Voglio proporvi questa bella riflessione sulla preghiera di Massimo Orlandi (Fraternità di Romena). Oggi quello della preghiera come faticosa ricerca, come motore del cambiamento reale dei nostri rapporti e delle nostre priorità, come confronto quotidiano con la Parola, sembra un tema “da vecchi”… Certo diventa tale quando tanti giovani oggi cercano uno spiritualismo magico, personalista, “madonnaro” e sostanzialmente deresponsabilizzante.
Spero che questo breve intervento sia utile per scoprire prospettive “altre” di preghiera, di silenzio, di confronto… senza voler usare la nostra fede per forza “contro” qualcuno, senza madonne che appaiono, ginocchi che sudano e “santoni” (cattolicissimi) da adorare.
(don Paolo Zambaldi)
“Perché pregare? Di questa espressione mi appartiene l’ultimo segno, il punto interrogativo. Non con la forza bilanciata di una domanda, ma con la spinta di un desiderio: il desiderio di soffiar via l’increspatura razionale che mi trattiene, che rende la mia preghiera un tentativo, uno sforzo, una prova di dialogo verso un interlocutore che si cerca, a volte si pretende.
A Taizé, molti anni fa, ho sentito la forza straripante di migliaia di giovani in preghiera, la dolcezza ammaliante di un canto senza fine. Quel tendone traboccava di un amore che la preghiera sapeva esprimere. Non mi riusciva, anche dopo ore, di uscire da quel luogo, ma neppure quel fascino è riuscito a farmici entrare del tutto.
A Romena mi piacciono i momenti di preghiera, l’atmosfera raccolta, la musica, il commento a poche righe di Vangelo, un corredo di silenzio. Mi sento bene, ricevo una dotazione di pace, sento a pelle che la preghiera ha una forza che ci oltrepassa. Però la mia cortina di pensiero resta lì, quasi a contenere la mia partecipazione.
Perché pregare? Tutti i grandi uomini di fede che ho conosciuto o di cui ho letto non conoscono questo interrogativo. Si direbbe a un affamato perché vuole del pane? La preghiera li nutre, lo spazio quotidiano di contemplazione, di raccoglimento, di incontro col mistero è linfa per le loro giornate. “Pregare è caricarsi delle energie di Dio” sintetizza David Turoldo.
Ma il dono di poter accogliere Dio ogni giorno non lo si trasmette, non c’è una porta d’accesso, non un metodo, non una tecnica. È una questione di fede, di cammino nella fede, di maturità nella fede. Meglio: di innamoramento. Io intuisco la presenza di questo amore, sento la forza del messaggio di Gesù, e questa è la ragione del mio credere. Ma ho passi ancora titubanti nel rivestirne la mia vita: e, per questo, forse, la preghiera non è per me ancora una risorsa.
Mi capita, immagino come ad alcuni di voi, di cercare Dio nel bisogno, di chiedergli di sollevare un ostacolo, di salvaguardare me e le persone che amo. È umano, si direbbe. Ma questo urlo proteso nel vuoto di ciò che non appartiene al nostro controllo non è veramente preghiera. Non voglio liberarmi da questo mio bisogno che esplode nell’emergenza; è comunque un ponte gettato sull’ignoto, è comunque un modo di inseguire il divino. Ma la preghiera, per essere tale, deve avere la forza di uscire dalle nostre preoccupazioni personali, deve galleggiare fiduciosa nel mare di Dio, così anche quando sarà ferita, anche quando sarà arrabbiata, anche quando sarà affranta, potrà sperare di trovarlo.
“A pregare si impara pregando” suggerisce Teresa d’Avila. Provo a darle ragione. Così cerco di trovare ogni mattino una zona franca, alleggerita dai rumori del mondo, un porto silenzioso da cui prendere il largo. Di solito non mi allontano, la mente resta di vedetta e non molla la riva. Ma la sana inquietudine dell’andare oltre non mi lascia, ed è questa la misura della mia fede.
“Quella della preghiera è l’ora del cammino che parte da noi e termina in Dio” dice padre Giovanni Vannucci. Non ci sono, ancora. Ma cammino, e camminando spero.”
(Massimo Orlandi, giornalista e da sempre collaboratore della Fraternità, è direttore della rivista della Fraternità e responsabile delle Edizioni Romena, Perché pregare?, Anno XIV n°3/2010)