarto” dell’umanità, la Chiesa ufficiale non stava dalla loro parte. Un Nunzio Apostolico giocava a tennis con i generali argentini sanguinari, sostenendo che i desaparecidos erano come la biblica “pula” che va separata dal grano. Un papa in persona si affacciava al balcone con un dittatore golpista e spietato. Mons. Romero, santificato dal popolo alla sua morte, ha dovuto attendere invece papa Francesco per la canonizzazione ufficiale della Chiesa. Dal Vaticano era ritenuto «una testa calda». Il vescovo lamentava che Giovanni Paolo II non gradiva riceverlo. Wojtyla però riceveva a pranzo Lech Walesa. Aver condannato quelle esperienze di condivisione delle lotte del popolo ha ridotto la Chiesa ad una «voce che grida nel deserto», priva di credibilità. Al mondo dei cattolici restano “riservate” le categorie caritative dell’assistenza e della beneficenza. Necessarie e doverose ma alternative alla “giustizia”.
Bergoglio non ama la madonna “postina” dell’Erzegovina ma dinanzi a manifestazioni di chiaro fanatismo si mostra esitante. Anche lui indulge compiaciuto al folklore e alla spettacolarità, ma non potrà esimersi dall’impedire la speculazione sul fenomeno, una piaga che infetta la gestione della religiosità popolare. I “mercanti del Tempio” erano dei dilettanti. Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes. era animata da vero spirito francescano quando proibiva drasticamente al fratello di fare mercato con l’immagine della sorella. La “pastorella” non apprezzò nemmeno la statua di Lourdes che non somigliava a “Aquero” (a quella cosa), “la Signora” nel suo linguaggio. Era una ragazza “semplice”, ma consapevole forse che ogni rappresentazione concreta del soprannaturale può indurre ad inganno. Sarebbe provvidenziale se Bernadette apparisse nei santuari dove si fa commercio della fede. Una apparizione alla quale vorremmo credere fermamente.
di Raffaele Garofalo che è prete a Pacentro (Aq)